mercoledì 29 febbraio 2012

Rossella libera, porca marò!


Siccome oggi è il blogging day per la liberazione di Rossella Urru, la cooperante rapita in Algeria quattro mesi fa e della quale non si sa tuttora nulla, non starò né a ricordare gli eventi, né a tracciare figure. Per questo basterà accedere a uno qualsiasi delle decine di blog, tra i quali l'ΕΣΑΝ, che hanno aderito all'iniziativa (tipo quello di Sabrina Ancarola). Mi preme soltanto ricordare che, assieme a Rossella, sono stati prelevati con lei dal campo di Rabouni Ainhoa Fernández de Rincán e Enric Gonyalons, e che questo blogghindèi è anche per loro e per tutti i cooperanti internazionali che sono prigionieri nel disinteresse generale o quasi.

Con Rossella si va a tragedie che definire semplicemente "dimenticate" è poco.
I campi di rifugiati saharawi? O da quelle parti non c'è che sabbia infuocata? Addirittura un "popolo"? Profughi? Più che dimenticati, queste qui sono tragedie che viaggiano nel territorio dell'inesistenza; eppure ci sono delle persone che non mollano. Un giorno pigliano i bagagli e basta, dato che le armi non ce le hanno e le hanno già vendute tutte a stati, staterelli e bande, e vanno a farsi un mazzo di culo senza che nessuno ne sappia nulla. Quando poi càpita che le rapiscono, ben che vada si beccano una peraltro scarsa pubblica opinione che esprime elevatissimi concetti nelle rubriche di posta della Gazzetta del Chupachups o del Corriere dello Schiavo, del tipo "Se la sono andata a cercare" o "Ma che ci vanno a fare?"

La stessa pubblica opinione che, però, non ha alcun dubbio su che cosa vadano a fare i nostri fùrgidi eroi, quelli delle "missioni di pace", quelli in divisina e uniformotta, quegli agli ordini signorsì, quelli dell'Afghanistan e compagnia bella. Quelli che i politicanti in tivvù chiamano sempre "i nostri ragazzi", e che invece son ragazzi soltano loro e se li tengano pure coi loro milioni di euro che paghiamo però noi perché vadano a giocherellare alla guerra (scoprendo ogni tanto che ci si muore). Quelli delle giovani mogli sempre incinte. Quelli dei funerali col bambino di due anni agghindato col basco della Folgore. E quelli dei marò che fanno pum pum ai pescatori indiani, e che se n'andassero a pescare più in là una buona volta.

Come si può vedere, per i marò si smuove immediatamente mezzo mondo. Crisi diplomatiche internazionali. Parte il sottosegretario, Staffan De Mistura, un signore che prima di essere cooptato tecnicamente da Monti ha fatto per quarant'anni il superinviato dell'ONU in ogni sorta di bordello planetario. Situazione costantemente monitorata. Prime pagine dei giornali. Analisi degli opinionisti. E porca marò, davvero. Rossella Urru è prigioniera da quattro mesi. Nessuna crisi diplomatica, nessun De Miscuglio, nessun monitor, nessuno sparacazzate mediatico. Per cercare di smuovere un po' le cose tocca organizzare un blogghindèi fra un due o trecento scalzi e gnudi come il sottoscritto, la Sabrina, l'Ermenegildo e la Genoveffa de' Pisis (quella del blog sulle trine antiche di Valenciennes).

Ora, c'è da essere parecchio e crudelmente realisti.
Nessuno si immagina che i rapitori di Rossella, Ainhoa e Enric, in qualche buco a sud di Tindouf, si colleghino con l'Asocial Network e si straccino le vesti impacchettando i cooperanti in posta prioritaria e rispedendoli a casa liberi.
Ancor di meno c'è da sperare che all'Asocial Network si colleghino dalla Farnesina e che, leggendo queste parole, parta immediatamente Sgràffan De Segatura per interloquire ad alto livello; anche perché, per tutte le Rosselle del mondo, i livelli sono costantemente infimi.
Magari, d'ora in poi, sarebbe bene che tutti i cooperanti che vanno a cercare di fare qualcosa in mezzo alle merde del mondo col rischio di essere rapiti e ammazzati, si muniscano prima di partire di divise da marò. Suona sempre meglio. Nelle città ci sono persino i negozi di abbigliamento del cazzo che si chiamano "Marina Militare" e "Armata di Mare", se si chiamassero "Cooperazione Internazionale" non li venderebbero mica i golfini blé.

Ma se a una mezzaseghina di niente potrà servire questa cosa perché Rossella torni a casa, e poi magari ostinatamente a farsi il culo per gli altri che niente di straniente hanno, la fo volentieri e la rifò anche se me lo chiedono. Con tutta una salva di porchemarò e d'altre bestemmie a quel cristodiddìo, perché mi c'incazzo pure, e parecchio.

martedì 28 febbraio 2012

Fenomenologia del DD (Dialogaiuolo Democratico)


Se proprio devo scegliere tra degli infami, preferisco sempre quelli che lo sono apertis verbis, senza ripensamenti, organici, schierati chiaramente. Per questo non parlo mai, ad esempio, di quel che scrivono sul Giornale o su Libero; oppure, che so io, di uno come Giovanardi. So esattamente che cosa aspettarmi, e non c'è altro da dire se non che obbediscono con minore ipocrisia al loro compito e alla loro vocazione di servi.

Gli infami che mi fanno più schifo, dato che assommano in sé i massimi gradi sia dell'infamia che dell'ipocrisia, sono altri; in questi giorni imperversano. Cadendo da quel traliccio dell'alta tensione, Luca Abbà -se mai ce ne fosse stato il bisogno- li ha definitivamente messi a nudo. Il lessico della lingua italiana imporrebbe di chiamarli dialogatori; sono quelli che, di fronte agli eventi e a una lotta che si sta facendo sempre più vasta e dagli orizzonti sempre più dilatati (come dire: una stretta valle che si sta trasformando in un oceano), non hanno neppure il coraggio di mettersi decisamente da una parte, e di tenerla. Non so se sarà un caso (forse che sí, forse che no), ma almeno in gran parte hanno a che fare col "Partito Democratico".

Da qui l'appellativo siglato di DD (Dialogaiuoli Democratici) che ho loro affibbiato. Il genius della lingua toscana permette spesso di questi usi dileggiatori dei suffissi formativi, di modo che un dialogatore di siffatta consistenza possa essere opportunamente riportato alla sua più intima natura. Nominarli come dialogatori potrebbe far pensare ai dialoghi platonici, mentre qui stiamo discorrendo di volgari puzzoni, di ròiti in cravatta, di mentitori in affitto, di pedine su scacchiere sporche di sangue. Il termine creato di dialogaiuoli soccorre perfettamente all'uopo.

A costo d'essere ripetitivo, ma è una ripetizione corroborata da' fatti, la corona e il blasone del Principe de' Dialogaiuoli Democratici spettano a lui, a Gian Carlo Caselli. Costui riassume in sé tutte le più fulgide virtù del DD, un paradigma vivente; le sue dichiarazioni di ieri, 27 febbraio 2012, a Repubblica pongono veramente le basi di una nuova disciplina: la Fenomenologia del Dialogaiuolo Democratico. Ascoltiamole nella sua interezza, con l'avvertenza che potrebbero avere effetti emetici incontrollabili sulle persone soggette a tale tipo di reazione fisiologica:



I capisaldi del DD sono tutti perfettamente espressi nella breve intervista a questo personaggino.

