giovedì 24 settembre 2015

Emergenze estive


Parto da due dati di fatto. Il primo è che oggi, ventiquattro settembre, è ufficialmente il primo giorno di autunno conclamato. Faccio, ohimé, parte di quella generazione cui dicevano che l'autunno comincia il 21 settembre e che si torna a squola il primo di ottobre; a un certo punto, però, hanno cominciato a minare questa certezze, facendo tornare i ragazzi fra i banchi a metà settembre e dicendo che l'autunno comincia il ventitré. Mi sono sentito perso. I giorni tra il 21 e il 23 settembre sono diventati per me una specie di terra di nessuno, giorni senza una stagione precisa, limbo ove non si sa ancora se rimpiangere l'estate o prepararsi ad attendere, a lungo, quella dopo. Il secondo è che l'estate appena trascorsa (senza il primo dato di fatto testé espresso, non sarebbe possibile dire "appena trascorsa", ndr) ha visto, come del resto ogni estate, la sua brava emergenza

Per emergenza estiva s'intende generalmente un evento, di solito assolutamente idiota (e le sue eventuali conseguenze tragiche non ne inficiano assolutamente l'idiozia; anzi, in determinate circostanze la accrescono), che per un giorno o due catalizza l'attenzione del pubblico (grazie alla blobbosa massa mediatica attuale) trasformando una štrunzata, appunto, in emergenza. Peculiarità di molte di tali emergenze estive è, in parecchi casi, la presenza di animali; venuta l'estate, il mediaticume sente il possente bisogno di individuare, per qualche ora, l'animale-nemico. Può essere benissimo qualcosa che ha a che fare con atavismi risalenti al pleistocene o roba del genere; e così, un'estate abbiamo l'emergenza meduse, quella dopo l'emergenza pitbull e quella dopo ancora l'emergenza vipere. Quest'estate è toccato, va detto, ad una delle emergenze estive più tipiche e gettonate: l'emergenza cinghiali.

Punto di partenza di ogni emergenza estiva è un episodio, che deve essere necessariamente tragico sennò non può catturare l'attenzione. L'emergenza pitbull ha di solito come protagonisti dei bambini, perché il pitbull, come i comunisti, mangia i bambini (la sua presenza su parecchi treni, come sono solito dire, sarebbe quindi altamente necessaria). L'emergenza meduse scatena tutte le considerazioni sui cambiamenti climatici, e poi le meduse sono vìssssscide, bruciano, e sono mangiate dai cinesi. L'emergenza vipere è antica, molto mediterranea e fabbricante consolidata di leggende metropolitane (nel '73, all'Elba, ricordo benissimo di quanto si parlò di un incauto "turista tedesco" che sarebbe stato mortalmente morsicato da una vipera mentre pisciava sul bordo della strada a Fetovaia, e morsicato proprio ). L'emergenza cinghiali ha invece la caratteristica di non essere esclusivamente estiva. I cinghiali agiscono a tempo pieno, in ogni stagione: orde selvagge escondo dal profondo della foresta per invadere orti, vigne, giardini e frutteti per devastarli. Può succedere che, ogni tanto, un bel sus scrofa (Linnaeus, 1758) ne approfitti per far fuori qualche succulento essere umano, in proporzione comunque non minimamente paragonabile agli esseri umani che, generalmente armati fino ai denti, ammazzano migliaia e migliaia di succulenti cinghiali.

E, così, quest'estate si è avuto il caso del pensionato (credo in Sicilia, se mi ricordo bene) che è stato assalsicciato da un cinghiale in quanto era tornato in un proprio recinto, o roba del genere, per salvare i propri cani. Questo, naturalmente, crea il pathos che ci vuole: un conto è il cinghiale che fa fuori, in un caso su cinquantamila, il cacciatore (da tenere presente che i cacciatori si ammazzano in proporzione assai maggiore tra di loro, specie se hanno legami di parentela e con particolare predilezione per i cognati toscani); un altro è il povero pensionato che si immola per salvare i cani, fedeli amici dell'uomo ancorché dotati di mezzi naturali atti a lottare contro il suin bestione). Lungi da me, naturalmente, ironizzare sulla morte di quel pover'uomo, che avrebbe comunque fatto meglio a starsene dov'era; che Iddio gli apra le porte del Paradiso. Però, questo episodio era troppo ghiotto per non scatenare l'emergenza estiva di turno.

