venerdì 28 giugno 2013

I Dannati della terra


Frantz Fanon.

Com'erano belli, i Dannati della terra. Ma quelli lontani, che per trovarli bisognava fare dei lunghi viaggi per andare, poi, a cacciarsi in guai grossi. Da quando il Frantz della Martinica, o dell'Algeria, aveva scritto quel suo famoso saggio pubblicato nel '61 da François Maspero con la prefazione di Sartre, con un titolo che riprendeva il primo verso dell'Internazionale di Pottier (“Debout, les damnés de la terre!”), l'anticolonialismo era entrato a pie' pari nel bagaglio del Rivoluzionario; e non sto certo parlando di mezze calzette, ma di Steve Biko, di Ernesto Guevara, di George Jackson. Il ruolo della classe, razza e violenza nell'ambito delle lotte di liberazione nazionale, nuovo modello mondiale, rivoluzione globale, anti-imperialismo; è difficile immaginare gli anni '60 e '70 senza quel libro che ebbe influenza sul movimento di liberazione palestinese come sulle formazioni nordirlandesi, sulle Black Panthers e, praticamente, su tutti i movimenti che lottavano per l'autodeterminazione, per una nuova società e contro il razzismo. Roba di quando si voleva cambiare il mondo; e quando si vuole cambiare il mondo, è bene che il mondo rimanga lontano. O nelle idee, se si vuole; e così, si creavano scenari collettivi mentre tutto il mondo stava esplodendo dall'Angola alla Palestina e scoccava l'ora del fucile. Un impeto di fratellanza e di condivisione pressoché totale con le lotte di liberazione dei popoli in lotta contro il colonialismo imperialista; i quali, appunto, lottavano in Angola, in Palestina, nell'Irlanda del Nord, ovunque. Terre lontane, abitate da gente mai vista. E chi lo aveva mai visto, un angolano? Di palestinesi, forse ci sarà stato qualche studente qua e là; e, del resto, l'impulso a scrivere questa cosa mi è venuto, nel tardo pomeriggio di stasera, mentre passavo casualmente a piedi davanti al cenacolo di Sant'Apollonia, nel centro di Firenze, dove hanno resistito al tempo le scritte degli studenti greci antifascisti tracciate sui muri negli anni '70, prima della caduta del regime dei Colonnelli. La Rivoluzione doveva essere nell'aria, e l'aria non è limitata ad un luogo, a una città, a un puntino nel mondo; l'aria avvolge tutto il pianeta, e la Terra intera era in collegamento. L'Angola era appena fuori dal tuo portone, la Palestina sulla strada accanto. Le Pantere Nere erano in Santa Croce, la Grecia oppressa nel cenacolo, il Vietnam vittorioso nelle cartelle; giravano le idee, le teorizzazioni, i metodi, le pratiche adattate alle varie realtà. E i Dannati della terra stavano dappertutto, soprattutto perché se ne vedevano pochissimi. Ne arrivava, ogni tanto, qualcuno con viaggi rocamboleschi; le città erano diverse, e oggi se ne constata la scomparsa proprio mentre i Dannati della terra sono, finalmente, arrivati.

"La Grecia ai greci - PAS". Firenze, S. Apollonia.
Il problema è sempre il solito. Erano stati immaginati un po' troppo. Erano stati nominati Rivoluzionari per natura, fratelli e compagni per diritto, e trasformati sbrigativamente in popoli interi. In lotta, chiaramente; a condizione che la lotta fosse a casa loro, raccontata da libri e reportages, resa universale da film e canzoni, e vista quasi sempre attraverso dei leader, o figure carismatiche, o eroi, o martiri, o teoreti. Si arriva, probabilmente, a provare (forse inconsciamente) un certo senso di inferiorità collettiva: nessuno parla certamente della lotta di liberazione del valoroso popolo italiano, o francese. Ci vuole o un regime oppressivo, e allora è tutto el pueblo de España che lotta compatto contro Franco, o povo português che si libera dal fascismo salazarista, o ellinikos laòs che scrive sui muri di Sant'Apollonia; oppure qualche ignoto negro colonizzato e sfruttato, prototipo del Dannato della terra che infiamma le menti ed i cuori. Poi passa il momento. La Rivoluzione non viene fatta per motivi che non sto a spiegare. Le scritte sui muri sbiadiscono. Non si muore più ammazzati dalla polizia italiana mentre si manifesta per l'aggressione all'Angola. Ci si rintana in filosofie orientali o in eroine, oppure si prendono le armi passando la vita in anonimi appartamenti aspettando che, una mattina presto, sfondino la porta i Carabinieri speciali e ti terminino in mutande nel corridoio, in laghi di sangue. Si va in galera a prendere atto, quale che sia; un giorno si esce, e si continua a vivere abiurando o restando fedeli, dissociandosi o tacendo, scrivendo libri o tornando in galera, morendo o tenendo conferenze. Se non si è, naturalmente, già morti, generalmente ammazzati. Nel frattempo, mentre accade tutto questo, i Dannati della terra non cessano ovviamente di essere tali; e, se si vuole, diventano ancora più Dannati. Ma non gliene frega più niente a nessuno, dopo un po'. Non si sono liberati un cazzo; anzi, in parecchi casi sono diventati ancora più schiavi. Silenzio o quasi. Cinque anni prima ci si sarebbe indignati e scesi in piazza per la Sierra Leone o per Timor Est, popoli fratelli e dannati; cinque anni dopo manco si sa più dove cazzo siano la Sierra Leone e Timor Est, forse accanto a Timor Ovest ma non è detto. Si manifestano i rimpianti, le disillusioni e le spietate analisi degli errori. Ci si continua peraltro a scannare verbalmente, perlopiù tra fantasmi. Qualcuno decide di fare carriera, non di rado in modo impensabile; qualcun altro si accontenta di un impiego sicuro, mette su famiglia, si trasferisce in campagna e scopre una vasta gamma di belle e interessanti cose, dalla medicina alternativa alla cucina tradizionale. Ed ecco, un bel giorno, che i Dannati della terra giocano un tiro mancino. Poiché nessuno o quasi li ha conosciuti, imbracciano la loro Dannazione e cominciano a arrivare a frotte.