1)
Captatio sinceritatis: Lui si esprime con assoluta sincerità, è sinceramente dispiaciuto, si augura sinceramente, auspica il dialogo sincero. Un autentico delirio di sincerità quale si riscontra regolarmente nelle bocche dei più cronici bugiardi. Afferma che il dramma personale di Luca Abbà (un dramma personale "leggermente" aiutato da un rocciatore della polizia che gli era stato messo alle calcagna, verrebbe da far presente) è un prezzo troppo alto da pagare e privo di significato; per il Caselli, evidentemente, i prezzi che invece possono essere pagati e che hanno un significato sono a base della galera che distribuisce a piene mani a coloro che si oppongono alla TAV. La sua preoccupazione è che non si innalzi la tensione, senza però mai chiedersi chi la innalzi veramente, spingendo magari un militante che sta scappando verso un traliccio caratterizzato da una tensione altissima. Perché, se non fosse salito su quel traliccio, Luca Abbà avrebbe certamente dovuto pagare il giusto prezzo di una scarica di botte e, chissà, di un arresto; cose che, per il Caselli, non sono drammi personali. Così come non lo è il fatto che, una volta caduto da quindici metri, Luca sia stato fatto rimanere a terra dalla polizia, senza far avvicinare i soccorritori.

2)
Si vis pacem para bellum. Ascoltare il Caselli quando, accoratamente, parla della manifestazione pacifica di sabato scorso che faceva ben sperare equivale a un'istigazione a delinquere. La manifestazione di sabato era stata convocata esattamente in risposta ai suoi arresti, e la sua pacificità era stata raccomandata dagli organizzatori che desideravano una risposta numerica imponente (che c'è stata). Al contempo, lo Stato preparava il blitz di ieri. La manifestazione non era ancora del tutto terminata, quando già le autocolonne di blindati di Polizia e Carabinieri stavano salendo in Valsusa per l'occupazione militare della Clarea. Il DD è sempre per la pace, per la legalità, per la bassa tensione; così può, da un lato, perpetrare tutti i suoi compiti di servizio repressivo senza essere eccessivamente disturbato (e permettendo una "valvola di sfogo" che non si stanca mai di raccomandare con le buone o con le cattive) e, dall'altro, atteggiarsi a sincero democratico che protegge il buon oppositore da quelli cattivi. Al Caselli dev'essere sfuggita l'assunzione collettiva di responsabilità che è stata la cosa più importante della manifestazione di sabato, espressa persino da alcuni amministratori locali. La preoccupazione vera dei Caselli non è né la salute del militante, né lo svolgimento delle manifestazioni: è garantire un clima adatto e ben regolato per la devastazione della Valsusa.

3)
Inanis dialogi cupiditas. Punto nodale. Ci dev'essere sempre il dialogo. Però non si sa mai bene in che cosa consista, o meglio lo si sa benissimo ma non lo si dice mai. Chiamasi dialogo, per il DD (e per l'intero Partito Democratico cui Caselli fa notoriamente riferimento), quella condizione in cui tutto viene ricondotto a inutili chiacchiere istituzionali che permettono, giustappunto, l'instaurazione del clima pacifico, anodino e totalmente vuoto, che presiede al mantenimento dello status quo e alla prosecuzione degli interessi economici e politici di cui egli è ubbidientissimo portatore. E', del resto, una condizione comunissima e planetaria: si pensi, ad esempio, al famoso ed eterno dialogo di pace israelo-palestinese, il quale sussiste però esclusivamente a condizione che nulla venga toccato delle prerogative di Israele, oppure al dialogo sul disarmo atomico per il quale la bomba H ce la possono avere soltanto alcuni, mentre ad altri sarebbe severamente vietato. Così funziona anche in Valsusa: il dialogo sarebbe l'arma principale per realizzare tranquillamente il tunnel in santa pace, come è avvenuto nel sano Mugello ridotto a un colabrodo. Si dialoga e si scava. Si dialoga e si seccano falde e torrenti. Si dialoga e si sbancano montagne intere. Si dialoga e si preparano bretelle Incisa-Barberino, varianti di valico e mega-autogrill. Si dialoga e la gente lo piglia sí completamente nel culo, ma dialogando.

4)
Compensatio Casellii. La parte finale delle dichiarazione caselliane è, come dire, ecumenica. Questo signore, se non avesse fatto il magistrato, avrebbe potuto benissimo fare il papa. Dopo Iohannes Paulus II, Iohannes Karolus I. Una volta praticato il dialogo e il confronto rispettoso (del tipo: "Ehi, Valsusino, ora ti esproprio il terreno, ti polverizzo la casa, ti bucherello la montagna, ti strafotto la toma d'amianto e ti uraneggio la baita, però portami rispetto"), Caselli auspica (ma quanto auspicheranno, questi qui...?!?) che se alla valle qualcosa sarà tolto, le possa essere restituito altrettanto se non di più. La "compensazione futura" che non manca mai: in pratica, del tutto analoga al paradiso ne' cieli promesso dalle religioni dopo che esse hanno contribuito fattivamente alla creazione dell'inferno in terra. Sopporta cristianamente, Valsusino, ché un giorno ne avrai l'auspicata ricompensa. E dire che, tra i più accesi e duri NO TAV, di quelli disposti ad azioni a volte impensabili, ci sono parecchi cattolici con le rispettive comunità!

Mi scuso con questa esposizione un po' prolungata, che consentirà però di liquidare un altro paio di DD con non molte parole. Il savio, sincero ed ecumenico Caselli è servito perfettamente a presentare le technicae irrumationis preventive, quelle che vengono messe in atto prima di ricorrere all'eliminazione di chi si rifiuta di starci. Il Dialogaiuolo Democratico deve, del resto, tenere sempre presente la sua base, perlomeno quella che non è del tutto convinta dalle grancasse mediatiche, dai micheliserra, dai piergiorgi odifreddi e da quant'altri. Deve cercare sempre di non scontentare eccessivamente chi si dimostra ancora restio, e deve mantenere la posizione di equilibrio sbilanciato tipica, non per dire, del Partito Democratico. Nel senso che il PD sta interamente da una parte, quella dei devastatori, dei repressori, dei mafiosi, dei potentati economici; però deve apparire possibilista, pronto al confronto, eccetera. Insomma, l'ipocrisia spinta al massimo grado, in questa congrega di orribili infami. Che possano scomparire dalla faccia della terra. Che siano inghiottiti da qualche voragine da loro creata per avidità e per servilismo.

Con queste premesse, dicevo, è quasi possibile sorvolare sulla ministra Cancellieri, ministra dell'interno (altro nomen omen!), la quale pure invita caldamente al dialogo mentre comanda la truppa agitando spettri di infiltrazioni terroristiche al pari di Ezio Mauro, direttore della Gazzetta del Dialogo Democratico (alias Repubblica), che nel suo quotidiano intervento in video esprime il timore che la val di Susa rischi di diventare l'incubatrice del nuovo antagonismo violento. Oramai non è più possibile distinguerlo da Cossiga o da Manganelli. Parlano, questi, e raccomandano, pontificano, incarcerano, discutono, tirano giù dai tralicci, si arricchiscono, sbavano, tacciono, e sudano freddo senza essere visti. Non ci hanno mai messo piede, in Valsusa. Non sanno che tutto è già bell'e incubato, e che i loro sforzi e i loro dialoghi sono destinati a seppellirli. Non sanno, o forse lo sanno bene, i Dialogaiuoli Democratici con le mani luride, che saranno spazzati via.

Luca scrive canzoni. Una canzone per Luca.



Lunedì del valsusino, oggi non si lavora
si va tutti al presidio almeno per un’ora.
Operai che tutti siete fate così,
per solidarietà, è doveroso con chi presidia,

per solidarietà, e gnanca al lunes travajo pà.

Martedì giorno di marte, arrivan bastonate
non si arriva nè si parte, tutti a far barricate.
Operai che tutti siete fate così,
per solidarietà, è doveroso con chi presidia,
per solidarietà, e gnanca al martes travajo pà.
Poi di mercu la mattina, di nuovo a barricare
tutto il giorno sulla strada, non vado a lavorare.
Operai che tutti siete fate così,
per solidarietà, è doveroso con chi presidia,

per solidarietà, e gnanca al mercu travajo pà.
Giovedì d’Immacolata, giorno di gran battaglia
alla moda valsusina, si caccia la sbirraglia.
Operai che tutti siete fate così,
per solidarietà, è doveroso con chi presidia,
per solidarietà, e gnanca al giòbia travajo pà.
Venerdì giorno di venere, è il giorno dell’amore
con Venaus liberata, c’è grande gioia in cuore.
Operai che tutti siete fate così,
per solidarietà, è doveroso con chi presidia,
per solidarietà, e gnanca al vënner travajo pà.
E’ arrivato anche il sabato, c’è manifestazione
non si va a lavorare, con partecipazione.
Operai che tutti siete fate così,
per solidarietà, è doveroso con chi presidia,
per solidarietà, e gnanca al saba travajo pà.
E infine la domenica, giorno di grande festa
chi presidia resistendo, oggi riposa onesta.
Operai che tutti siete fate così,
per solidarietà, è doveroso con chi presidia,
per solidarietà, e gnanca la dumìnica travajo pà.