Per un paio di giorni, il pensionato siciliano ammazzato dal cinghiale a fait la une, come dicono in Gallia. ISIS? Migranti? La crisi greca? Il calciomercato? Tutto oscurato dal cinghiale assassino e, più in generale, dall'emergenza cinghiali. Riunioni urgenti di coltivatori e allevatori. Dichiarazioni e interpellanze parlamentari. Programmi di sterminio. Pericolo per economie intere. Interviste disperate in mezzo a campi e vigne. Rovine paventate o già avvenute. Ora, come tutti sanno, la popolazione dei cinghiali nelle aree forestali italiane è stata, in passato, fatta aumentare a dismisura proprio per compiacere i cacciatori, i quali non si accontentano peraltro dei cinghiali italiani. Famose, ad esempio, le battute organizzate in Ungheria con tanto di agenzie, vero e proprio tiro al bersaglio trasformato in business. I cinghiali, però, sono prolifici assai; e così, grazie al passatempo di una massa di imbecilli, è chiaro che le foreste si sono riempite di quei grossi animali che fanno sgruf sgruf e che, come ogni essere vivente, cercano da mangiare uscendo la notte. Più sono, e meno c'è da mangiare dato che non possono contare altro che su se stessi per procurarselo. E allora entrano nelle vigne, nei campi, nei giardini, nei recinti, ovunque ci sia da procurarsi cibo. E' assolutamente normale. C'è chi vuol fare pum pum su di loro per divertirsi coi fucilini, e queste sono le conseguenze.

Peraltro, non voglio fare il "duro e puro" che non sono. Mi è capitato eccome di mangiarmi qualche salsiccia di cinghiale, e anche di farmi, perché no, una cinghialata fra sugo e spezzatino di quelle sontuose. Diciamo una volta ogni due o tre anni. Se non la fo, però, non è certo un problema. Ne potrei fare a meno per tutta la vita senza che questo mi cambi nulla. Il fatto è che, contraddittoriamente assai, il cinghiale (o cignale, come si dice meglio dalle mie parti persino con antiche e autorevolissime attestazioni letterarie) è un animale che mi sta oltremodo simpatico. Come potrebbe essere altrimenti? Il suo nome deriva, con diversi accidenti della fonetica storica, dal latino singularis (come si vede meglio dal francese sanglier, sicuramente incrociato in qualche modo con sang nella più tipica delle etimologie popolari), nel senso di "solitario". Il cinghiale ama stare da solo, e il suo nome potrebbe benissimo tradursi come "Asociale"; quale animale potrebbe meglio definirmi? Insomma, quelle volte che ho addentato un pezzo di cinghiale, mi sono sentito una specie di cannibale, senza tenere conto dell'aspetto cignalesco che non di rado mi contraddistingue e persino del fatto che ho sempre saputo imitare benissimo il suo verso, tanto da aver spaventato a morte, una volta, la povera zia Clara mettendomi a grufolarle accucciato sotto la finestra di camera.

Tornando alla nostra emergenza estiva, ad un certo punto si è avuta la classica apoteosi. Non mi ricordo dove, ma forse nella stessa zona siciliana del tragico fatto di cui sopra, un sindaco ha proposto un'immediata e urgentissima riunione, a livello addirittura regionale, di tutti i suoi pari colleghi per affrontare una buona volta l'emergenza cinghiali. Parole chiave: "Insostenibile", "mettere in ginocchio", "abbattimenti consistenti", "economia minacciata". Nonostante l'immediato sostegno espresso da politici locali e nazionali all'iniziativa, ignoro se essa si sia effettivamente tenuta anche perché l'emergenza cinghiali è scomparsa entro le 48 ore mentre i suini continuavano tranquillamente a addentare giardini e frutteti, a trombare appunto come cignali e a sfornare graziosissimi e simpatici cinghialotti a strisce (mi è capitato, all'Elba, pure di accarezzarne un paio; non sono soffici). E mi sono messo, in quei giorni, a fare un sogno ad occhi aperti.

