mercoledì 24 ottobre 2012

Via dell'Argingrosso


Questa è via dell'Argingrosso.

Quella dell'indirizzo di casa sotto il titolo del blog, insomma. La strada dove abito. Quella dove invito a "venire a trovarmi di persona" coloro che "vogliono avere a che fare col sottoscritto", visto che non è possibile contattarmi sul Libro de' Ceffi. Quella dove mi spediscono la posta e le denunce. Quella dove mi viene, ogni tanto, a trovare la Digos. Quella dove gira libero il gatto nero, da un capo all'altro. 

È vista da un lato, probabilmente in un bel giorno di primavera. Quello che si vede, verdeggiante d'erba fresca, è l'Argine. L'Argin Grosso, appunto; ma il fiume non è immediatamente al di là. Prima c'è l'antico Isolotto, quello che ha dato nome a tutto il quartiere. Una volta era davvero un'isola fluviale, separata da un meandro che era detto, per la sua tortuosità, "Torcicoda". Via Torcicoda è una traversa di via dell'Argingrosso; c'è anche un ufficio postale rapinato, anni fa, dalle Brigate Rosse.



Questa è sempre via dell'Argingrosso, dall'altro lato.

Casermoni. Edilizia popolare. Il sottoscritto abita, a rigore, in un garage; questo era l'uso del luogo dove abito prima che fosse trasformato in civile abitazione. È Firenze come potrebbe essere qualsiasi altra città; fortuna vuole che l'Isolotto abbia comunque mantenuto una non disprezzabile quantità di verde. Parlerò un'altra volta più a lungo di questo quartiere, però.


Questa è invece una famiglia. Composta da dieci persone, tra le quali mi sembra di contare quattro bambini piccoli.

Abita, o meglio abitava, in via dell'Argingrosso. La mia stessa strada. Non li ho mai visti; o meglio, potrà essere capitato, chissà, d'esserci incrociati all'Esselunga. In via dell'Argingrosso c'è un supermercato di piccole dimensioni, ed alcuni negozi che stanno, generalmente, chiudendo. Ultimo in ordine di tempo, la cartoleria. Incrociati senza vederci, magari in coda alla stessa cassa; due mondi vicini che non si toccano. Del resto, non conosco neppure il 98% degli inquilini del mio palazzo. Nel cortile degli ex garages, siamo quelli delle "topaie" (però i topi sono stati sterminati da Niccolò Machiavelli e da Redelnoir); io e le mie due concortilaie. La guardiana del museo e la psicanalista di Tucumán. Poi ci sono i condizionatoristi e i cronometristi. Il resto, ignoti; e mi premuro di disertare regolarmente le riunioni di condominio.

La famiglia della foto è, come ci informano i giornali, di origini magrebine. Da quando è stato scoperto l'aggettivo "magrebino" (che i più mettono in relazione con "magro"), è stato mandato in pensione il vecchio epiteto di "arabo". Le famiglie sono in realtà due: si tratta di due fratelli con le rispettive mogli e con i figli. Vivevano, però, assieme. Non so, e non immagino, come dev'essere vivere in dieci in uno stesso appartamento in via dell'Argingrosso. 

Oggi sono stati tutti sfrattati.

La proprietaria dell'appartamento, sempre come informano i giornali, "non ne ha voluto sapere". I due fratelli hanno perso entrambi il lavoro. Sono arrivate le forze dell'ordine. Canone di locazione dell'appartamento popolare: euro 750 mensili, più euro 100 di condominio. Totale: euro 850 mensili. Da stasera, le due donne e i figli minorenni sono ospitati in case-famiglia; c'è il "family day", e c'è anche la "casa family night". I due uomini, invece, sono finiti all'Albergo Popolare. Quello che, un tempo, si chiamava dormitorio pubblico. Via della Chiesa, quartiere di San Frediano. E' un posto, quello, dove è improbabile che chi mi legge sia mai entrato in vita sua; io ci sono dovuto entrare parecchie volte, ma vestito tutto fosforescente e con strane valigie in mano. Servizio sanitario. Risse. Ubriachezze. Vomiti. Cacate. Una volta, anche un coltello.

Dicono che, solo nel mese di ottobre, in Firenze sono previsti 118 sfratti esecutivi.

Gente per la strada. Case-famiglia. Alberghi popolari.

Può darsi, sì, che le abbia incontrate, queste persone, da qualche parte in via dell'Argingrosso. Può darsi che abbia scorto qualcuno dei bambini andare a scuola qui dietro, in via dei Bassi; può darsi che abbiano percorso come me l'argine in un giorno di sole. E' grosso, l'argine; il nome della strada non è menzognero.

E può darsi che, un giorno, abbia anch'io pensato a tutte quelle facce incrociate, d'altri luoghi e d'altri tempi. Che abbia pensato, chissà, a da dove venissero. Su che cosa avessero aperto gli occhi alla vita. Su quali polveri, su quali montagne, su quali mari. Su quali miserie. Pensieri fugaci, perché non si creda che un essere umano passi la giornata immerso in tali meditazioni; anch'io, come tutti, ho da pensare alla caviglia di Jovetic, alla bolletta da pagare, alla fattura insoluta, a ritirare il piumino dalla lavanderia (quella, almeno, non è ancora chiusa), al doloretto strano, alle zanzare tigre.

Fino a ieri sera condividevamo, senza saperlo, la stessa aria e lo stesso paesaggio.

Poi, basta che suoni il campanello una mattina, e si presentino coi loro fogli e i loro ordini.
 

Questa è ancora via dell'Argingrosso, molti anni fa.

Una famosa scena di un film di grande successo vi fu girata, mentre era ancora in costruzione. Una sequela di cantieri al posto dei campi, al posto della vecchia Sardigna. La Sardigna era, a Firenze, il terreno, lontano dal centro, dove si bruciavano le carogne degli animali da lavoro morti; cavalli, somari, muli, ma anche cani e gatti randagi. Non era un bel posto, ma da qualche parte lo si doveva pur fare, specie in tempi in cui le epidemie erano un pericolo reale.

In quei cantieri fu girato il regolamento di conti coi Marsigliesi. Una scena esilarante.

Vi si vedono, mentre venivano tirati su, gli stessi casermoni di oggi. Chissà che non vi si veda anche l'appartamento dal quale, oggi, dieci persone, oppure due famiglie, oppure una famiglia sola, sono state buttate fuori così come vogliono il mercato e le sue leggi.

Può darsi che ora prenda e vada a farmi un giro per via dell'Argingrosso.

Dicono che sarà una delle ultime nottate dal clima dolce; tra poco arriverà il freddo.