Pigliano qualsiasi mezzo disponibile: gommoni, motoscafi, aeroplani, piedi, Trabant, camion, torpedoni, cammelli, navi fatiscenti, barconi, ogni cosa. Visto che le lotte di liberazione non hanno funzionato, cercano di liberarsi da pessime cose che -peraltro- sono aumentate: guerre, fame e malnutrizione, malattie, disoccupazione. Fermi restando la consueta tirannia (sovente in forma di democrazia) e lo sfruttamento; che è aumentato a dismisura perché il colonialismo diretto delle occupazioni è quasi scomparso, oramai i loro stati ce li hanno pressoché tutti, ma è venuto allo scoperto il colonialismo globale del Mercato, del Sistema capitalista trionfante, dei modelli culturali. Dalle nostre parti, che son parti di antica cultura urbana nella quale la solidarietà di classe aveva avuto elevati momenti tanto da far parlare di “territori liberati” per alcuni quartieri dei centri storici, siamo presi alla sprovvista. Anche e soprattutto perché 'sti Dannati della terra non corrispondono neanche un po' al gran bel libro di Frantz Fanon.

Ci tocca quindi scoprire in primis che, ai Dannati della terra, non gliene frega nulla della Rivoluzione e che non sono mica così internazionalisti come dovevano essere, porca paletta. I movimenti di liberazione non hanno lasciato traccia alcuna. In generale, i Dannati della terra preferiscono una qualche forma di essere soprannaturale, sotto varie denominazioni, che hanno scelto come supremo leader; invadono non solo le periferie, ma anche i centri dai quali, nel frattempo, gli abitanti autoctoni vengono coscienziosamente espulsi per far posto ai salottini, alle banche, ai localini alla moda, ai negozi per turisti, alle pizzerie a taglio, agli “stilisti”. Le vie un tempo “liberate” dalla Rivoluzione postuma ventura si trasformano in suk con gran costernazioni e isterie; e i Dannati della terra smettono di essere “fratelli”, “compagni” o roba del genere, e diventano più prosaicamente i Dannati di via Palazzuolo, di via Panicale, o delle Piagge, o di San Donnino. Le Dannate della terra magari somigliano pure un po' a Angela Davis, però battono a partire da una cert'ora sul viale Guidoni o nei pressi dell'uscita di Prato-Calenzano; altri Dannati della terra, provenienti non di rado da paesi mai presi in considerazione, cominciano a far dannare le classi medie, i loro giornali e le questure. Dai valorosi paesi d'un tempo giungono notizie sconcertanti: i palestinesi non vanno più dietro al compagno Arafat, ma a dei barboni che li mandano a immolarsi in nome di Allah. In Iran, la Rivoluzione non la fanno i Mujahedin del Popolo, ma altri barboni, il solito Allah e i veli che coprono le donne (esseri notoriamente impuri e diabolici). L'Angola si sfibra in lotte intestine (naturalmente e prontamente definite “tribali”). L'Irlanda del Nord tira avanti per un po', poi alla fine si stufa e tiene un po' di folklore, Shankill Road da una parte e i murales con Bobby Sands e la Bloody Sunday dall'altra, divenuti ottime attrazioni turistiche fotografate da ragazzotti di Lodi in posa davanti alla scritta “You are entering free Derry”. E i vecchi compagni d'un tempo, oltre ad essere appunto invecchiati, sono sempre di più in preda a rabbie terribili.

