mercoledì 12 settembre 2012

Ultras, Cavalli, Cristi, Imperatori, Rivolte


1. Introduzione

È la mattina dell' 11 gennaio dell'anno 532 nell'Ippodromo di Costantinopoli.

Una folla enorme è assiepata sugli spalti dell'enorme circo bizantino, la cui costruzione era iniziata, si dice, sotto il regno di Settimio Severo. Le corse dei carri sono, a quell'epoca nell'Impero Bizantino, ciò che per noi è adesso il calcio: sport e droga al tempo stesso, catalizzatrici di interessi economici di entità spaventosa, commistione profonda e totale con le fazioni politiche e religiose. I migliori conduttori di carri sono strapagati e contesi a vagonate d'oro nonché, naturalmente, idolatrati come semidei. Il passaggio di un auriga di grido alla fazione rivale è visto come un tradimento da lavare, se necessario, col sangue. Come si può vedere, i meccanismi attuali sono tutti già presenti; cambia soltanto lo sport, ma la cosa è di secondaria importanza. A Costantinopoli, sembra, vengono redatte ben due ἐφημερίδες dedicate alle corse dei carri, che vengono affisse ai muri e in spazi appositi creando ovunque assembramenti; l'importanza di tale sport è tale, che l'Ippodromo, situato nella parte meridionale della penisola costantinopolitana, non lontano dall'imbocco del Corno d'Oro, comunica direttamente con l'allora Palazzo dell'Imperatore, che allora non si era ancora trasferito alle Blacherne. E' stata, questa, una novità voluta proprio dall'attuale Imperatore, vale a dire Giustiniano. L'Imperatore e la sua corte possono passare immediatamente dal Palazzo alla tribuna imperiale dell'Ippodromo. Non lontano, sorge la principale chiesa della città e dell'intero Impero: la basilica di Santa Sofia. Dedicata non ad una santa, ma alla Divina Saggezza (Ἀγία Σοφία), si tratta in realtà della seconda costruzione che aveva preso il posto di quella primitiva, la "Grande Chiesa" (Μεγάλη Ἐκκλησία) inaugurata e consacrata il 15 febbraio 360 sotto il regno di Costanzo II dal vescovo ariano Eudossio di Antiochia. Nel secolo successivo, l'imperatore Teodosio II la fa ampliare e, in pratica, rifare; la nuova basilica, progettata dall'architetto Rufino, viene consacrata il 10 ottobre del 415 e ha un tetto in legno.

La costruzione della "Seconda Basilica" di Santa Sofia dal codice di Manasse.

Le fazioni ultras in cui la Polis era divisa erano in origine quattro, e prendevano nome, come più tardi nel Calcio Fiorentino, dal colore delle casacche indossate dagli aurighi durante le corse: Verdi (Πράσινοι), Bianchi (Λευκοί), Rossi (Ῥούσσοι) e Azzurri (Βένετοι). Quest'ultimo nome corrispondeva con quello dei Veneti (Vénetoi). Col tempo, le due fazioni dei Verdi e degli Azzurri avevano eliminato le altre; nel 532 Costantinopoli era in mano a queste due fazioni.

2. Azzurri e Verdi.

Le due fazioni degli Azzurri e dei Verdi, come ogni fazione ultras, si contrapponevano fisicamente all'interno dell'Ippodromo, con scontri violentissimi che venivano sedati a fatica dalle Guardie di Palazzo; ma, a differenza di adesso, le corse coi carri non erano affatto un evento quotidiano a Costantinopoli. Se ne tenevano soltanto dieci o undici sessioni all'anno, che duravano una giornata intera a partire dal primo mattino; in questo, anche per la loro solennità e attesa spasmodica (e anche per la loro natura), il paragone più immediato è forse col Palio di Siena. A nessuna delle sessioni mancava la coppia Imperiale.

Ben presto, le fazioni cominciarono ad essere associate alle dispute religiose, e già nella prima età bizantina avevano assunto una forte connotazione politica e si erano, di conseguenza, militarizzate. Va da sé che, altrettanto presto, erano state utilizzate pesantemente nella vita politica di Costantinopoli; in cambio, avevano specialissime agevolazioni e ricevevano compensi notevoli e incarichi di prestigio, a cominciare dall'ambito degli spettacoli. Insomma, nulla che non abbiamo ancora adesso sotto gli occhi.

