giovedì 30 maggio 2013

Una tranquilla cittadina



La foto mostra uno shtetl dell'Europa orientale colto in una bella giornata qualsiasi, a cavallo tra il XIX e il XX secolo.

Nell'Europa orientale (Ucraina, Polonia, Romania, impero Russo...) lo shtetl era il cuore della vita ebraica; il nome, propriamente, è il diminutivo dello yiddish shtot (città), ma uno shtetl era qualcosa di diverso sia da una città o cittadina, sia da un paese o villaggio. Spesso e volentieri, gli shtetlekh (forma plurale) erano vere e proprie "nazioni separate" all'interno di una città o di un paese; gli ebrei vi conducevano una vita del tutto diversa da quella dei non ebrei che vivevano nello stesso luogo; in pratica, ebrei e gentili potevano avere a che fare gli uni con gli altri solo per qualche incombenza quotidiana.

Frequente era il caso di città o cittadine divise precisamente a metà. La cittadina raffigurata nella foto aveva, ad esempio, all'epoca circa 16.000 abitanti, di cui 8000 ebrei e 8000 non ebrei. Non bisogna peraltro credere che gli ebrei fossero una "massa granitica": circa cinquecento di essi, ad esempio, ostentavano dichiarata indifferenza verso la religione, anche se alcuni di essi andavano in sinagoga per le feste comandate. In generale, comunque, si può dire che l'indifferenza religiosa non si manifestava con atti eclatanti di ribellione.

Gli ebrei della cittadina erano in gran parte commercianti (sarti, fabbri, fornai, macellai, carradori, negozianti al dettaglio). I mercati erano fiorenti e frequentati volentieri anche dai non ebrei, perché al marktog (il "giorno di mercato", che si teneva due volte alla settimana) si comprava bene. Il baratto al marktog era all'ordine del giorno: ebrei e gentili si scambiavano, generalmente, manufatti con prodotti della terra. Era rarissimo che vi fosse un contadino ebreo, quindi pollame, uova, verdure ecc. erano generi d'acquisto e di baratto.

La logica delle cose voleva che né gli ebrei, né i gentili potessero vivere gli uni senza gli altri; solo che si ignoravano, a parte qualche eccezione. Non si parlavano neanche tra loro, e non perché la lingua d'uso della popolazione ebraica, lo yiddish (ma così lo chiamavano i gentili, cioè "giudeo"; gli ebrei stessi, invece, lo chiamavano mameloshn, cioè "lingua materna"), fosse diversa da quella della popolazione non ebraica; i non ebrei intendevano alla meglio lo yiddish anche se non lo parlavano speditamente, mentre tutti gli ebrei conoscevano alla perfezione la lingua del posto. 

Con tutto ciò, all'interno di una città o di un paese le relazioni tra ebrei e non ebrei erano tranquille, tranne qualche episodio di intolleranza dovuto perlopiù a colossali sbornie, o a apprezzamenti più o meno spinti su qualche ragazza. Neppure i soldati rappresentavano un problema; ogni tanto colonne militari passavano per la cittadina, la attraversavano e se ne andavano. Nelle vicinanze non c'erano comunque grosse caserme o guarnigioni.

Ciò che dava veramente l'idea dello shtetl, era che, in generale, corrispondeva col centro della città. I centri storici erano quasi interamente ebraici, e quindi gli ebrei erano, in senso proprio, i "cittadini". La popolazione non ebraica, invece, viveva nei sobborghi e, soprattutto, nelle campagne attorno alla città; si trattava quindi dei "campagnoli" che rifornivano i cittadini ebrei dei generi di prima necessità. Questo portò ben presto all'identificazione degli ebrei coi "ricchi"; nel centro, gli ebrei vivevano in case a più piani, avevano a disposizione servizi e negozi, e agli occhi della popolazione rurale "vestivano bene". Naturalmente esistevano anche molti ebrei poverissimi che non riuscivano letteralmente a mettere insieme il pranzo con la cena. 

La cittadina raffigurata nella foto non era ricca. Esistevano comunque alcuni ebrei molto facoltosi, che si compiacevano di "opere di carità" ed erano comunque ben visti perché, in occasione delle festività, fornivano tutto il necessario per le celebrazioni e per i pranzi collettivi.

Il tempo atmosferico, nella località raffigurata nella foto, era generalmente abbastanza buono; non faceva mai certamente troppo caldo in estate, mentre in inverno le temperature non erano rigidissime. Nevicava molto, questo sì; la cittadina era attraversata da un fiume, la Sola, che non di rado gelava permettendo di attraversarlo a piedi. I contadini non ebrei, peraltro, sfruttavano la cosa: ritagliavano dal fiume ghiacciato dei grossi blocchi che vendevano ai cittadini ebrei che non potevano permettersi una ghiacciaia per conservare gli alimenti. A loro volta, gli ebrei si servivano sovente del ghiaccio per preparare e vendere gelati e gazzose, una loro specialità. Il gelato era comunque parecchio caro, anche se era considerato eccellente. Generalmente, i gelatai sostavano di fronte alla Beis Midrash, la scuola superiore ebraica (di orientamento religioso). Curiosamente, il ghiaccio con cui si preparavano i gelati proveniva da in fiume il cui nome, in ultima analisi, significa "salato".

Dimenticavo solo di dire il nome dello shtetl di cui ho parlato qui, e che è raffigurato nella foto. Si trova nella Polonia meridionale. In lingua yiddish il suo nome era Ohsvientsim, che riproduce esattamente il polacco Oświęcim. Storicamente, vi vivevano anche molti tedeschi che, a loro volta, lo chiamavano Auschwitz. Viene menzionato per la prima volta in un documento del 1117; nel 1270 lo ritroviamo organizzato sotto il diritto tedesco. Divenne polacco solo nel 1457, quando i sovrani invitarono appositamente gli ebrei a stabilirvisi; già nel XVI secolo erano la maggioranza della popolazione. Nel 1655 la città venne distrutta dalle truppe svedesi; cadde in seguito sotto il dominio prussiano, tornando alla Polonia soltanto dopo la I guerra mondiale. Un personaggio famoso è il poeta polacco Łukasz Górnicki, che vi nacque nel 1527. E' autore anche di ponderose Discussioni polonico-italiane.