Ho sognato un'urgentissima riunione dell'ACI (Associazione Cinghiali Italiani) per affrontare una buona volta, e seriamente, l'emergenza sindaci.

"Il proliferare indiscriminato dei sindaci è una delle autentiche emergenze che affliggono questo paese", ha dichiarato il portavoce dell'Associazione. "Fra ordinanze anti-immigrati, iniziative culturali di dubbia rilevanza, regolamenti comunali fantasiosi, scioglimenti per infiltrazioni mafiose varie, incapacità palese di gestire gli autentici problemi che affliggono i Comuni, multifici a base di semafori truccati, gestione criminale dei territori, consorterie, collusioni, piani regolatori da far venire la pelle d'oca a un cignale (ops), colate di cemento, ecomostri, terre de' fuochi, pagine Facebook e tweet demenziali e quant'altro, i sindaci italiani rappresentano un pericolo incalcolabile per questo paese. I "danni incalcolabili all'economia" li produrremmo noialtri cinghiali per due o tre viti e un paio di mele o di pere? L'Associazione Italiana Cinghiali si fa quindi pressante interprete della necessità urgente di regolare la popolazione italiana dei sindaci, mediante abbattimenti consistenti equamente suddivisi per specie (Syndicus Piddinus, Syndicus Forzaitaliotha, Syndicus Pentastellatus, Syndicus Listacivicus, Linnaeus 2015), con particolare attenzione rivolta alla perniciosa specie Syndicus Legajolus Padanus nonostante il loro leader, sia detto con la massima sincerità, sia in realtà un cignale che ha tradito la sua specie. Facciamo appello alle forze autenticamente democratiche affinché l'emergenza sindaci sia presa nella massima considerazione, in quanto costoro fanno assai più danni alla civiltà, alla natura e al territorio di noialtri poveri suini selvatici. Suggeriamo anche di considerare il beneficio economico che l'abbattimento dei sindaci recherebbe all'economia nazionale: i prodotti derivati dei sindaci sono ottimi sotto ogni punto di vista (avete mai provato un sindaco valdostano in umido? Una salsiccia di sindaco indipendente molisano? Delle ottime pappardelle al sugo di sindaco del Valdarno?), e potrebbero rappresentare un'eccellenza da proporre alla prossima Expò".

Mi son dovuto tirare un pizzicottone per svegliarmi da questo sogno. Già mi vedevo Nardella assalsicciato sott'olio. Il sindaco di Venezia trasformato in ragù mentre cianciava del gay pride. Pisapia a bollire nel vino rosso forte. E un pezzo di un qualsiasi sindaco leghista cucinato a puntino alla trasmissione "Wildboar Masterchef" di Cygnal Channel International. Slurp! Sgrùf!

lunedì 21 settembre 2015

Vous êtes quoi?



Lo scorso 7 gennaio, poco meno di dieci mesi fa, andava parecchio di moda être Charlie. Talmente di moda, che si sono visti essere Charlie dei personaggi, come dire, beh, non so, lasciamo perdere. Ad esempio, était Charlie Bibi Nethanyahu. E, va da sé, 'e gli era Ciàrli anche Matteino nostro. Il padrone di casa, François Hollande, era naturalmente Sciarlìssimo; ma è inutile fare la lista della spesa. In quei giorni, pur con tutti i distinguo possibili e immaginabili, s'era tutti quanti Charlie. Ci siamo sentiti investiti da uno tsunami di libertà di espressione, dal potente della Terra fino all'ultimo dei quajàn. Per giorni e giorni, facciamo un tre o quattro; ma poiché la libertà di espressione, sacro valore democratico e occydenthäle, vale soltanto a certe e ben delimitate condizioni, oggi bisognerà ritirarla fuori per un caso assai meno mediatico e di importanza periferica.