(Questa canzone si chiama Lunedì del Valsusino ed è stata scritta qualche anno fa da Luca Abbà, diventando ben presto una sorta di "inno" della lotta NO TAV. Luca lo sa bene che non esiste nessuna lotta, nessuna rivolta senza canzoni; ed è quindi con una canzone che voglio idealmente fargli forza nel suo letto d'ospedale. E' la rielaborazione di una canzone di molti anni fa, che -così spero- farà storcere il nasino a tutti i "nunviulenti", ai "dialogatori", ai "possibilisti". Con questi sistemi, e Luca lo sa fin da subito, ciò che si otterrà sarà soltanto un bel tunnel tutto uranio e amianto, la devastazione definitiva della Valsusa e, dulcis in fundo, un fenomenale cazzo nel culo. La giornata di ieri dovrebbe insegnare una volta per tutte che il tempo dei "dialoghi" è terminato, se mai è cominciato. Forza Luca, ché fra poco ce ne saranno da fare, di settimane come quelle che hai descritto nella tua canzone. Tutt* con te, e tu con tutt*!



E' cominciata di nuovo la caccia al NO TAV
I padroni, il governo, la stampa, la televisione.
In ogni valsusino che lotta si vede un black bloc,
Uniamoci tutti nella lotta e nella contestazione.

Ma ieri ho visto nel corteo
tante facce sorridenti,
le vecchiette, i quindicenni,
contadini e gli studenti.
Il potere ai valsusini,
no al treno dei padroni
tutti uniti vinceremo,
via la TAV dai coglioni.

Quando poi la truppa in armi
ha occupato la Clarea
s'è tirato sui gendarmi,
proprio una bella marea! (*)
Ed ho visto un militante
fulminato su un pilone,
da domani la beccate
tutta voi l'alta tensione.

La violenza, la violenza,
la violenza e la rivolta
chi ha esitato questa volta
non sarà con noi domani (**).
La violenza, la violenza,
la violenza e la rivolta
chi ha esitato questa volta
non sarà con noi domani.

(Ripetere tutto il testo una seconda volta)

(*) Possibile e libera variante:

Quando poi tutti i blindati
hanno fatto i caroselli
noi ci siamo ricordati
della faccia di Caselli.

(**) Il testo "canonico" della canzone originale di Alfredo Bandelli e del Canzoniere Pisano (è stata cantata anche da Pino Masi) recita: Chi ha esitato questa volta / lotterà con noi domani. La versione proposta nel presente adattamento è però quella originale di Bandelli, che escludeva dalle lotte chi non le aveva fatte da subito. Personalmente preferisco questa versione e l'ho ripristinata; però, chi preferisce mantenere questa "speranza", può cantarla come vuole.

lunedì 27 febbraio 2012

Luca, forza!


C'eravamo tutti, e ci siamo, su quel maledetto traliccio.Inserisci linkCe lo avevamo tutti il "rocciatore" alle calcagna, il "cacciatore di Calabria".
Siamo caduti tutti.
E siamo tutti là con te, fuori dal CTO di Torino.
Ci rialzeremo tutti, Luca.
A sarà dürissima, come duro è il tuo fisico di contadino, di montanaro.
Luca, forza! Cazzo, non mollare.


Aggiornamenti Radio Blackout
Aggiornamenti Baruda
Aggiornamenti NOTAV.info

(Per chi è a Firenze e dintorni:
Ore 17.30 Presidio NO TAV sotto la Prefettura
Informazioni da cpafisud.org)

Δε θα περάσουν


La foto che si vede sopra l'ho scattata in Valsusa. Ci sono andato, alla manifestazione di sabato; ma quella fotografia proviene dalla casa di una coppia di amici e compagni valsusini che mi ospitavano, assieme ad altri. Vorrei parlare di quella casa.

E' un posto raggiungibile con molta difficoltà, almeno per chi è abituato a guidare per le tangenziali o per le vie cittadine. C'è da salire, da Bussoleno, veramente su pe' monti. La strada, che è già stretta e infernale fino a una piccola borgata, dopo di essa diventa sterrata; un vero e proprio tratturo. Poi, un paio di vecchissime case di montagna. Una è semidiroccata; nell'altra, rimessa con le proprie mani, abitano i due compagni, lui e lei.

Nessuno dei due è nato in Valsusa; lui è toscano di Siena, lei calabrese. Ma stanno là da una vita e hanno perso le rispettive parlate. Sono valsusini e hanno le loro storie, che sono comuni e dure al tempo stesso. Prima di andare a una manifestazione, seppur grande, seppure enorme, è stato bene sia conoscerla dall'alto, la Valsusa, sia conoscere chi abita e combatte lassù tra le pietraie.

Poiché sono del tutto alieno dal fare racconti che abbiano anche un minimo di "folklore", voglio dire subito che in quel posto, seppur bellissimo, non mi riuscirebbe abitare nemmeno se mi ci pigiassero. E' una scelta, e probabilmente in quella scelta c'entrano parecchie cose a me sconosciute. Non ho nessunissima pretesa di conoscere delle persone in due giorni, neppure quelle che mi sono piaciute "a pelle".


Ci hanno messo sul tavolo un pezzo di pane nero, una toma düra come la lotta di quella valle e ci ho aggiunto una cartolina del movimento NO TAV con Obelix. Quand'ero ragazzo, a volte mi chiamavano Obelix anche se, sinceramente, non mi sono mai sentito di quelle dimensioni e di quella forza. Però me ne sono ricordato con un mezzo sorriso. Dal pensile di risulta che c'era in cucina comparivano le zampe di una gatta nera che dormiva. La gatta si chiama Venaus.


La mattina dopo, quella che dovevamo scendere poi di nuovo giù a Bussoleno per il corteo, non era primavera. Si era passati direttamente all'estate. Mi sono accorto di dove avevo parcheggiato il furgone, e m'è preso un brivido gelato: mezzo metro più avanti, l'abisso. La valle intera. Montagne altissime ancora innevate. I paesi, l'autostrada, le statali, la ferrovia, i campi. Di nuovo, come quando abitavo in Svizzera, m'è presa la mia "famosa" sindrome del marinaio in montagna, con tutti gli amori e tutti gli odi che comporta. Non sarà mai un posto "mio", la montagna; ma stando lassù, in due minuti di sguardi tutt'intorno ho capito tutta una serie di perché che non sto a dire. E ho capito definitivamente perché stavo là.


Uno fra i tanti, e anche fra i tanti che di quella valle non sono e non saranno mai abitanti. Uno che quella valle non dirà mai di avercela genericamente nel cuore o roba del genere, sparando roboanti espressioni di "solidarietà" che durano lo spazio di un'ora, o di un post. Uno che ha visto la passione umana, civile e combattente di chi, da anni e anni, sta lottando per i propri luoghi e per la propria vita devastata da un sistema bastardo composto di bastardi. Uno che ha capito che Valsusa può essere tutto, basta che lo decidano per i loro sudici interessi. Valsusa può essere qualunque cosa che ami e che sta per essere distrutta. Può essere la tua città. Può essere l'isola d'Elba o la campagna dove hai appreso e consumato i primi sogni in solitudine. Può essere la casa che ha raccolto le tue disperazioni, o anche semplicemente il luogo insignificante che poteva cambiarti la vita, e che magari te l'ha cambiata davvero. Può essere il tuo groviglio di relazioni e di scambi. Può essere la fontana rossa col secchio, o una semplice pietra. Può essere una strada che si perde in un bosco o un'idea che si perde nella foresta dell'esistenza. Può essere qualunque cosa che sei disposto a difendere ad ogni costo, perché appartiene a te e a chi è come te. E nessuno, nessuno, NESSUNO ha il diritto di togliertela.


