venerdì 30 maggio 2014

Nardelle le Sgombereur: Chiuso il Fondo Comunista a Firenze





Ieri mattina, alle 8, il Collettivo del Fondo Comunista, in via Rocca Tedalda alle Case Minime, è stato sgomberato manu militari e sigillato con decreto e timbri della Procura della Repubblica di Firenze. Polizia Municipale e Digos in azione, con tanto di perquisizione dei locali. Di essere oramai sotto tiro lo si sapeva da tempo, almeno fin da quando, periodicamente, erano venuti a cambiare le serrature della porta (che erano state fatte regolarmente saltare per rientrare); stavolta hanno fatto le cose in grande stile.

Il Fondo Comunista esiste da oltre vent’anni. Si trova in un quartiere, le Case Minime di Rovezzano, per il quale ha sempre rappresentato ben più di un punto di riferimento e di aggregazione. Nella Firenze-salottino, o Firenze-vetrinetta, del Renzismo trionfante, un quartiere come le Case Minime è semplicemente qualcosa da cancellare, a cominciare da chi per esso ha sempre lottato e agito ad ogni livello; certamente, lo sgombero del Fondo Comunista si inserisce in una più vasta azione (non soltanto locale) di eliminazione di ogni realtà antagonista, sociale e politica, che non si uniforma minimamente ai diktat di “pace sociale” e di “legalità” imposti dal “Partito Democratico” e dei poteri forti; anche perché il Fondo Comunista, oltre ad essere un punto di attività e di lotta, lo è anche di studio e di proposta. Prova ne sia che, ieri, durante la perquisizione, sono state portate via anche copie di volantini e manifestini girati in città e, soprattutto, la bozza (già in fase avanzata di realizzazione) di una proposta di discussione che il Fondo intendeva produrre e proporre a tutte le situazioni con le quali siamo in relazione. Bozza che non era nostra intenzione far circolare (sia su Internet che in incontri) fino a quando non avesse avuto una stesura definitiva. Ora è in mano a giudici e polizia.

Si conferma così quella sorta di “scaletta” che presiede agli insediamenti delle giunte renziane a Firenze: nel 2009, il primo provvedimento dell’allora neoeletto Supergiovane Renzi era stato lo sgombero del Mercatino Etnico del Lungarno Pecori Giraldi, all’alba e senza alcun preavviso, con i soliti pretesti dello “spaccio”, del “degrado” e dalla “restituzione ai cittadini di uno spazio verde”; andatelo un po’ ora a vedere quello “spazio verde restituito”, contornato da decine di pullman turistici puzzolenti, a volte parcheggiati là davanti in doppia fila e, naturalmente, del tutto deserto e in via di abbandono. Appena eletto, Dario Nardella si è sentito in dovere di inaugurare il suo mandato in modo del tutto analogo; prima ha “trionfato”, il giorno dopo si è fatto fotografare gongolante in maternità dove la consorte gli ha scodellato un bel pargoletto (che bello il sindaco neopapà, è così family-friendly!) e, il giorno dopo ancora, ha sgomberato il Fondo Comunista. Un bello sgombero serve per ribadire immediatamente che cosa aspetta Firenze in questi anni, e soprattutto quella Firenze che non ci sta e non c’è mai stata. Che c’è ancora, nonostante tutto. Che esiste e non cesserà di esistere, malgrado i tempi durissimi che ci aspettano in questo anno I dell’Era Renzista.

Firenze, va detto, non è soltanto una vetrina per il renzismo (mondiali di doping –altresì detto ciclismo-, futuro G8…); è anche una città-laboratorio dove, da tempo, si sperimentano tecniche di controllo, repressione e normalizzazione. La città delle telecamere capillari, della riduzione del centro storico a un deserto sociale e abitativo (l’ultimo baluardo, l’Oltrarno, è oramai sotto attacco), delle manovre di asservimento alle speculazioni capitalistiche, dell’esproprio dei beni pubblici (trasporti, acqua), delle squadrette "antidegrado" della Municipale. Si tratta di tecniche e caratteristiche che, con Supergiovane Renzi al potere nazionale (e inserito nel contesto europeo e internazionale) troveranno e già trovano applicazione perfetta (si veda il “Jobs Act”). In tale contesto, ogni realtà di reale opposizione, di attività e di proposta alternativa deve essere spazzata via, dalla più piccola alla più grande. Il Fondo Comunista è una realtà piccola che si è sempre mossa a livello di quartiere; ma non per questo fa meno paura, e il sequestro dei suoi documenti sta lì a dimostrarlo. Si vuole evidentemente vedere che cosa “bolle in pentola”, e si mandano urgentemente le forze dell’ordine a impossessarsene (oltre che a sgomberare e sigillare).