I Verdi parteggiavano per il Monofisismo, vale a dire la forma cristologica (formulata nel V secolo da Eutiche, patriarca di Costantinopoli) secondo la quale la natura umana di Gesù era assorbita da quella divina, e quindi in lui era presente soltanto la natura divina. Politicamente, i Verdi radunavano i sostenitori di due nipoti di Anastasio I, che erano diventati i capi di una forte opposizione legittimista; in pratica, formavano una fazione Aristocratica, detta dei Contribuenti.

Gli Azzurri, o "Veneti", venivano detti i Miserabili e formavano, in pratica, il Partito Popolare. Erano forti sostenitori dell'Imperatore Giustiniano, dal quale erano coccolati, blanditi, utilizzati e, soprattutto, protetti con la più totale impunità nei loro numerosi atti di violenza. Giustiniano e la moglie Teodora erano stati loro capi, e avevano addirittura sfruttato le turbolenze di piazza (da loro spesso fomentate) per ascendere al potere. Come spesso accade, una volta conquistato il trono si erano proclamati immediatamente "sovrani di tutti" e avevano deciso di porre un freno all'indipendenza delle fazioni. 

La stessa imperatrice Teodora veniva direttamente da quell'ambiente; era figlia, infatti, del guardiano degli orsi dell'Ippodromo, una modestissima carica che il padre aveva ottenuto proprio perché legato alla fazione dei Verdi. La madre era invece una danzatrice che recitava in spettacoli osceni; la si potrebbe paragonare a una danzatrice del ventre o, come si dice ora, a una lap dancer. Alla morte del padre, la madre di Teodora si risposò, convinta che i Verdi avrebbero fatto ottenere anche al nuovo marito il posto di guardiano degli orsi; l'impresario addetto si lasciò però corrompere a suon di soldoni, e affidò il posto ad un altro. I Verdi ignorarono le proteste di Teodora e della madre, le quali si rivolsero agli Azzurri, che le appoggiarono. Teodora fu quindi legatissima agli Azzurri; il patriarca Timoteo di Alessandria, la convertì al Monofisismo.

Giustiniano era fautore di una politica del tutto lassista nei confronti degli Ultras, che facevano letteralmente quello che volevano. I Verdi erano "specializzati" in azioni di gruppo, attaccando la fazione rivale in formazione militare; gli Azzurri, invece, compivano anche delitti e vendette personali. Costantinopoli era divenuta la città più violenta del mondo, e veniva letteralmente devastata. Come è assolutamente logico e del tutto moderno, i Verdi e gli Azzurri avevano preso a distinguersi anche nell'aspetto esteriore e nell'abbigliamento; gli Azzurri portavano i capelli alla maniera dei Barbari, con la frangia sulla fronte, le tempie rasate e la chioma lunga sulla nuca (che veniva detta "alla Unna", κατὰ τῶν Οὑννῶν); tenevano inoltre barba e baffi alla maniera persiana. Quanto agli abiti, tenevano le maniche serrate sul polso e rigonfie sulle spalle. Quando si vedono ora, negli stadi e fuori, gruppi di Ultras calcistici chiamarsi Barbarians o cose del genere, esiste quindi un preciso e antichissimo legame storico; tra i "Barbari" e gli Ultras sportivi deve sempre essere stata avvertita un'identità. Ovviamente giravano tutti armati, con pugnali a doppio taglio legati alla gamba ed altre armi nascoste nei mantelli; ce lo raccontano non storielle, ma uno storico del calibro di Procopio di Cesarea nella sua Historia Arcana. Di notte, le fazioni si riunivano in bande e percorrevano strade e vicoli della città rapinando tutti coloro che incontravano e ammazzando chi li aveva riconosciuti e poteva denunciarli. Poiché gli Azzurri, appoggiati dall'Imperatore, godevano della più larga impunità, molti Verdi, per comodità e per paura, avevano cambiato bandiera; a Costantinopoli era diventato pericolosissimo essere un Verde, a rischio spesso della vita.