Il fatto è che avevano compiuto un errore, vale a dire quello di fabbricarsi rivoluzioni altrui (magari a sostegno della propria, certo) secondo ciò che avevano in testa; lo stesso errore, peraltro, di chi la Rivoluzione la andava a “esportare”. Rivoluzioni altrui senza conoscere nulla degli Altri, che comunque manco si vedevano. Rivoluzioni immaginarie, perché la fantasia è una cosa bellissima, ma non può andare al potere. La fantasia fa a cazzotti col potere. La fantasia, casomai, il potere lo dovrebbe distruggere; ma questo, forse, è un discorso diverso. Bellissime costruzioni che, alla fine, servono soltanto per il solito rimpianto dei “vent'anni” e per fabbricare il mito della “generazione”; il risultato è che questi vecchi compagni, magari ancora scannandosi, insultandosi e dichiarandosi odi inestinguibili, parlano di “generazioni” più della Bibbia. E, una volta messi davanti ai Dannati della terra, quelli veri che sono arrivati a centinaia di migliaia a sconvolgere tutto quanto, hanno reazioni a volte un po' contraddittorie e scomposte.

Chi se li vede nei quartieri popolari a rubare, spacciare e fregarsene di tutto e di tutti; chi se li vede nei campi di pomodori a prendersi caporalate e fucilate; chi se li vede unirsi non per rivendicazioni salariali o politiche, ma per avere una moschea; chi se li vede, una volta ammazzati in Piazza Dalmazia, preferire una preghiera culo all'aria allo scontro preconizzato; chi se li vede fare i furbi individualisti; chi se li vede lontanissimi dai propri ideali d'un tempo, agli antipodi, e comincia allora a provare rabbie spaventose perché loro dovevano essere così, come se li erano immaginati quando lottavano anche per loro senza che loro ne sapessero un accidente. Così, a volte, accadono cose curiose: ad esempio, si sentono parlare compagni e compagne sessantenni con accenti insoliti. I “fratelli” di un tempo sono diventati “stranieri” come nelle bocche di leghisti qualsiasi o di pensionati sull'autobus con la “Nazione” in mano; le “sorelle” che si stavano “liberando” e che “prendevano coscienza della loro condizione di donna”, sono diventate stronze succubi e puttane del maschio come nelle rabbie e negli orgogli dell'Oriana Fallaci. Pagano caro, questi Dannati e Dannate della terra, non soltanto il loro non aver corrisposto a ideali e a lotte sconfitte; pagano anche le ultime "speranze", quelle a base di presupposte ribellioni una volta constatato in che razza di posticino e tra che razza di gente sono arrivati. Questi, invece, non si ribellano una sega: lavorano, chiedono soldi fuori dai supermercati, pregano, cascano dalle impalcature senza dir nulla, accalcano le celle, si beccano i gazebi di Borghezio e il Casseri da Cireglio (PT), figliano, fanno qualsiasi cosa ma non scendono in piazza e spaccano ogni cosa. Se ne guardano bene. Arriva l'imam e rimette tutto a posto; sennò arriva la questura e li rispedisce alla loro Dannazione. Pagano tutto questo come se fosse stata, e fosse tuttora colpa loro, mentre si occupano di cose parecchio terra-terra: trovare un lavoro, un maledetto documento, soldi da mandare a casa, “integrazioni”, lingue da imparare, figli che cambiano pelle e cultura.

E pagano anche ulteriori idealizzazioni fatte sulla loro pelle. Riempiono le carceri non per lotte per i diritti e l'emancipazione, ma per miseri “reati comuni”. Sono guardinghi e stanno per conto loro, nelle “comunità”. Ogni tanto si trovano un leader che dialoga con le istituzioni. Qualcuno ottiene la “cittadinanza”, che però non è del mondo ma del solito, stupido, concreto Stato. Qualcuno viene suicidato nelle questure; qualcun altro viene pestato dal forzanovista o dal naziskin mentre i vecchi compagni ricordano, già, di com'eran belli i Dannati della terra letti nei libri. Com'era bello George Jackson mentre ora ci hai, nell'appartamento accanto, tre o quattro di quei negracci puzzolenti e ladri con la radio che manda musica di merda a volume altissimo. Com'eran belli i Dannati delle giungle, delle Ande, di Sabra e Chatila, mica come quei dannatissimi Dannati che son venuti dall'ex grande Unione Sovietica & satelliti ad essere chiamati porci ucraini, troie moldave, rumeni stupratori e albanesi assassini; questi, proprio, erano inattesi. E sono addirittura biondi, almeno in parecchi esemplari. Com'eran belli i Dannati della terra che ispiravano i Nuclei Armati Proletari, mentre ora ispirano i Nuclei della Polizia Antidegrado. Com'eran belli i Dannati della terra che regalavano a tanti giovani ricordi per passare la vecchiaia, mentre ora vendono paccottiglia in un centro città da cui la Storia è volata via assieme a libri che non legge più nessuno.