In questo caso, chiamare alla solidarietà ha e deve avere un valore che va ben oltre il semplice atto. Il Fondo Comunista è una realtà come ce ne sono tante altre in ogni città, in ogni quartiere; e tutte queste realtà, sarà bene realizzarlo definitivamente, sono sotto attacco perché non devono più esistere. Devono essere neutralizzate. Non c’è nessun posto per loro nell’assetto sociale che si va configurando e, di conseguenza, tutte le loro azioni, rivolte agli strati più deboli e disagiati della popolazione, ai lavoratori, ai precari, ai senzacasa e a tutte quelle fasce di persone che il capitalismo ha necessità di eliminare in questa sua fase di esplosione e di declino inarrestabile. La brutale questione è questa: non si tratta tanto di un singolo sgombero (quotidiano: si veda, ad esempio, quello di una realtà come il Taksim di Bologna, avvenuto pochi giorni or sono), quanto di un processo di eliminazione e di distruzione. La solidarietà alla quale chiama il Fondo Comunista di Firenze è solidarietà di classe. E’ solidarietà non soltanto resistenziale, ma di azione incessante e giornaliera. E’ la solidarietà di chi intende non essere schiavo per sempre, ma artefice del proprio presente e del proprio domani.

Il Collettivo del Fondo Comunista, pur in mezzo alle ovvie difficoltà che lo sgombero di ieri comporta (privazione di un punto di riunione) continuerà la sua attività senza nessuna sosta. Firenze è tutt’altro che “normalizzata”, e di questo la giunta del “neopapà” Nardella deve prendere atto ed aspettarsi risposte adeguate e ragionate. Dietro quella sua faccina da “bravo ragazzo”, e dietro a tutte le faccine come la sua ivi compresa quella di Matteino, si nasconde l’odio, e non si nasconde nemmeno troppo bene. Sarà nostra cura, oggi come ieri, non fargliene passare una che sia una.

Nella foto: il Sindaco di Firenze, Dario Nardella, in attesa che la consorte gli sgomberi partorisca un erede.

lunedì 26 maggio 2014

Ils n'ont pas voté, ovvero La risposta è 42



Naturalmente, per dovere di cronaca, hanno dovuto far presente i “dati sull'affluenza”: il 57,22% esattamente. Finiti i vecchi tempi dei collegamenti col Viminale; ora la percentuale di votanti è un dato secondario, da relegare in qualche angolino o addirittura da ignorare del tutto; e non c'è da stupirsene. Sotto i titoloni coi “cicloni”, gli “tsunami” e i “trionfi”, la realtà viene nascosta da chi non solo vive al di fuori di essa, ma ha interesse a che tutto un continente ne viva costantemente al di fuori. La realtà, del resto, è la seguente: in Italia come altrove, il vero scetticismo, quello autentico, reale, tangibile, non è verso le “istituzioni europee”, verso la “moneta unica” o quant'altro; è uno scetticismo nei confronti di un intero sistema, il quale si esprime -tra le altre cose- disertando in massa le urne elettorali. Non ci si crede più, e ve lo si manda a dire in questo modo inequivocabile, tanto più inequivocabile quanto più lo minimizzate e ignorate, quanto più tendete a dire che è un “fenomeno fisiologico”. Fisiologico? Ma ve lo ricordate, ad esempio, quando in Italia andava a votare il 90% degli aventi diritto? Fisiologico, casomai, è il progressivo smascheramento della “democrazia” liberal-borghese, talmente palese da indurre una massa inarrestabile di persone a non scomodarsi a andare alle scuoline imbandierate. Questo è il vero tsunami, questa è la realtà, questo è il responso; e questa è la vera paura che avete, e che cercherete di tenere a bada con le menzogne e con la repressione generalizzata.

