mercoledì 16 gennaio 2013

I Wanna Be your Passantes


"Molte di queste canzoni sono in francese, probabilmente perché è la cultura francese che ha più ostinatamente resistito agli attacchi mortali della macchina musicale angloamericana. Così ho voluto cantare alcune di queste canzoni, sperando che la mia voce susciti nei miei ascoltatori le stesse emozioni che ho provato io ascoltandole’."

Nel maggio del 2012, Iggy Pop ha continuato il suo cammino di "Serial Crooner", intrapreso nel 2009, facendo uscire un album intitolato Après e rendendolo disponibile solo su Internet dopo alcune polemiche (forse strumentali) con la Virgin-EMI. Contiene canzoni di Edith Piaf, di Joe Dassin, di Serge Gainsbourg, di Henri Salvador. Secondo alcuni è andato definitivamente fuori di testa; secondo altri sta dando libero sfogo alla sua vena crepuscolare, se non addirittura decadente. Molto più probabilmente, a sessantacinque anni il signor James Newell Osterberg non ne poteva più di fare il rocker maledetto a vita e di lanciarsi dal palco con o senza gli Stooges.

Oggi mi è capitato di ascoltare la sua versione di quella che, a mio parere, è tra le più belle canzoni dell'intero ventesimo secolo: Les passantes di Georges Brassens. Tradotta in italiano da Fabrizio De André, e penso che sia conosciuta più o meno da tutti. Tratta da un poeta, Antoine Pol, rimasto pressoché sconosciuto fin quasi alla sua morte; una canzone, sicuramente, dalla storia non comune (che, se volete, potete leggere qui; tanto la storia l'ho scritta io, così almeno posso concedermi i miei annuali cinque minuti di autoreferenzialità).


Che dire? Certo, bisogna prima superare lo sconcerto iniziale della fantasmagorica pronuncia francese di Iggy Pop; io l'ho superato pensando a quella che il 99,8% degli italiani ha di qualsiasi lingua dichiarino di parlare (avete sentito la pronuncia inglese di Mario Monti? Seconda come comicità solo al tedesco del defunto Francesco Cossiga). Comunque non ci vuole molto, dopo essere stati catturati sia dalla voce con cui Iggy Pop canta questa canzone, sia dall'arrangiamento. Il quale non è per nulla lontano dalle versioni originali di Brassens; ci aggiunge soltanto dei particolari che, però, sono capaci di dare qualche brivido.

Devo confessare che, allo stacco della seconda chitarra sul verso "aux yeux qu'on n'a jamais revus" (gli "occhi mai più rivisti" della versione italiana di De André) mi son presi i bordoni. Avrò anch'io, chissà, una vena crepuscolare e decadente; notturna di sicuro. Il tutto, di sicuro, acuito dal fatto di trovarmi di fronte a qualcosa di totalmente inatteso. Per farla breve, da tutti mi sarei potuto aspettare una simile versione de Les passantes, fuorché da Iggy Pop. Iggy Pop, nei miei ricordi, erano lontanissimi concerti a base di Search and Destroy e I Wanna Be your Dog. Oggi me lo ritrovo a cantare Brassens con una voce che mi ha rimescolato. Sarà l'età, sia quella sua che quella mia.



Ecco, alla fine vi pareva che non vi facevo sentire anche l'originale di Brassens. Lui, sicuramente, il francese lo pronunciava bene. Mi fermo qui, perché quando sento per più di due volte di fila questa canzone, foss'anche nello slang di Borghi di Paperopoli, rivedo un po' troppe cose della vita mia e di quella di tutti, e m'avvicino a qualsiasi porta che dà sulla notte. Una pacca sulla spalla al vecchio rocker di Muskegon, Michigan, però, bisogna che gliela dia senz'altro. Jay vea dediay se poemow.

P.S. A proposito, ai compatrioti sono solito ricordare che "Brassens" si pronuncia facendo ben sentire la "s" finale: "brassànss" (e non "brassàn" come ho sentito dire anche da un famoso anarchico milanese e da un imprecisato numero di cantautori). E' un cognome di origine occitana che significa, alla lettera, "dalle grosse braccia", "muscoloso".