giovedì 29 novembre 2012

Inverno



E così, mentre celebrano l'orgia collettiva delle loro "primarie", mentre due facce di merda si "confrontano" sui teleschermi, mentre tutto quanto, la repressione si abbatte ancora. Quanti arresti? Diciannove, venti, cento, che importa.

Gli spazi sono stati chiusi. Tutti. Anche io comincio a avere parecchia paura nello scrivere certe cose. Ho sempre detto che questo è un piccolo blog dimenticato, ma c'è chi non se ne dimentica affatto.

La loro "democrazia" e la loro "giustizia" martellano. Tutti devono uniformarsi. Noialtri, rinchiusi oramai in ghetti che verranno prima o poi smantellati. Quante energie spese. Quante attività piene di sogni e speranze. Quante vite spezzate.

E abbiamo un bel dire "andiamo avanti". No. Non andiamo avanti. Ci hanno massacrati, chi in un modo, chi nell'altro. Forse è anche giusto così. Dicevamo di lottare per una classe, per gli emarginati, per i più deboli. Cioè per noi stessi, perché siamo noi i più deboli.

E si sono riempite le galere e le case trasformate in galere. Loro ci hanno la "legalità", e non solo loro. Ce l'abbiamo anche parecchi di noi, ci è entrata dentro per forza. Il pensiero unico vince, e devi obbedire alle sue regole. Sennò finisce male.

Devi obbedire alla "democrazia", devi rispettare il signor giudice da vivo e da morto, ti è concesso di urlare un po' ma poi devi mettere la testa a posto perché sennò te lo fanno capire non solo loro. Anzi, prima di tutto te lo fanno capire tanti tuoi "compagni".

Puoi sì fare il NO TAV, ma il tuo dissenso lo devi "esprimere civilmente", così civilmente ti smembreranno la valle, la casa, il territorio, tutto. Puoi fare sì l' "antagonista", ma guai se antagoni troppo.

Deve restare tutto non soltanto nei limiti della "legalità", ma del gioco. Un gioco da ragazzi, anche per chi magari ragazzo non lo è più da un pezzo. Se giochi e basta, dai, ti si fa giocare almeno per un po'; poi basta.

Quando il gioco diventa troppo serio, allora ci pensano da qualche ufficio dove ex studenti di "umile famiglia" o ex studentesse di Trani provvedono a mettere la loro firma su un foglio di carta da trasmettere per l'esecuzione.

E ti finiscono di galere, e di multe. Prima danno, ma non sempre, qualche avvertimento a cura della loro polizia. La polizia sa essere benevolente. Ti sorvegliano. Ti scrutano. Ti leggono. Non hai mezzi per sfuggire, e poi a che servirebbe?

Prima di finire dentro, in una cella o in camera tua, dicevi di fare tutto alla luce del sole. Dicevi di non avere paura. Dicevi di "resistere", quante volte l'avrai detta quella parola? Dicevi di "non arrenderti". Ma per chi?

Per chi, magari, in questi giorni ha fatto a gomitate per andare a scegliere tra due tizi che non sono nulla. E lo sanno anche bene, che non sono nulla. Lo sanno bene che sono solo due marionette che ubbidiranno altrui, eseguendo fedelmente.

Per chi, magari, prova pure "simpatia" per te ma, venuta la tua alba, ti lascerà solo come un cane. Per chi blatera di "solidarietà" ogni giorno, ma non è disposto a rischiare più di tanto. E non è neppure da biasimare o maledire.

E allora ti lasci andare. Ed è orribile, lasciarsi andare. Orribile "fare altro", ma non c'è più scelta. Si finge di accettarlo serenamente, in quanto ineluttabile. Si prende coscienza dei rapporti di forza, e definitivamente.

La forza non è e non è mai stata nelle idee, se le idee non sono state aiutate dalla coscienza e dalla rabbia. La coscienza e la rabbia non si vendono al mercato. La coscienza e la rabbia non possono essere individualiste.

Si riconosce che la nostra individualità non serve a creare rapporti di forza che possano cambiare le cose; si riconosce anche che la propria azione collettiva, ancorché divisa, frammentata, spezzata da odi e incompatibilità insanabili, è troppo debole.

Si riconoscono tutte le baggianate della "comunicazione" esasperata. Ci si è creduti tanto forti perché c'era la Rete, ma la Rete ha creato soltanto parole su parole, mentre i fatti diventavano soltanto galere.

Ci siamo esaltati per i quattordici dicembre e chissà quali altre date, pensando che "fosse cambiato il vento". Il vento, invece, spira sempre da una parte sola. Abbiamo pensato di poterci opporre, e lo abbiamo fatto. Ma in pochi. E sempre meno.

Abbiamo sperato di non dover mai pronunciare la frase "e ora che ne sarà di noi". Anche perché non ne sarà nulla. Probabilmente continueremo. Qualcuno si fermerà. Non è più nemmeno un tradimento fermarsi, è comprensibile.

Abbiamo giurato di non dire mai che hanno vinto loro, e di continuare ad ammazzarci mentre non abbiamo più un lavoro, non abbiamo più un soldo, non abbiamo più chi ci stia a sentire veramente. A che è servita la "comunicazione"?