Come forse qualcuno sarà venuto a sapere, Erri De Luca, discreto alpinista nato a Napoli e personaggio dalla vita alquanto avventurosa (durante la quale ha persino fatto, e continua a fare, lo scrittore), oggi si è visto e sentito richiedere, per la di lui persona, una pena detentiva di mesi otto per istigazione a delinquere. Avendo pubblicamente sostenuto la necessità di sabotare il TAV e di ricorrere alle cesoie per tagliare certe reti che delimitano una certa porzione del territorio italiano occupata da un cantiere militarizzato, l'alpinista Erri De Luca è incorso nel concetto di Libertà di Espressione che è più proprio dello stato italiano e dei suoi eroici rappresentanti, come è il caso del PM Antonio Rinaudo. Indi per cui, Erri De Luca è stato mandato a processo, ed è questo uno dei motivi per i quali sto particolarmente insistendo sulla sua attività alpinistica. Non è infatti possibile che un paese democratico come l'Italia, culla del diritto alla quale -invero- qualcuno dovrebbe decidersi a cambiare un po' i pannolini, mandi a processo uno scrittore per delle sue affermazioni. Gli scrittori a processo? Roba da regime totalitario, naturalmente. Da maccartismo, quantomeno. Gli scrittori a processo rimandano a Solgenitsyn o a Nâzim Hikmet, solo per fare due esempi senz'altro notissimi anche a un PM Rinaudo. Ma, per chiarire meglio in che cosa consista il concetto di Libertà di Espressione dell'attuale stato iTAViano, niente può essere meglio che lasciare la parola al PM Rinaudo stesso, il quale lo ha chiarito in maniera non fraintendibile:

"Nelle interviste rilasciate pubblicamente ha commesso incitazione a commettere il sabotaggio. È indiscutibile che si debba concludere arrivando alla penale responsabilità dell'imputato riconoscendo comunque le attenuanti generiche per il comportamento processuale e perché non si è mai tirato indietro rispetto alle domande dell'accusa e del giudice".

In queste quattro righe è contenuta la summa  di tutta la Libertà di Espressione come applicata in un moderno stato democratico. La Libertà deve essere delimitata dalla cosiddetta Legalità; quando si oltrepassa tale delimitazione, paventando e sostenendo atti che le vanno contro, si è automaticamente passibili di repressione. Questo, naturalmente, a condizione che tali atti siano contrari agli interessi economici dello stato stesso, dei potentati finanziari, delle varie istituzioni e delle mafie, come è assolutamente tipico il caso del TAV; in certi altri casi, il concetto non si applica affatto. Ad esempio: se il politicante di turno rilascia dichiarazioni sulla necessità di radere al suolo dei campi nomadi, di sterminare una congrua quantità di immigrati e di bruciare le baracche, tutto questo rientra nella sacra Libertà di Espressione. 

Continua il PM Rinaudo: "Se, come ha chiesto la difesa, avessimo trovato qualche riferimento diretto alle sue pubblicazioni per esempio nelle perquisizioni degli arrestati, saremmo qui a celebrare un processo per concorso nei reati commessi". Vale a dire: Se durante le perquisizioni degli arrestati viene trovato un riferimento diretto alle pubblicazioni di un qualsiasi scrittore, sappia egli che può finire a processo per concorso di reato per una citazione, la ripresa di una sua intervista, qualsiasi cosa egli abbia pubblicato o dichiarato in riferimento a qualcosa che vada contro gli interessi di uno stato, di una consorteria, di un potentato. E' bene sapere, per chiunque scriva con vari intendimenti, e qualunque sia il suo grado di notorietà, che questa è la Libertà di Espressione garantita da un moderno stato democratico.

Ovviamente, colpire Erri De Luca rappresenta, nell'ottica su esposta, una qualche forma di ammonimento, o di avvertimento preventivo, rivolto ad eventuali rappresentanti del mondo culturale (e alpinistico) ai quali punga vaghezza di incitare a sabotaggi, recisioni di recinzioni e, in generale, opposizioni fattive a colossali progetti di assoggettamento armato del territorio. Sembra di risentire vecchie eco, peraltro niente affatto flebili, dei cattivi maestri. Alla sbarra finisce l'ultimo dei valsusini come il militante del centro sociale, finisce (e pure in carcere) il sabotatore di compressori come Erri De Luca. Bene averlo estremamente presente prima di mettersi a scrivere o ad affermare qualsiasi cosa al riguardo, ed eventualmente adoperare ogni sorta di legittima prudenza. Solo che, quando nello scrivere e nel parlare, è necessario adoperare prudenza estrema per evitare di incorrere in guai seri, è bene anche avere estremamente presente di vivere sotto un regime, quali che siano le sue maschere. Sotto i regimi si è costretti a dissimulare. Si è obbligati a ricorrere alle metafore. A non poter più dire chiaramente le cose. E anche, naturalmente, a dover ingoiare il fatto che il regime, non di rado, cianci di Libertà di Espressione e inalberi i suoi cartellini "Je suis Charlie". Quando qualcuno alza un cartello con scritto "Je suis NO TAV", e lo alza indicando magari una forma di lotta concreta, Charlie va immediatamente in soffitta.