E così, oggi, ci vengono persino a dire che il “Partito Democratico” avrebbe “superato la DC”; scordando magari che, nei suoi tempi migliori, la DC arrivava fino al 38% ma con l'85 o il 90 per cento dei votanti. Il “PD” ha preso il 40% del 57,22%. Per il resto, si può continuare ad libitum con le barzellette; tipo quella del buffone genovese che, come previsto, è durato una cacata. E' stato messo lì al momento giusto, quando c'era da arginare in qualche modo un malcontento sociale che stava avviandosi allo scontro (cosa che, del resto, lo stesso Grillo dichiarava apertis verbis: “senza di noi ci sarebbe stata la guerra civile”). Un utile idiota che ha propinato stronzate a dritta e a manca, impallinando allodole finché è servito impallinarle e facendo ridere polli già precotti ai quali sono bastati ottanta euro finti per tornare ad essere contenti; e così il Grillo, assieme al suo amicone sociopate Casaleggio, ai pischelli e alle pischelle dalla “faccia pulita” e alle piazze a base di insalata di Bergoglio, Berlinguer, Hitler, Lupin III e chissà chi altro, oggi fanno i disperati del 57,22%. Dimostrando, fra le altre cose, di non aver capito assolutamente un cazzo della Rete e dei suoi meccanismi più profondi, proprio loro tutti “guru” della “comunicazione” internettara. Se lo sono presi nel guru, giustappunto. Di Berlusconi & co., fa quasi fatica parlarne; quelli là non è che vivono fuori dal mondo, oramai vivono nel bar ai confini dell'Universo.

Poi c'è la “sinistra”, ah sì, già. Ogni anno ci ha l'idolo di turno; l'anno scorso, in Italia, era una specie di facocero che faceva il “magistrato” e che si esprimeva in un linguaggio primordiale che avrebbe fatto la felicità dei linguisti storici interessati alla ricostruzione del siciliano dei tempi dei Vespri (marzo 1282); quest'anno, invece, è stato un bel ragazzo ellenico (il cui nome, non eccessivamente difficile, è stato comunque ritenuto impronunciabile da molti: ho sentito alcuni parlare, anche alla radio, di “Lista Piras”, capito mi hai) che, nel suo paese, ha spopolato ma che, qui, ha preso il 4% del 57,22%. Questi qua sono andati persino oltre il bar ai confini dell'Universo, unico posto dove si legge ancora il “Manifesto”. Il quale oggi titola “Kalispera”; e bravi, sì. Bonasera. Mi piacerebbe dir loro “Kalinychta”, che ci starebbe meglio. Buonanotte. Inutile persino cercare di svegliarli, non c'è riuscito nessuno; e che dormano, allora, il loro sonno tombale senza aver capito che pure nel bar ai confini dell'Universo tutti sanno che la risposta è 42. La vecchia Guida Galattica ci dà sempre: infatti la vera risposta è stata proprio 42. Per cento. Facciamo anche 45, vai, mettendoci le schede nulle e bianche; quelli che si sono sì rotti i coglioni, ma che considerano ancora votare come un “dovere civico” nei confronti di coloro il cui dovere è quello di sterminarci, uno ad uno.

Poi c'è il vincitore, il trionfatore, il ciclonatore: Supergiovane Matteo. Si è beccato oltre il 40% di quel 57,22% che ancora crede di trovare “rappresentanza” in un mondo politico fuori oramai da tutto, a livello europeo e locale. Chiaramente, non bisogna commettere l'errore di crede che tutto ciò non abbia incidenza; la ha, e la avrà, sempre più pesante. E' stata cercata ed è stata trovata la legittimazione, sebbene fasulla, per cancellare ogni tipo di opposizione reale nel paese, la quale si trova all'interno di quel 42% per cento che ha rifiutato il giochino (e che lo abbia rifiutato ammodo, lo si vede dal ceffone che ha rifilato ai “protestatari”, ai giustizialisti forcaioli pentastellati, al fascista Travaglio, al “Fatto Quotidiano”). Il PD, però, non è la “nuova DC” che tanti si sono affannati a dire; è qualcosa che va oltre. E' una destra carognesca e efficientista che ha come scopo la distruzione totale di ogni voce dissonante e la formazione di un assetto istituzionale che non tollera alcuna deviazione; e per il futuro sarà una cosa da tenere a mente, soprattutto dal punto di vista della repressione. Sarà sempre più dura e capillare, almeno finché non saranno (ri)appresi gli elementari meccanismi della creazione e dello sviluppo dei rapporti di forza. Eppure un rapporto di forza ben preciso lo si vede: quel 42 o 45 per cento di persone che hanno detto “no”. Lo potrà ignorare il “Repubblika Beobachter” nei suoi titoli, ma è un dato che sta lì davanti agli occhi di tutti; ed è al suo interno che occorrerebbe lavorare, impedendo tra le altre cose che l'avvio allo scontro sociale (dato che i suoi meccanismi sono ancora tutti in atto) sia per l'ennesima volta convogliato a finti “movimenti di protesta” come i cialtroni dei Cinque Stelle, gli “antisistema” che si sono ben affrettati a tuffarcisi come pesci, nel sistema e nelle sue istituzioni nazionali e locali (non dopo aver dato una bella mano a soffocare una situazione che stava sfuggendo di mano). Stando all'interno del sistema, se ne è parte piena e se ne è sempre suoi complici. Stando all'interno del sistema, non si compie mai nessuna azione reale di lotta. Stando all'interno del sistema, lo si avalla e basta. E' totalmente al di fuori di esso che la realtà si muove e si evolve, ed è al di fuori di esso che l'azione deve essere espletata, accettando una realtà che è dura e che sarà ancor più dura e rischiosa; ma una realtà che darà i suoi frutti soltanto quando si smetterà di rifugiarsi in mille idiozie, in semplici aspetti slegati dall'insieme (caso tipico: i “beni comuni”) e in gloriosi passati sempre più lontani e nebulosi.