Ci siamo persi in mille e mille diatribe, sempre le stesse, sempre senza soluzione. C'è stata la repressione tremenda, e c'è stata anche l'autorepressione. Rancori senza fine. Accuse. Sarcasmi distruttivi. Anatemi. 

E io mi ritrovo qui, con un sigaro in mano, davanti a uno schermo. A fare qualcosa per sopravvivere. Perché, vivere, quello togliamocelo una buona volta dalla testa. Si sopravvive e basta, e non si sa per quanto ancora.

E si continua, sì, a dire fare organizzare; sapendo a che cosa si andrà incontro, prima o poi. Un bel giorno si diventerà come quei diciannove di oggi a Torino, preceduti dai ventisei, dai dodici, dai tredici, dai quaranta.

Oppure, un altro giorno, si diventerà come quelli che hanno scelto di mollare, di godersi la ragazzina, di scrivere stronzate sui pugili italoamericani, di esercitare il "ricordo", di accomodarsi in qualche passato.

Oppure ancora, si diventerà dei simpatici professionisti dell'attesa, o della consolazione che "servirà anche se non lo vedremo". Professionisti dell'illusione di aver creato un po' di coscienza.

Chilometri, scarpinate, panini impossibili a ore strane, finanziamenti, comitati, manifestazioni che non manifestano più nulla, presìdi per gli arrestati, arresti per i presìdi. La collezione delle denunce. Il solito avvocato di fiducia.

Le udienze preliminari. Il giudizio di primo grado. Il secondo grado che ti fa sempre vedere quanto si divertano a giocare a palla con te. I cantieri, i tunnel, i morti, i suicidi, i fascisti, le feste della legalità, gli estintori, i "qualcuno vive, i morti siete voi".

Poi, certo, ce lo avevano detto pure quei signori e quelle signore che, a vent'anni o giù di lì, stavano per fare la "rivoluzione". E' capitato che neppure dalla polizia io abbia sentito un disprezzo così profondo per chi è venuto dopo e si è ritrovato in altri tempi.

E' capitato che abbia sentito e letto più vicinanza a Cossiga che a Sole e Baleno. E' capitato questo ed altro, poi ho smesso di addannarmici. E' capitato di ricevere insulti, sceneggiate, dichiarazioni di inesistenza; e intanto tutto andava avanti.

Andava avanti e si avviava alla fine, all'ennesima fine. Non è, del resto, una novità capire che, comunque vada, loro faranno ciò che vorranno o che qualcun altro dirà loro di volere. Non ci sarà nessuna "sollevazione" anche se, oramai, siamo condannati a dire di crederlo.

Diventerà, tutto, la solita piccola anarchia personale, vissuta più o meno conseguentemente anche se ci sarà sempre qualcuno pronto a spararti mitragliate di coerenza (la sua, naturalmente). 

Oppure diventerà tutta una interminabile sequenza di assemblee dibattiti iniziative comunicati appoggi e via discorrendo. Dopo un po' ti sembrerà assai più rivoluzionario accarezzare il gatto che dorme o prepararti una zuppa di ceci bella calda.

Avrai da barcamenarti finché campi, e sodo. Proclamerai la necessità di abbattere il Capitale senza, in fondo, che tu abbia mai saputo perfettamente che cosa sia, 'sto Capitale. Lo intuisci e basta, il Capitale, sono entro determinati metri da casa tua.

Ci avrai in bocca la parola "globale" mentre il tuo globo si restringe sempre di più. Non lo vorresti, ma è così. Vedi sempre le stesse persone, le chiami "compagni" e vuoi loro bene. Un giorno, uno va via. Uno muore. Un altro si defila. Un altro resta, ma diverso. 

Quel posto là lo sgomberano. Quell'altro non c'è neppure bisogno di sgomberarlo, si autosgombera nell'impossibilità, nell'inconcludenza, nella povertà, nei gruppetti che dettano una linea che non sanno più manco loro quale sia.

Ti farai i tuoi figli e le tue figlie, oh le nuove leve, ci scherzi, sei felice, arresti domiciliari e pannolini, il digossino che te dice ahò ciai un pupetto, ma chi te lo fa fà. I diciannove usciranno e qualche altro Luca Abbà farà i tuffi dal traliccio.

Ti troverai nell'impasse di non poter mai dire che è stato tutto inutile, ma constatando che non è stato nemmeno utile. Troppo pochi. Troppo male in arnese. Troppo avversi l'uno all'altro, e guai a non esserlo. Fregati, come sempre, dalla maledetta "purezza".

Ah sì, dimenticavo. Te ne andrai, a un certo punto, nel Chiapas. O in Nicaragua. Te ne andrai dovunque, via dal tuo famoso "paese di merda". Te ne andrai in mezzo agli affamati, ai bambini scalzi, te ne andrai a inseguire le tue rivoluzioni. Lo hai sempre fatto.

Oppure resterai dove sei, tanto un posto vale un altro. In quel buco di casa tua arredato coi mobili della multinazionale che fa manganellare i suoi lavoratori. Coi tuoi libri, il tuo pc, il gatto adorato, il tuo amore lontano e l'Equitalia in cassetta.

In fondo a tutto questo, ti alzerai e aprirai la porta. La notte è fredda. Arriva dicembre. Dovrai trovare qualcosa da dirti di più intelligente della solita, gesuita "speranza". Dovrai pigliare il mondo e rovesciarlo, da solo.