E allora ci sono andato, alla manifestazione, disposto a scarpinarmi tutto il percorso con addosso uno zaino che sembrava un fardello militare. In un venticinque febbraio che sembrava giugno inoltrato, e il vento caldo e forte di favonio che scendeva giù di caduta dalle montagne. Camminando e urlando, senza retoriche e senza facili entusiasmi. Assistendo a pochi metri a dei ragazzi che stracciavano dei "fogli di via", e assistendovi assieme a quelle signore bianche lassù in cima, verso le quali ho rispetto proprio perché non sono mie. Accentuando anche il mio accento forestiero, perché valsusini lo si è lo si deve essere ognuno al suo posto, nella sua terra, nella sua lingua.



E vedere le case, case normali, case di gente e di vita, condannate a scomparire lungo il percorso. Case che sembrano lottare anche loro per l'esistenza. E pensare alle case dei distruttori, dei devastatori, dei questori, dei pennaioli prezzolati, degli stupidi "opinionisti", dei potenti. Le case, anche loro, parlano.

E vedere, ascoltare, toccare una fiumana di persone venute da mezzo mondo, perché quella valle lo sta riassumendo tutto, così com'è ora e così come lo stanno uccidendo.

E non indulgere mai a pensieri del tipo "sentirsi parte di una rivolta", perché la rivolta non è un corteo sia pur maestoso. Scacciare via a pedate ogni gratificazione personale, ogni divertimento, ogni facile allegria perché bisogna avere coscienza del motivo per cui si è là. Stamani stanno facendo gli espropri. Stamani un militante NO TAV della valle è in fin di vita perché, per una lotta, si sale anche su un traliccio e ci si fa fulminare dalla corrente a alta tensione. Si è disposti a questo e ad altro. Ci si assume le proprie responsabilità, singolarmente e collettivamente. E questo dicevano in quel corteo, dicendolo soprattutto ai luridi damerini della repressione, ai braccetti armati, ai democratici dei manganelli, delle reti e dei cantieri. C'eravamo tutti, e tutti abbiamo fatto le stesse cose. Questo dicevano.

E vedere, e capire, e sentire che nessuno si fermerà fino alla vittoria.

E capire senza nessun bisogno di altoparlanti o di notizie che i media di regime hanno la cacaiola, una merda che cola da ogni loro poro e che si esprime, ovviamente, cercando di ignorare o sminuendo quel che sta accadendo. Non sanno nemmeno più a quali pozzi di ridicolo attingere; li hanno seccati tutti, come le falde acquifere delle valli dove hanno voluto infilare le loro Truffe a Alta Velocità.

Il titolo di questa cosa, in lingua greca, è la traduzione di "No pasarán". Qualcuno mi ha fatto presente che li metto spesso, titoli in greco, e che non si sa mai come leggerli. Si legge De tha peràssun.

Come leggerlo, sicuramente, lo avrebbero saputo i greci presenti in Valsusa alla manifestazione, con le bandiere del loro paese. Ce n'erano tanti. Una bandiera nazionale che diventa simbolo di lotta universale, e come tale percepita da tutti, senza bisogno di nessuna spiegazione. La Valsusa è in Grecia, la Grecia è in Valsusa. I signori qua sotto venivano uno da Salonicco, l'altro da Monemvasià.


E poi, alla fine, tornare lassù dove dormivamo, la sera, e di nuovo la valle viva con le sue luci e il suo respiro.

E sapere di che cos'era accaduto alla stazione di Torino, dove non c'era nessun lupo che non perde il vizio. C'era semplicemente un servo obbediente, tale Spartaco Mortola, che continua a fare il suo lavoro, sempre agli ordini.

E la mattina, svegliarsi con uno strano incendio boschivo appiccato in più punti, là accanto, come già era successo; e fiamme, e fumo, e cattivi pensieri.

E, al ritorno, vedere sull'autostrada, da Torino fino quasi a Bologna, una lunghissima teoria di truppe che salivano su in forze, coi blindati. Andavano a espropriare. Andavano a allargare il cantiere. Ciò che stanno facendo in questo momento.

A sarà düra. Sí, ma per tutti.

Perché non passerete.

venerdì 24 febbraio 2012

'A sarà düra


Dürissima! Però, intanto, noi qui da Firenze si parte in tanti per andare a Bussoleno. Perché stavolta bisogna essere in tanti. Null'altro da dire! Tutto è stato già detto, ora si sta ognuno dalla sua parte. O di qui, o di là.

E chi non viene? Ci ha le magagne? Io parto con metformine, insuline, rosuvastatine, esteri etilici di acidi grassi polinsaturi, cardioaspirine, metoprololo e clopidogrel. Non sapete cosa sono? Meglio per voi! Oppure dice che è inutile? Se lo fotta nel suo culo merdoso, quello che dice!

Se ne riparlerà, di tutto questo. Dopo aver fatto tanti di quei chilometri. Dopo avergli urlato in faccia tutto. Poi ci sarà da fare ben altro, quando cominceranno (dice Manganelli!) gli espropri. Sí che sarà düra, ma nessuno gliela darà vinta.

E ora si parte. Arrivedòrci!

giovedì 23 febbraio 2012

...o non gli mancava la benzina?!?


In questo mondo moderno, e particolarmente in quella tragicomica sua parte che va sotto il nome di "Italia", ci sono alcune piccole cose le quali viaggiano costantemente in un territorio indefinibile che copre al tempo stesso la cronaca, la leggenda metropolitana, la bufala giornalistica, la realtà e la captatio alicuius rei fabbricata ad arte.

Una di queste è la celeberrima mancanza della benzina per la Polizia.

Credo di riferirmi a qualcosa che tutt* hanno, almeno una volta, letto su qualche giornale o rivista, ascoltato alla radio o visto in televisione. La cosa si svolge di solito così: viene intervistato un membro del sindacato di polizia (o un anonimo agente, o un funzionario che preferisce restare anonimo, o qualcun altro del genere), il quale denuncia una situazione insostenibile (nel proprio commissariato, presso la Questura della città X, o generalizzata) per la quale le autovetture della Polizia non hanno di che marciare. In pratica, lo Stato erogherebbe così pochi fondi ai suoi poveri ma fedeli servitori, da costringerli, almeno in certi casi, a pagarsi il carburante di tasca propria se non vogliono restare a secco. Seguono, invariabilmente, gli esempi: volanti rimaste ferme durante un intervento, agenti e ispettori spediti al distributore più vicino con le taniche, collette e autotassazioni per acquistare il carburante, parchi macchine in uno stato desolante. Una situazione che è riuscita persino a divenire letteraria, dato che se ne fa cenno anche in alcuni episodi del commissario Montalbano.

Degli aspetti della questione che ho elencato prima, vorrei occuparmi particolarmente dell'ultimo: quello che ho chiamato captatio alicuius rei fabbricata ad arte. E' quello più interessante perché, essendo appunto composto da cronaca, leggenda, bufala e realtà, riassume tutti gli altri e ne chiarisce perfettamente lo scopo. In pratica, ciò che si vuole ottenere è sempre maggiori spese per le "forze dell'ordine". Per fare questo, un sistema discretamente efficace è, da sempre, presentarle come sacrificate, abbandonate a se stesse e in una situazione economica che va dalla precarietà ai limiti del collasso. Con degli episodi, a volte, da Oggi le comiche: con tutta quella penuria di benzina e le macchine ferme, quando alla Polizia di Stato sono state donate tre economicissime Lamborghini Gallardo (325 kmh, circa 48 centimetri con un litro) una pattuglia ha pensato bene (il 29 novembre 2009 a Cremona) di sfasciarne completamente una (prezzo di listino: 189.331 euro).