3. Sale la rivolta.

Giustiniano, come detto, essendo l'Imperatore di tutti e desiderando porre un freno al degrado della città, nella quale non c'era la benché minima sicurezza e che era suddivisa in quadrilateri della paura (un giornale come "La Nazione" avrebbe imperversato nella Costantinopoli dell'epoca...), diede ordine di agire al prefetto, che non era però Paolo Padoin o roba del genere. Il prefetto si chiamava Eudemone (Εὐδαίμων), nome che potrebbe tradursi con "Felice", il quale agì con zelo e fece compiere un'autentica retata di Ultras delle due fazioni. Sette di essi erano colpevoli di omicidio, e Eudemone li fece appendere per il collo (alcuni direbbero: impiccare) nel sobborgo di Sika, sul Corno d'Oro, sabato 10 gennaio dell'anno 532.  Due di essi, però (un Verde e un Azzurro), si erano miracolosamente salvati; in pratica, la corda si era spezzata. Si rifugiarono immediatamente nella chiesa di San Lorenzo, appoggiati dai titolari, i monaci di San Conone. Vigeva allora la consuetudine della clemenza riservata a chi si era rifugiato in date chiese; in particolare, il condannato che riusciva a chiudersi in Santa Sofia non poteva essere toccato. I soldati del prefetto Eudemone li attendevano fuori dalla chiesa, e le fazioni rivali rivolsero all'Imperatore una richiesta congiunta di clemenza, che Giustiano però ignorò totalmente.

La mattina della domenica successiva, l'11 gennaio 532, iniziarono le corse dei carri previste nell'Ippodromo; se ne dovevano correre ventiquattro nell'arco dell'intera giornata. L'atmosfera, visti gli avvenimenti del giorno precedente, era pesantissima; ma con una novità assoluta. Le due fazioni dei Verdi e degli Azzurri, infatti, si erano coalizzate contro Giustiniano. I Verdi perché già a lui avversi, e gli Azzurri per il trattamento loro riservato dopo che lo avevano, letteralmente, piazzato sul trono. 

Non c'era soltanto questo, ovviamente; già prima dell'episodio del 10 gennaio, le due fazioni erano in agitazione per le vessazioni di due funzionari imperali, Triboniano e Giovanni di Cappadocia (quest'ultimo prefetto del pretorio e responsabile, quindi, della tassazione necessaria per il mantenimento della corte Imperiale e per i non pochi e costosissimi capricci dell'imperatrice Teodora). I due erano, peraltro, importanti giuristi; a loro si deve, ad esempio, gran parte della redazione del Codice Giustinianeo. Erano però accusati di fare mercato della giustizia, modificando le leggi a pagamento e per convenienza (non so come mai, ma mi ricorda qualcuno...) e distraendo nelle proprie tasche i fondi delle finanze pubbliche. Si riteneva che nulla di pubblico, oramai, potesse non essere pagato due volte; la tassa allo Stato e la "mancia" all'esattore, per evitare tassazioni maggiori o la minaccia di rigorosi controlli "ad hoc". Da tutte le parti si chiedeva la destituzione di Triboniano, di Giovanni di Cappadocia e del prefetto Eudemone; e Giustiniano rivelò qui tutta la sua debolezza. Dopo aver spinto infatti gli Azzurri per proprio tornaconto ed aver garantito loro l'impunità, all'improvviso passò al giro di vite e alla tolleranza zero. A questo punto, la rimozione dei funzionari sarebbe però stata un atto di debolezza e l'ennesimo voltafaccia; ma Giustiniano, spaventatissimo, non ci pensò due volte e li cacciò.

