giovedì 27 dicembre 2012

Blocchetti di tufo


Chi deciderà di leggere questo post, deve sapere che non ci capirà assolutamente nulla. E' scritto esclusivamente per me stesso. 
 
Vent'anni fa meno un paio di giorni, dieci minuti dopo stavo già pensando a come sarebbe stato vent'anni dopo. Ora me ne sto qui, da solo, davanti a una cosa che parla di un muretto in blocchetti di tufo che non deve essere abbattuto in un comune laziale; un documento ufficiale e archiviato, credo lo si possa definire così. Eccoli, i famosi vent'anni dopo; e mi son prese delle grandi, enormi risate.

Ma non sono risate astiose o che vogliono, magari senza riuscirci, nascondere lacrime. Nulla di tutto questo; si possono permettere di essere semplici risate senza retrogusto, prive di rancore o di chissà quale rivalsa. Soltanto risate davanti a un documento contenente, fra le altre cose, un nome preceduto da una qualifica professionale. Non sono neppure risate di liberazione, o di catarsi, o di chissà quale altra categoria; quelle sono state già rise anni fa. Ora sono soltanto le risate, grandi ma per nulla smodate, di qualcuno che ride e basta.

Non c'è nulla da raccontare. Nulla da comunicare. Non mi piacciono le lettere retoriche indirizzate al passato. Non c'è da fare nessun bilancio, né da esprimere nessun rimpianto. Vent'anni dopo, in una serata a pochi giorni dalla fine dell'anno, m'è presa una normalissima curiosità; e questa mi ha condotto al muricciolo in blocchetti di tufo per il cui abbattimento è stato dato parere sfavorevole. Le risate sono cominciate dopo un primo momento di bizzarro sbigottimento; poi sono scoppiate, incontenibili.

Ma, lo ripeto, non v'è in esse alcun sentimento negativo. Anzi, proprio nessun sentimento in assoluto. Né odio e né amore. Non c'entrano nemmeno il muretto e i blocchetti di tufo; sono un modo come un altro per guadagnarsi la vita, del tutto onorevole sia per un muratore, sia per un avvocato. Sono soltanto una traccia casuale che la sorte ha voluto darmi vent'anni dopo; sinceramente, vent'anni fa non lo avrei pensato. Mi ero immaginato o visto altre cose, nell'agitazione mentale di quei momenti. Ma, ripensandoci a risate terminate, il destino ha sempre ragione. E' stato un modo allegro per suggellare questo momento, e sto bene.

E così, con tutta probabilità, le risate sono state rivolte a certe galline a motore in una torrida mattinata di un'estate lontanissima. A certe cavalcate senza mèta per le campagne. A certe nottate in una piazza e al suo nobile senso d'algore. Ai feticci e ai simulacri. All'ultimo luogo dove. Ai risvegli sudati e ai palliativi uno più buffo dell'altro. Agli anni che son venuti dopo e a tutte quelle interminabili conversazioni simulate con un fantasma, percorrendo decine di migliaia di chilometri. A sporadiche telefonate senza senso. Rivolte ai sogni e a quella loro caratteristica di preannunciare, in un modo o nell'altro, sempre cose non piacevoli; sono scomparsi tre giorni prima del 21 settembre 2011, quei sogni. Svaniti. Per questo stavo ridendo, in questi spettabili vent'anni dopo che non somigliano affatto a quelli dei Tre Moschettieri.

Significa che il giro è stato davvero fatto. E' stato un giro che ne ha, devo dirlo, combinate di cotte e di crude; il risultato, che quasi mi provoca altre risate, è che verso quei vent'anni fa ho come un senso di affetto, di bei tempi andati. Verso quegli anni in cui mi sembrava di soffrire come una città di bestie, e nei quali invece è andata a finire (spesso senza volerlo ammettere) che mi son divertito come un cignale. In cui ho lasciato tutta una serie di melasse per andarmi spesso, certo, a infognarmi in storie assurde e fantasmagoriche, ma che mi hanno fatto sortire vivo come un bambino piccolo. In cui ho seminato, credo, bene e male senza preoccuparmi troppo delle percentuali; ma qui mi corre l'obbligo di fermarmi, sennò diventa un bilancio. E proprio non ho nessuna voglia di farne.

I ricordi son diventati a macchia di leopardo, senza più nessuna logica. A parte certi avvenimenti fondamentali, belli o brutti che siano stati; a parte l'inizio su quegli scalini di una banca e la fine in una cucina davanti alle “spinacine”; a parte certe frasi dette e certi sguardi dati. Per il resto, tutto è sbiadito in un mar bianco dal quale però, ogni tanto, spuntano senza preavviso dei giorni qualsiasi, delle immagini sepolte chissà dove, delle fotografie perdute, dei gesti. Sono ragionevolmente sicuro che, se incontrassi per caso adesso la persona del muretto e dei blocchetti di tufo, avrei parecchie difficoltà nel riconoscerla all'istante. Nella testa si è fissata, per sempre, l'immagine su una panchina in pietra, con un cappotto blu e un cappellino piumato, di una giovane donna. E' quella che mi resterà, senza alcun aggiornamento possibile.

Mi resteranno anche Calabanana, certo, e una 128 Rally rossa targata Sassari. Mi resterà l'immagine di me stesso solo nella notte. Mi resterà via di Ruffignano un'ora e mezzo dopo. Mi resterà il ricordo di una busta in plastica piena di lettere. E anche verso tutte queste cose, ed altre ancora, l'istinto è quello di ridere, anche se più sommessamente. In piena tranquillità. Rido di tutti questi “anniversari” che ho propinato per vent'anni a me stesso, e a volte anche agli altri. Rido di tutta una serie di “amici” o “compagni” che son partiti allegramente verso il mio oblio. A modo loro, quel muricciolo e quei blocchetti di tufo del documento ufficiale sono stati geniali; si sono manifestati non soltanto al momento giusto, ma anche nel modo giusto. Con quel loro impareggiabile linguaggio burocratico o giuridico che fornisce, sapendolo leggere, insospettabili immaginazioni. Che fabbrica idee e mette, al tempo stesso, fine ad un percorso. Al giro. Così è andata, così doveva andare; ed è una risposta definitiva che dovevo a me stesso.

Sta piovendo. Ne sento il rumore benissimo, la finestra è aperta perché il gatto, naturalmente, va dentro e fuori. Stasera mi piace anche la pioggia, devo dire; ho come un vago senso di invincibilità. Sento che girano bene le rotelle, talmente bene da avermi consentito di ridere come a un infinito chiarore di lontananze che cominciano a saper essere presenti senza più incombere. Non ci saranno più né anniversari, né altro. Non ci saranno più sogni e voci. La mia vita è andata verso questo, la tua verso i blocchetti di tufo; e non te ne adombrare, se sopra ci ho fatto tra le risate più matte della mia vita. Ho riso bene, ma senza nessuna pretesa di essere l'ultimo. Ho riso bene perché ho vent'anni in più. Ho riso bene perché niente e nessuno mi ha sconfitto. Ho riso bene perché a Palmaiola non ci sono né muretti, né blocchetti di tufo.