Magari, ad un PM Rinaudo che concede benevolmente a Erri De Luca le attenuanti generiche per il "comportamento processuale" e perché "non si è mai tirato indietro", sarà sfuggito che il De Luca medesimo, con la sua assunzione diretta di responsabilità, esattamente questo ha voluto: focalizzare l'attenzione, per quanto gli è stato possibile, sui meccanismi del regime e sull'azione dei suoi rappresentanti istituzionali (in questo caso giudiziari). Si tratta, peraltro, di un procedimento elementare: col proprio comportamento e con la conclamazione della precisa responsabilità diretta, il processo viene rovesciato. Viene messa a giudizio una componente della magistratura totalmente asservita ad interessi nei quali non è più possibile distinguere il pubblico dal privato. 

E' normale che Erri De Luca si sia dichiarato stupito che, nei suoi confronti, non sia stato richiesto il massimo della pena. L'ironia squisita di tale affermazione è mirabile, in quanto mette in luce anche un'altra componente di tutta la vicenda: l'imbarazzo estremo che deve avere pur colto un PM Rinaudo che, da un lato, si ritrova a dover mandare avanti un procedimento tanto iniquo quanto assurdo e, dall'altro, cerca di mitigare le richieste facendo i salti mortali per salvare capra e cavoli. E Erri De Luca, ne sono certo pur non conoscendolo di persona (né mai mi capiterà di farlo), se la ride sotto i baffi. Certo che avrebbe voluto il massimo della pena, ma vanno bene anche otto mesi per far sì che l'Italia abbia il privilegio di aver condannato alla galera un alpinista (e scrittore) di fama internazionale perché ha incitato a sabotare e a tagliare le reti di un cantiere.


In conclusione, però, ci sarebbe da fare una cosa, oltre ad esprimere una naturale solidarietà nei confronti di Erri De Luca. La solidarietà, beninteso, è cosa assai comoda e pure un pochettino vuota se non si è pronti ad assumersi altrettante responsabilità; nel mio minuscolo piccolo, so che cosa voglia dire essere mandati a processo per qualcosa che si è scritto e/o affermato. 

Cozzerebbe quindi contro quei princìpi di elementare prudenza dei quali parlavo prima, princìpi che stabiliscono la propria vita sotto una forma di tirannia e la precisa coscienza di essa, dichiararsi solidale con quanto affermato da Erri De Luca e per il quale è stato processato. Cozzerebbe sì, e che cozzi pure. Non potrebbe d'altronde esservi alcuna forma di solidarietà senza dichiararsi del tutto consapevolmente e senza remore solidale con quanto espresso da Erri De Luca; sappia dunque, chi intenda eventualmente riprendere queste parole, due cose. La prima è, naturalmente, che si espone a problemi di non lieve entità; il qui presente ha, a suo tempo, trovato un magistrato che si è sentito in dovere di rinviarlo a giudizio per avere espresso giudizi pesanti su un personaggio pubblico, e non potendo contare su una qualche forma di notorietà consolidata, bensì su un semplice blog qualsiasi. La seconda è che dire "Je suis" significa, o dovrebbe significare, un'adesione nel proprio essere. "Je suis" significa "io sono", ed il verbo "essere" non è un verbo di poco conto. O si è, o non si è. Vous êtes quoi? Che cosa siete? Charlie? Erri? Paolino Paperino? Qualunque cosa, o chiunque, scegliate di essere, presuppone che non lo siate, e che non lo siamo, per la durata di un momento o di una facile ondata emozionale. Presuppone una scelta di campo e presuppone anche dei fanatici armati o un pubblico ministero torinese. Altrimenti non si è proprio un bel niente.