(Parentesi: la Polizia di Stato ha fatto sapere che le tre Gallardo, poi diventate quattro, sono equipaggiate con "defibrillatore" e "contenitore per il trasporto di organi". Ora, poiché fino all'altro ieri una parte del mio lavoro consisteva giustappunto nel trasportare campioni di sangue, organi e quant'altro del genere -e si tratta quindi di una cosa che conosco molto bene-, vorrei far presente: a) che su tali mezzi il defibrillatore non è presente e non serve a nulla, in quanto può essere usato soltanto da un medico abilitato del 118 a bordo di un'automedica o di un'ambulanza medicalizzata; b) che io, ad esempio, effettuavo i trasporti urgenti a bordo di una vecchia Alfa 145 badando bene di non esagerare con la velocità, in quanto il fine del trasporto di un organo è quello di farlo arrivare a destinazione, senza schiantarsi a bordo di un bolide per fare i ganzini esaltati con la Lamborghini. Il trasporto di organi è regolato da un protocollo temporale che permette di effettuarlo senza mettere a repentaglio la vita propria e quella altrui. Si tratta quindi, evidentemente, di una purissima operazione mediatica e pubblicitaria di dubbio gusto, la supercar sanitaria. Ma fatemi ridere.)

La captatio fa quindi parte di ciò che chiamo Metodo del Minchiasignortenènte: insistere sulle "condizioni miserande" in cui il malvagio Stato tiene i suoi più fedeli servitori. Comincia la grancassa, mancano le benzine, e il giochino è fatto ad ogni manovra finanziaria. Quando poi ci sono le Genove e ogni altra occasione in cui vengono dispiegate le forze repressive, la benzina però non manca mai e si assiste a una parata di automezzi da far paura. Dovrebbe essere un aspetto di cui tenere parecchio conto quando la geremiade della benzina mancante viene messa in atto. Perché, in realtà, a questi signorini non manca assolutamente un cazzo di niente che sia nulla stracatanix.

Lo Stato ha bisogno di creare sempre l'atmosfera giusta. Non può mai limitarsi a finanziare le sue spese militari, le sue missioni di pace, le sue "forze dell'ordine" e i suoi armamenti facendolo e basta, ché tanto si sa benissimo come funziona. No. Deve anche convincere i sudditi che tutto ciò è giusto, sacrosanto, inevitabile per la sicurezza. E i sudditi, càspita, si convincono alla svelta!

Poi càpita che, in mezzo a tutte queste benzine mancanti, in mezzo a tutte queste penurie colme d'ingratitudine, in mezzo ai signori tenenti e alle loro minchie, in mezzo alle Lamborghini sfasciate e magari anche in mezzo ai Nicola Ciocia e alle loro torture, si scopra che il Capo della Polizia, il nomen omen Manganelli, riceve un emolumento annuo di seicentoventunomiladuecentocinquantatré euro e settantacinque centesimi.

Anche calcolando il prezzo mostruoso della benzina, che alla Polizia verrà comunque erogata totalmente defiscalizzata (un aspettuccio che non viene mai fatto presente!), mi viene a mente quanti bei rifornimenti di Volanti e di Pantere ci si farebbero, con quella cifra versata ogni anno a un boiardo di stato.

Ci si potrebbero far marciare chissà quante meravigliose Fiat Stilo della Polizia, vetture che sono riuscite nel miracolo di far apparire bella persino la Duna.

Ci si potrebbero comprare tre Lamborghini Gallardo all'anno per defibrillare e trasportare gli organi, possibilmente insegnando i rudimenti della guida ai coglioni in divisa che le mandano.

E tante altre cose.

Nel frattempo, il Manganelli, corroborato dal suo stipendiuccio da fame e presumibilmente senza problemi di rifornimento di carburante, spiega con democratica passione quanto siano pericolosi gli anarchici insurrezionalisti che si preparano all'assassinio.


Quando invece sono arrivati loro ad assassinare (tipo il ragazzo che si vede sopra, lo conoscete no?), sono certissimo che la benzina non gli è mancata affatto. Avesse voluto il cielo che fossero rimasti a secco!

Nella foto in alto: il capo della Polizia, Manganelli. Sono l'unico a pensare che assomiglia a Emilio Fede?

894° Quesito con la Susa


(clicca sull'immagine per ingrandire
questa tipica scenetta da centro sociale autogestito
prima di una manifestazione a lunga distanza)

mercoledì 22 febbraio 2012

Un vicolo senza nome


Il giorno che ti fecero il funerale era il tuo compleanno; ti avevano ammazzato come un cane, in casa e davanti ai tuoi genitori, tre giorni prima. Il ventidue di febbraio del 1980. Una cassa da morto il regalo che ti fecero per i tuoi diciannove anni. Tornavi da scuola, Liceo Scientifico Archimede, rione Nuovo Salario.

Ore 12,44, via Monte Bianco 114, rione Montesacro. Da queste parti, sai, si ricorda soltanto nei decennali: dieci, venti, trenta. Due anni fa tante belle cose, persino una clamorosa svolta nelle indagini che, poi, non ha svoltato da nessuna parte; il solito vicolo cieco. Il 22 febbraio del 1980, alle 12,44, io ero un po' più piccolo di te. Non avevo nemmeno diciassette anni. Quando diedero la notizia, mi cominciarono gli incubi, e non mi hanno lasciato. Tornare da scuola. Ti aspettano col passamontagna. I tuoi genitori immobilizzati. La lotta, la morte.

Perché gli facevi paura, una paura cane. Perché guardavi e prendevi nota. Perché producevi. Perché essere un militante, per te, non era giocherellare ma fissare, inchiodare. Quindi dovevi essere eliminato. Quello che avevi raccolto doveva scomparire. A diciannove anni avevi scritto tutto: nomi e cognomi, luoghi di riunione, amicizie politiche, legami con gli apparati statali. Prima di eliminare te, doveva essere eliminato il tuo lavoro d'inchiesta. Basta una perquisizione in quella stessa casa dove ti avrebbero poi ammazzato, pochi mesi dopo. Una perquisa, un'accusa e pure un processo. Il materiale viene sequestrato e si perde nel nulla.

Ho passato anni a chiedermi, quando ancora non c'erano i venti o trentennali, dove fosse finito il tuo nome. Dovevano avere eliminato anche quello. Poi è tornato per un po', e poi è scomparso di nuovo. Oggi è uno di quei numeri che non vanno bene. Trentadue. Chi vuoi che dica qualcosa per un trentaduesimo anniversario. Fra tre giorni avresti compiuto cinquantun anni e chissà cosa sarebbe stata la tua vita, perché questa domanda di base non mi riesce di smettere di farmela.

Magari ci avresti pure tu il tuo blog, che assurdità che mi vengono in mente. C'è tutta una serie di cose che mi piace pensare, ma non è il caso che le dica; o, forse, anche tu saresti caduto in preda a qualcuna delle disillusioni che creano così tanta atmosfera, come il famoso brandy. Ora parlano sempre di cuori neri, ma non è mai stata questione di cuori. Di intestini, piuttosto; come quello che ti perforarono con una revolverata, mentre cercavi di scappare dalla finestra ai tuoi assassini. E saresti comunque morto, perché eri al quarto piano. Specialisti in quarti piani, sempre; delle questure milanesi come dei condomini romani qualsiasi.

Avevi uno di quei nomi che hanno avuto una moda in certi anni; ancora adesso, s'indovina sovente l'età di una persona dal nome che porta. Mio fratello è del '55 e aveva un amico, di qualche anno più giovane, che si chiamava Valerio. Poi non ne ho quasi più sentiti; ora chi chiamerebbe così un figlio. E non so dire più altro. Ho evitato, come vedi, frasette di prammatica sulla rivoluzione, e ho evitato persino il classico "Valerio vive" perché mi sono fatto persuaso, oramai, che quando ti ammazzano sei morto e basta. Non c'è ritorno. C'è soltanto chi si è stati, e che cosa si è fatto, in mezzo a due date. In che cosa si è creduto, e come ci si è creduto.

