lunedì 2 dicembre 2013

Il suo nome



Non ha nessun tipo di “nazionalità”, quando ammazza. Tutti i giorni, ammazza; tutti i giorni, tutte le ore, tutti i minuti. Il minuto o l'ora prima ha colpito lontanissimo da casa tua, in un posto che non hai mai sentito nominare e che non sentirai nominare mai; il minuto o l'ora dopo colpirà altrettanto lontano, dall'altra parte del globo, da altre parti di altra morte. Poi colpisce, un dato giorno a una data ora, in un posto il cui nome lo conosci bene o che, comunque, ti suona familiare; non ci puoi fare nulla, ti sembra tutto così diverso. Diverso da quelle fabbriche che crollano nel Bangladesh seppellendo centinaia di persone che lavorano come schiave per produrre idiozie consumabili; diverso da quelle miniere sudafricane dove si tirano fuori i “diamanti per sempre”, diverso da Iqbal Masih e dai palloni da calcio col marchio. E diverso anche dalle Thyssen Krupp e dalle classi operaie dei laminatoi pesanti e padronali; diverso perché, ad ogni modo, chi ci è morto per i padroni ha avuto perlomeno lo scarno privilegio di un nome e di un cognome. Chissà come si chiamano, quei sette morti cinesi del Macrolotto di Prato, gli invisibili che dormono nei loculi in cartongesso delle fabbriche tessili. Chissà come si scrivono, quei nomi, nei loro complicati caratteri. Chissà poi che cosa avranno significato, quei nomi. Domande che si affacciano sempre e sempre. Come si chiamavano quei quattrocento o cinquecento annegati a Lampedusa. Come si chiamavano quelli crollati assieme alla fabbrica; si fece fatica, cento anni fa, a recuperare i nomi delle operaie italiane e ebree della Triangle Shirtwaist Factory bruciate vive o gettatesi dalle finestre in pieno centro di New York; e alcune sono rimaste, per sempre, senza nome.

Quando ammazza, e ammazza sempre, non ha soltanto alcun tipo di “nazionalità”; non ha neanche alcun tipo di pretesto in mezzo ai sempre più squallidi balletti istituzionali, agli assessori, ai governatori, ai “capigruppo”. Quando ammazza, e ammazza sempre, non ha né “crescita”, né “decrescita”. Non ha ambasciatori, non ha culture, non ha integrazioni ma solo disintegrazioni. Non ha finte ideologie, non ha né democrazie né dittature, né fascismi o comunismi. Non ha né monarchie né repubbliche “popolari”. Ha sradicamenti e viaggi interminabili. Ha i barconi come può avere gli aeroplani. E non ha un generico “sfruttamento”, bensì una sequela infinita di singoli sfruttamenti esercitati su ogni singolo essere umano condannato all'invisibilità che viene, per un momento, squarciata soltanto al momento della morte per poi calare di nuovo, immediatamente dopo. Non ha né “Italia” e né “Cina”, ha solo i mercati e le economie. Ha solo le fabbriche. Ha solo i cimiteri delle fabbriche. Ha solo i macchinari delle fabbriche. Ha solo i cicli delle fabbriche. Ha solo la produzione del nulla. Ha solo lavorare il nulla. Ha solo morire una domenica mattina di dicembre, mentre si dorme dentro a una fabbrica. Neppure la libertà di morire nudo sotto un ponte, neppure la libertà della disperazione; soltanto la fabbrica e la produzione. A quindicimila chilometri da casa, in un “macrolotto” senza nome, in una città di cui non sai e non sei nulla, e che non vuole sapere né essere nulla di te. Produci anche mentre dormi, perché quel dormire là dentro è finalizzato alla produzione. Esattamente, del resto, come tutti gli altri, anche quelli che vanno a dormire in una casa. Anche quelli che rubano mezz'ora di sonno pendolare. E così ti accomodi nel “loculo”, nel cartongesso, nella stufetta elettrica che va in cortocircuito, nel laminatoio che esplode, nel fabbricato che collassa, nei palloni da calcio, ti accomodi nel “pronto moda”, nelle grida mentre bruci in italiano o in cinese, nei vomiti dei politicanti, ti accomodi -tu e la tua vita che non lo è stata- nella morte che, invece, lo ha.

Lo ha e viene da qualsiasi parte. E' privato oppure di stato. E' lui che ha acceso quella stufetta a Prato come ha fatto esalare quel gas nella cisterna o nella stiva. E' lui che ha aperto la falla decisiva in quel barcone, è lui che ha fatto cedere la struttura del fabbricato. E' lui che trasforma in favola un maledetto pezzo di carbonio puro, è lui che crea militari e tecnologie. E' assieme a lui che tutti noi andiamo a dormire nei nostri loculi; è assieme a lui che anche noi, tutti noi, bruciamo e crolliamo ogni giorno rifiutandoci di accorgercene. Il suo nome è: Capitalismo.