Guardiamoci in faccia: siamo tutti degli schiavi. La risposta alla schiavitù è possibile unicamente agendo in modo che il “futuro”, quella famosa cosa che ci propinano ogni minuto, ce lo riprendiamo in mano direttamente e senza più nessuna mediazione, né quella di un boyscout e né quella di Topo Galileo, né quella dell' “economista” e né quella del fascista, né quella dell' “Europeista” e né quella dell' “Euroscettico” ancorché travestito da avvenente ragazzone greco “de sinistra” che piace tanto a carampane come la dissepolta Castellina appositamente traslata dal suo loculo con procedimenti lovecraftiani. Sapete chi ha vinto davvero? Ha vinto il non delegare, non votare. Ovunque in Europa. Anche nella Francia “profonda” che si consegna allegramente ai fascisti della Le Pen grazie alle “elezioni”. Schiavi per sempre, o artefici del proprio futuro? Sarà questa la domanda da porsi, e stavolta con urgenza, e stavolta agendo nel più totale rifiuto del sistema, delle sue istituzioni, del suo lavoro, del suo odio, della sua morte.

giovedì 8 maggio 2014

Ola ola



Non so se a qualcuno è mai capitato.

Quando, nel luglio del 2001 a Genova, per me lo stato italiano è morto definitivamente, avevo 38 anni e ancora, per mia fortuna, correvo abbastanza veloce per cercare di sfuggirgli in qualche modo. Mi è andata bene dalle parti di via Tolemaide; a tanti, tanti altri è andata meno bene. Come si sa.

Mi è capitato, ultimamente, di avere a che fare e di parlare con dei ragazzi e delle ragazze che, nel luglio del 2001, avevano quattro o cinque anni. Alcuni ancora di meno. Sono passati, cavolo, tredici anni. 

Così mi sono sentito chiedere che cosa era successo, "com'era stato", che avevo fatto, che avevo visto fare. Ho cercato di rispondere a quei ragazzi, senza nessuna enfasi. Qualcuno mi ha detto persino che "avrebbe voluto esserci", e gliel'ho sconsigliato caldamente.

Qualcun altro mi diceva che, in casa sua, i genitori facevano il tifo per la polizia. Qualcuno era alla spiaggia. Qualcuno ha vaghi ricordi dalla televisione. Qualcuno ha la maglietta con sopra l'immagine di Carlo Giuliani, portata come quella col Che Guevara. Un'immagine, appunto.

E' normale. Se devo rispondere a qualcosa che mi chiedono, cerco di non farlo rivivendomi; altrimenti non darei proprio nessuna risposta. Era la premessa.

Anche perché, nello scrivere quel che segue, mi trovo un po' a disagio. Di contraddizioni ne ho sempre avute, ne ho e ne avrò parecchie; nulla di nuovo. Ne ho piena coscienza. Non per questo le vivo facendo firulì, firulà; l'unica cosa che posso fare, è esprimerle. Non sottacerle. 

Ad esempio, la galera. Non sto nemmeno a parlarne ancora, viste le decine di volte che l'ho fatto inequivocabilmente. E sulla galera non cambio nemmeno mezzo millimetro di idea.

Però, stamani, eccola la famosa contraddizione.

Ho letto che Claudio Scajola è finito al gabbio. E, senza pensarci, contraddittoriamente, incoerentemente, diosolosacosamente, ho fatto un "Hip, hip, hurrà!" che si dev'essere sentito fin da Bologna. E poi ho anche urlato: Ola ola, in galera lo Scajola!

E per un pochino mi sono rivissuto, sì. L'ho rivisto, il signor ministro degli interni che, su sua stessa ammissione, aveva dato ordine alla polizia di sparare sui manifestanti. E ho rivisto pure quell'altro, quel fascista schifoso di Gianfranco Fini, e li ho rivisti tutti. Contraddizioni! 

C'è ben poco da fare.

Bisogna abbatterle e basta le galere.

Se però si abbattessero lasciandoci dentro, che so io, uno Scajola, sarebbe ancora meglio.

Sploch!