Io abitavo, allora, in un quartiere periferico della zona sud di Firenze. In una strada del tutto insignificante, dove peraltro sono nato. Tra questa strada e la parallela correva, e corre tuttora, un vicolo sterrato, senza nome. Ora ne hanno chiuso metà con due cancelli; l'altra metà è sempre aperta, e serve sempre come parcheggio raffazzonato, specialmente quando c'è il lavaggio strade. C'era uno sfasciacarrozze. Avevo preso a chiamarmelo in mente, quel breve budello senza nome, "vicolo Valerio Verbano". Una volta mi scappò pure di dirlo, "vado a mettere la macchina nel vicolo Valerio Verbano". Nel vicolo dove...?!?

Ci sono passato davanti anche oggi. Senza fermarmi da mia madre, che abita ancora là. Trentadue anni da quando ti sei fermato a diciannove meno tre giorni. Da quando ti hanno fermato. Tutto, da queste parti, è un vicolo senza nome.



Boia


E così, alla fine, il Kasello Kasellante se n'è accorto di cosa vuol dire. Abituato com'è a andare nei salotti buoni a parlare di democrazia, abituato alle teleprediche santor-travagliane, abituato ai girotondi tutti giustiziagiusta-legalità-eroismo, abituato alla mitologia antimafia, abituato ai librini scritti con tanta passione civile poi regolarmente esaltati da Repubblica e presentati alla Feltrinelli, si dev'essere proprio trovato a malpartito in questi ultimi tempi, quando qualcuno ha cominciato a cantargliele belle sode, secche, senza sconti. Mettendolo nudo di fronte a quel che è: un servo obbediente, come del resto i suoi colleghi "eroi" della finta "sinistra" giustizialista e forcaiola (si legga con estrema attenzione, a tale riguardo, il "ritratto" di Francesco Saverio Borrelli pubblicato su Insorgenze, e senza saltare nemmeno una fotografia anche se, avverto, fa male, molto male. Un male di quelli da provare fino in fondo, per capire bene certe cose).

Ieri il Kasellon de' Kaselloni era, con la sua bianca chioma così telegenica, a Genova. Doveva, ma non mi dite, presentare un libro dal titolo altamente evocativo: Attacco alla giustizia. Uno di quei titoli che piacciono da morire agli amiconi del Partito Devastatore, al messia Saviano o al "Corriere della Galera" (titolo assai più appropriato per il Fatto Quotidiano). Però gli sta girando piuttosto male, all'Eroe da' Candidi Capelli; a Genova, ieri, c'era a aspettarlo un bel po' di gente incazzata a morte. Sapete come va: mentre lui scrive di attacco alla giustizia, lui e la sua "giustizia" attaccano senza quartiere e ben spalleggiati dai loro pool, dalla loro mistura di polizie, dai loro giornaletti di complemento, dai testimonial sempre pronti all'uso. Infatti, anche ieri, Genova era stata militarizzata a dovere.


Va da sé che il Kaselliere di Sua Maestà era stato invitato dal Sindaco, quella Vincenzi là che, come dire, è una vera e propria alluvione di iniziative democratiche. Eh, il fatto è che al caro Supermagistrato, stavolta, non ha creduto proprio nessuno. Quando ha fatto mettere dentro chi sta lottando per tutta una serie di cose che a quelli come lui vanno poco a genio, si sarà pure affrettato a dire che i provvedimenti restrittivi (ora non si dice nemmeno più "mettere in carcere", no) erano stati presi per fatti specifici e che non si voleva colpire il dissenso, ma se accanto a lui ci fosse stato Carlo Lorenzini, detto Collodi, ne avrebbe immediatamente approfittato per scrivere il seguito del Pinocchio. Di burattini, del resto, si sta parlando!

Guarda caso, i 26 arrestati NO TAV del gennaio scorso sono una vera e propria "antologia" di ciò che alle mafie politico-finanziar-giudiziarie della Torino-Lione fa più paura. Guarda caso, ci sono i cosiddetti ex terroristi, un "assist" imperdibile per cominciare a equiparare il movimento NO TAV al "terrorismo". Guarda caso la procura torinese è stata investita in pompa magna del compito repressivo, compito che il Kaselluccio e i suoi fidi sono lieti di assolvere con zelo. La vocazione alle "belle lezioni" a base di "giustizia", ciò che ha trasformato questo democratico paese, di fatto, in una dittatura giudiziaria con la santa benedizione dei progressisti. Galere, certezze della pena, rigalère, leggi speciali, esaltazione dei mandaingalera, ancora galere, e poi anche la presa per il culo suprema del vittimismo. Da questo punto di vista, le dichiarazioni "a caldo" di Pennabianca sono esemplari: "Un clima di odio vuole farmi tacere". Tacere?!?! Ma se è a parlare dovunque, il Kasellone! Una sera è dal "servitore del popolo" Santoro, il giorno dopo è nella libreria dell'attentatore ai tralicci, il giorno dopo ancora lo invita il sindaco, poi va all'università attorniato dai bravi studenti di prammatica che gli fanno tante belle domandine da aggiungere alla loro collezione, dopo quelle a Napolitano, alla Marcegaglia, alla Camusso e a Ibrahimovic...


Frigna tanto, l'eroico Kasellus, per il clima di odio. Come cantava uno, sempre di Genova...? Io vengo a restituirti un po' del tuo terrore, del tuo disordine, del tuo rumore...e del tuo odio. Perché sei tu, Caselli, che ci odi. Sei tu che ci odi a comando, perché te lo hanno ordinato, perché fai parte di un sistema che l'odio può esprimerlo impunemente mediante tutti gli strumenti repressivi e di morte possibili. Sei tu che manifesti odio ponendoti al servizio, tu l'antimafia, di una congerie impressionante di mafie tutte convergenti sul "progetto" TAV. Riprendo altre dichiarazioni del Caselli piangente dal sito degli Anarchici Pistoiesi: «Non la do vinta ai violenti, gli incontri si faranno in luoghi sicuri. Mi ricordano i camorristi». Ah, ecco. Era del tutto ovvio. Da un lato ci sono i terroristi, dall'altro i camorristi. Vale la pena riportare per intero il commento degli Anarchici Pistoiesi:

E’ singolare come chi difende gli interessi di un opera inutile, dannosa per l’ambiente e per chi gli abita attorno, permeata da pesanti infiltrazioni mafiose e regolata da una speculazione sistematica si permetta di tacciare di “Camorristi” chi lotta per un futuro diverso e per la propria sopravvivenza. D’altra parte il potere non ammette alterità e la combatte con le armi che gli sono consone: la diffamazione, la montatura, la violenza. Il nostro dice che non la darà vinta ai violenti, ma cos’è la violenza? E’ violenza un sasso? E migliaia di lacrimogeni CS, quelli che i trattati internazionali hanno vietato in guerra perché cancerogeni e mutogeni(!), utilizzati solo dalla polizia italiana contro le popolazioni in lotta e dall’esercito israeliano in Palestina, non lo è? Caselli è solo un cane da guardia ben pettinato del privilegio e degli interessi legati al suo partito di riferimento (il Partito Devastatore) e a quelli delle grandi lobbies economiche a loro collegate, la Impregilo di Ligresti, la CMC di Ravenna (della quale Bersani è stato dirigente), ecc…



Ci sarebbe poco da aggiungere, senonché il signor Voglionozittirmi continua a blaterare come una pentola di fagioli e non si ferma manco per il cazzo! Naturalmente, prima di proseguire, chi lo contesta viene regolarmente disperso da agenti in assetto antisommossa, viene pestato il vecchietto (vedi foto in alto), le strade e i vicoli di Genova vengono blindati...come dire, per far parlare l'Eroe, i sistemi sono questi e sono sempre a disposizione. Ed ecco cosa dice: "Se uno si limita a protestare, fa quello che la democrazia gli consente, ma dare del boia a un magistrato o a un poliziotto non è simpatico e non mi pare un granchè democratico." Come una "summa". Limitarsi a "protestare", perchè è quello che la "democrazia" consente. Però non è democratico dare del boia a un magistrato o a un poliziotto. E tu, caro Demokasello, vallo a dire proprio a Genova, dai. Un posto davvero adatto! O perché non vai a presentarlo a Bolzaneto, allora, il tuo libriccino di merda? Luogo più "sicuro" riesce difficile immaginarlo! Oppure perché non vai a farti a intervistare alla scuola Diaz, dove la democrazia si è prodigata in un delirio di consentimenti effettuati da poliziotti? E così di boia te lo hanno non solo urlato, ma te lo hanno pure scritto su parecchi muri. Eh, com'era bella l'antimafia, avrai forse pensato. Aridàteme Totò Riina!

lunedì 20 febbraio 2012

Quelli del Freccia Club


Quando c'era lui...
"I treni arrivavano in orario!" -diranno i miei piccoli lettori.
E invece no. Quando c'era lui, i treni pigliavano misteriosamente fuoco a Viareggio (uno spiacevolissimo episodio); però, in compenso, scomparivano le sale d'aspetto dalle stazioni. Ma chi sarà? Non abbiate a pensar male, e che io voglia evocare qualcuno dalle parti di Predappio; anche se, va detto, il personaggio in questione è pure romagnolo, essendo nato a Rimini il 29 ottobre 1953. Coi treni ci ha comunque a che fare parecchio, essendo l'attuale Amministratore Delegato delle Ferrovie dello Stato (dello Stato?!?!).

Non ne voglio, oggi, pronunciare il nome; ci ho come un fastidio alla ghiandola pituitaria che mi piglia nel pensare a quelle sillabe, e quindi soprassiederò. E' una ghiandola assai sensibile, e se magari qualcuno le ricorda pure che il tizio in questione è stato -ad esempio- segretario nazionale della CGIL Trasporti dal 1986 al 1991, si rischia seriamente un'insurrezione delle pituitarie. Dal 2008, è anche presidente di Grandi Stazioni, "società del gruppo Ferrovie dello Stato nata nel 1998 con lo scopo di riqualificare e gestire, anche commercialmente, le 13 maggiori stazioni italiane." Cominciamo dunque con lo stabilire un punto fermo: una grande stazione ferroviaria è oggetto, attualmente, di gestione commerciale. Non è più uno scalo dotato di servizi per i passeggeri, ma qualcosa che deve produrre, da gestire come un'impresa privata. E, infatti, con Grandi Stazioni, società di cui è presidente il manager pubblico di cui stiamo anonimamente parlando, le stazioni in questione sono state, di fatto, privatizzate.

Questo post si basa su una di quelle piccole notizie sperse nelle cronache cittadine dei giornali, e ha a che fare appunto con una di queste grandi stazioni; nella fattispecie, quella di Firenze Santa Maria Novella. Sembra che, ieri, il nostro Amministratore Delegato, nonché Presidente, fosse a Firenze per un'inaugurazione, assieme nientepopodimeno che al Sindaco della città (un altro di cui non farò il nome). Ci avevano da tagliare il nastrino per un servizio fondamentale reso alla cittadinanza e ai viaggiatori: il Freccia Club.

La stazione centrale di Firenze è, da qualche tempo, oggetto di restyling. Spesso e volentieri mi sono attirato qualche strale, dato che è quasi unanimenente considerata un capolavoro dell'architettura razionalista eccetera, progettata da Giovanni Michelucci rieccètera, artemoderna e pititì e patatà. Ora, il fatto gli è che, secondo me, è una delle stazioni ferroviarie in assoluto più brutte e cupe d'Italia, d'Europa e forse anche del mondo. Sarò insensibile ai richiami artistici, ma a me l'architettura razionalista di fascistissima memoria fa generalmente cacare; si è fatto tanto puzzo per abbattere una povera pensilina al suo esterno che sí, non sarà stata granché, ma pure la stazione intera è un emerito troiaio. Solo che guai a dirlo, come per il jazz. Ci sono delle cose intoccabili. La stazione di Firenze e le insulse (e noiosissime) cacofonie jazzistiche devono essere comunque sacre. Detestarle, e dirlo, può costare caro. Ma, tornando alla stazione di Firenze, tira via: l'importante sarebbe, come me la ricordo, che funzionasse come stazione ferroviaria, e stop. Che fosse quello e nient'altro che quello, e pazienza se qualcuno la ritiene un capolavoro e qualcun altro una schifezza. Guardiamo invece un attimo che cos'è adesso una Grande Stazione come quella di Firenze.

Per cominciare, non si può più pisciare liberamente. Non esiste più un gabinetto a gratis, perché i cessi pubblici sono contrari alla logica imprenditoriale. A Firenze devi mettere 70 centesimi in una fessura, ti si spalanca una porticina a vetri ed entri in un magico mondo di lucette azzurrate, di sanitizzazione automatica, di distributori automatici di dentifricio e preservativi. L'acqua nei lavandini è però costantemente ghiaccia marmata, la merda incrostata nelle tazze c'è sempre (e in abbondanza!), la carta igienica c'è quando se ne ricordano di mettercela, sui pavimenti si scivola che è un piacere e se non hai settanta centesimi esatti la porticina a vetri non ti dà il resto. L'alternativa è pisciarsi (o cacarsi) addosso, oppure reggerla finché non monti su un meraviglioso e pulitissimo WC di un treno.

Alla stazione centrale di Firenze non puoi più mangiare nulla che non siano le meravigliose e sanissime specialità di Chef Express e di McDonald's; quest'ultima ha occupato militarmente sia l'interno che l'esterno della stazione, mentre Chef Express presenta un minimarket dove puoi acquistare ottimi salatini dell'antichissima bottega di Olivia & Marino a novemila euro al pacchetto, panini al cromo-vanadio e bibite gassate che necessiterebbero di un annesso kit per la glicemia con siringa d'insulina annessa. Ogni altra possibilità di mettere qualcosa sotto ai denti è preclusa: la gestione commerciale della stazione prevede che la ristorazione sia concessa in esclusiva a imprese appaltanti. E l'impresa appaltante non è mai, che so io, il Premiato Forno a Legna di Pinzauti Mario o la Trattoria "Ribollita e Peposo all'Imprunetana" del mercato centrale.

La stazione centrale, a una cert'ora, chiude. Con tanto di cancelli. Ne va del decoro, perché c'era il degrado e ci andavano a dormire quelli brutti, sporchi e cattivi. Spazzati via manu militari. Una volta capito come si fa, ci hanno preso gusto: in fondo in fondo, chiunque si rechi alla stazione dopo una data ora, metti caso per una cosa assolutamente incredibile come prendere un treno, dev'essere guardato con sospetto. Hanno quindi cominciato con la chiusura della sala d'aspetto alle ore 22, anticipata dopo un po' alle 21. All'ora di chiusura, dei gentili incaricati passavano cacciando via chiunque era ancora dentro. Fuori c'erano tre gradi sottozero? E pazienza! Tanto fra poco parte il treno...sí....fra poco....fra pochissimo...l'intercity 599 viaggia con 340 minuti di ritardo, ci scusiamo per l'inconveniente...

E arriviamo quindi al famoso Freccia Club inaugurato ieri. In base alla notizia, il nuovo servizio si trova all'esterno della stazione e sarà utilizzabile per i viaggiatori che usano frequentemente Freccia Rossa. Sí, perché, nel frattempo, la normale sala d'aspetto all'interno della stazione è stata totalmente chiusa e eliminata. Non c'è più, e non ci sarà più. Chi usa frequentemente Freccia Rossa potrà andare, con emissione di una tessera e presentazione dell'economicissimo biglietto, accedere al Freccia Club inaugurato dall'Amministratore Delegato e dal Sindaco; gli altri possono scegliere tra:

a) Starsene a fare avanti-ndrè per la stazione, ma senza fumare e senza mettersi a sedere per terra, perché contrario al decoro;
b) Usufruire dell'atrio di fronte alla biglietteria, stanzone completamente aperto, freddissimo ma benevolmente dotato di comodissimi sedili in caldissima lega d'acciaio, morbidi come una pietraia del Tagikistan e opportunamente bucherellati per far provare l'ebbrezza della tortura cinese al proprio culo.

In compenso, come spiega raggiante l'Amministratore Delegato, La stazione sarà completata entro settembre. Con nuovi e fondamentali servizi per i viaggiatori, specialmente per quelli che non usano frequentemente Freccia Rossa (maledetti pendolari, studenti, pezzenti che usano frequentemente i regionalacci, paria degli oramai rari intercity, turisti):

a) una libreria Feltrinelli su due piani, dopo che in centro (a pochi metri dalla stazione) ce ne sono già due e, soprattutto, dopo che la medesima Feltrinelli si sta fagocitando tutto con piglio tipicamente proletario (come ben sanno quelli della libreria Edison):
b) un noleggio di automobili, che resterà particolarmente utile quando il Sindaco avrà finalmente privatizzato anche gli autobus;
c) infine, la cosa in assoluto più utile: la presenza dell'Ordine degli Architetti. Arrivate a Firenze, ovviamente col Freccia Rossa? Bene, la Grande Stazione ora vi offrirà direttamente la possibilità di un bel progettino per la vostra mansarda o per la ristrutturazione del fienile a San Gersolè, ché le campagne attorno a Firenze sono così in. Un bel monolocale in San Lorenzo dopo che saranno stati espulsi abitanti, extracomunitari e bancarellisti? Un loft di prestigio al posto del circolo Anarchico di via de' Conciatori? Ci si potrà pensare direttamente alla stazione!

Sí, perché -come dice il Sindaco- la Stazione è il biglietto da visita della città. E lui sí che se ne intende, di salottini; ci è fisso! Ci sono 59 milioni di persone che partono da qui, afferma; peccato che una cospicua parte di esse non siano mai certe di arrivare, come sa chiunque si azzardi a prendere un treno qualsiasi in questo paese. Ma gli fa eco l'Amministratore Delegato, annunciando, entro "uno o due mesi", l'inizio degli scavi della TAV sotto Firenze. E queste sono le notizie, che ho riportato, direi, seraficamente. Anche perché, in fondo, non sono queste le vere notizie.

La vera notizia è un'altra.

E' il fatto che non sembra fregargliene niente a nessuno.

E' il fatto che nessuno, nel leggere queste cose, nel vedere in che condizioni sono le ferrovie italiane riqualificate, nel vedere i treni cancellati per una cacatina di neve, nel viaggiare con ritardi mostruosi a prezzi sempre più cari, nel recarsi a fare i propri bisogni in cessi vomitevoli perché le ditte appaltatrici non vengono pagate, nel vedere i servizi pubblici totalmente eliminati, nello starsene al gelo e in piedi perché chiudono le sale d'aspetto (ma che cazzo di costo avranno, delle sale d'aspetto ?!?!), nel vedere lo smantellamento dei trasporti pubblici di qualsiasi genere, nel vedere, sentire e provare queste e decine di altre cose proprie non di cittadini, ma di sudditi, se ne stia là fermo, bouche bée, passivo, ringrullito, rassegnato, pecora, spesso persino contento che glielo stiano mettendo nel culo a sue esclusive spese.

Si prenderà con ammirata felicità la libreria totalitaria, penserà com'è bello averci l'Ordine degli Architetti, pagherà duemila lire per una pisciata, si farà il culo a tondini sui sedili in biglietteria e, infine, salirà su un meraviglioso, indimenticabile treno italiano. E la sua sala d'aspetto? Quella dove, da ragazzo, baciucchiava la ragazza prima di partire? Quella dove saltava in aria per qualche bomba d'agosto? E' diventata un Club.

domenica 19 febbraio 2012

Solidarietà con i poveri ladri!


Immaginate di essere degli onestissimi ladri, dediti alla famiglia e al lavoro, e che una fredda serata di febbraio decidiate di farvi un appartamento in una zona di Milano "davvero viva, autentica, e con un altissimo potenziale creativo" (Porta Ticinese, ndr).

Prendete i ferri del mestiere, e penetrate con competenza in un loft situato "in una piccola strada a sfondo cieco (...) della movida milanese, tra le più frequentate e caratteristiche, anche se degradata" (una puntina di "degrado" ci sta sempre bene, come l'angostura o l'olivetta). Pronti finalmente a iniziare la vostra dura e difficile attività quotidiana, accendete la luce e vi ritrovate davanti per prima cosa quanto segue:


Restate là un istante, con i pie' di porco in mano, i grimaldelli come sospesi a mezz'aria, le sacche e i borsoni mollemente abbandonati da una parte; vi guardate negli occhi, e dopo qualche secondo di gràvido silenzio, non reggete. Prorompete in una risata convulsa, irrefrenabile, cosmica!

Ma siete là per lavorare, e dopo un po', finalmente ricompostivi, decidete comunque di iniziare a cercare e a mettere a soqquadro, naturalmente con l'incentivo di un bel po' di sano divertimento. Cominciate con lo sventrare le poltrone ricavate dalle 500, magari infilandovi dentro a buco pillonzi i Topolini preventivamente e opportunamente distrutti. Cavata fuori una bomboletta spray, vi divertite a tracciare cazzi stylizzati sulle pareti, dopo aver cosparso tutto di Bostik ed avervi appiccicato i càndidi cuscini spiumati a dovere. Ohimè, non trovate nulla; però vuoi mettere avere a disposizione, tutto per sé, un simile concentrato di orripilanza arredatoria! Ma di chi sarà quest'appartamento? -si chiedono per un momento i lavoratori.

Proseguono, passano nell'open space adiacente e, ancora una volta, si trovano davanti a qualcosa che li lascia per un attimo interdetti:


Non è possibile!, pensano i ladri all'unisono; non ce la fanno più nemmeno a ammazzarsi dalle risate, come prima. Ma dove siamo capitati? Nella casa di un bimbominkia pieno di soldi?... Come spinti, forse per la prima volta nella loro vita, da un impeto di giustizia raddrizzatrice, si accaniscono in preda a sacro furore contro i Barbapapà, danno fòo alla prima pagina della Gazzetta dello Sport e all'Uomo Ragno e si trattengono dal fare altrettanto con i tre scooter, che invece trafugano in quanto bottino. Ma non è finita qui.

Percorrono il loft in lungo e in largo, oramai certi di avere una missione da compiere e cercando di non soccombere agli accessi di ilarità compulsiva che promana da ogni angolo; ma rischiano di non farcela più davanti alla seguente summa di cattivo gusto e di idiozia che travalica le distanze, unendo Italia e America nel medesimo anelito all'elettroencefalogramma piatto:


Dopo aver disciolto le statuette della libertà tricolorate con la fiamma ossidrica, si lasciano andare a un sabba liberatorio che preservi la loro sanità mentale. Non si sono mai trovati di fronte ad un simile ammasso di ciarpame: abituati come sono alla ricca opulenza delle ville, alla solidità borghese di certi appartamenti del centro ed anche alla finta sciatteria di monolocali da ictusmila euri al metro quadro, sono rimasti come abbagliati dall'ostentazione di un tale grado di imbecillità congenita. Ma di chi potrà essere tutto questo? Ad un certo punto, uno dei lavoratori ha come un'illuminazione, in tutti i sensi:


Ebbene sí! Doveva essere chiaro, palese, lampante fin dall'inizio!
Non poteva essere che l'appartamento milanese di Lapo Elkann!


Nella foto: il famoso imprenditore italiano mentre si riposa dopo una giornata di dürissimo lavoro. Per la cronaca, al posto del divano c'è adesso una voragine con i resti di un Barbapapà e di una Cinquecento.

Non resta quindi che esprimere tutta la nostra più convinta e piena solidarietà con i poveri ladri, la cui salute (fisica e mentale) è stata messa così a dura prova. Speriamo soltanto che i frutti della "visitina" siano stati comunque degni, ma consigliamo loro, per il prossimo appartamento, di informarsi previamente.