4. La rivolta di Nika.


In questa situazione, si arriva all'inaugurazione della sessione di corse ippiche dell' 11 gennaio 532. All'entrata dell'imperatore Giustiniano e di Teodora, onoratissima sposa che Dio gli aveva dato, si levarono fischi, proteste, slogan di ribellione e infine un solo grido, un solo allarme: Νίκα, νίκα. Si legge nika, nika, e in greco significa: "Vinci, vinci", o "conquista", imperativo presente del verbo νικάω. Era il grido con cui la folla incitava abitualmente i conduttori dei carri, ma in quel momento aveva ben altra valenza: era un grido all'unione per rovesciare l'Imperatore. Da allora, quella sollevazione è detta, per questo, rivolta di Nika. Il primo esempio nella storia di sollevazione popolare guidata dagli Ultras.

Giustiniano, vista la mala parata, sperimentò l'importanza del collegamento diretto tra l'Ippodromo e il Palazzo, e vi si barricò dentro con le sue guardie armate in assetto di guerra. La rivolta incendiò immediatamente Costantinopoli: scontri, incendi, saccheggi, uccisioni di massa. La parola greca per "barricata", ὀδόφραγμα, vale a dire "rottura della strada", ebbe origine proprio a Costantinopoli in quei giorni e quando i greci cantano la loro versione di A las barricadas, Pano sta odofragmata, forse non sanno che quella parola è stata pronunciata già millecinquecento anni fa. Anche la grande basilica di Santa Sofia, il tempio principale della Cristianità orientale, fu data alle fiamme; col suo tetto in legno bruciò in un attimo.

Dal Palazzo dove si era rinchiuso in preda a maleodorati flussioni corporali, il gran Giustiniano cominciò col promettere la riduzione delle tasse, minacciando prima i rivoltosi ma rimuovendo immediatamente i funzionari più odiati. Troppo tardi; la rivolta pretendeva la sua detronizzazione, e Ipazio, nipote dello stesso Giustiniano e capo Ultras degli Azzurri, fu proclamato Imperatore. Dopo cinque giorni di rivolta terrificante, furono abbattuti finalmente i cancelli del Palazzo e Giustiniano si preparò alla fuga, naturalmente non senza i soldi: in gran segreto fece caricare tutto il tesoro imperiale su una nave pronta a salpare.

5. Interviene Teodora. L'inganno e la mattanza.

In una drammatica riunione del Consiglio Imperiale, l'imperatrice Teodora prese però in mano la situazione, rivelandosi ben più decisa dell'augusto consorte in preda alla cacaiola più sfrenata. In un discorso rimasto celebre, affermò quanto segue: "Anche se con la fuga mi dovessi salvare, non vorrò vivere senza essere salutata da imperatrice, tanto vale morire qui; se vuoi, hai il denaro e la nave è pronta, vai pure; quanto a me, sapevo già che la mia porpora sarebbe stato il mio sudario, quindi non fuggirò con te, io resto!". Giustiniano si rese forse conto della grandiosa figura di merda che avrebbe fatto di fronte alla storia, e ordinò di riportare il tesoro Imperiale che fece distribuire ai capi rivolosti e al popolo, vale a dire a tutti coloro che erano ancora nelle strade.

A difesa del Palazzo Imperiale vi era il generale Narsete, privo di rinforzi e quindi in enorme difficoltà; fu lo stesso Narsete ad occuparsi della distribuzione di una parte del Tesoro ai ribelli della fazione Azzurra, ottenendo la loro riconciliazione e la garanzia che tutti i rivoltosi sarebbero stati fatti convergere dentro l'Ippodromo. Nel frattempo, il famoso generale Belisario era giunto alle porte della città, reduce dalla guerra Persiana e con un gran numero di mercenari.

I capi ultras Azzurri, allettati dal tesoro Imperale, fecero effettivamente convergere tutti dentro l'Ippodromo; si accorsero forse troppo tardi di quel che era stato preparato. Una volta dentro, gli ingressi furono sbarrati e, il sesto giorno della rivolta, cominciò il massacro.

Le truppe di Narsete e Belisario entrarono dai diversi ingressi dell'enorme Ippodromo, montate su cavalli che stavolta non erano affatto quelli delle corse sportive. Ammazzarono tutti. Ipazio, l'Imperatore dei rivoltosi, e suo cugino Pompeo furono arrestati e messi a morte da Giustiniano; secondo alcune fonti, nell'Ippodromo furono uccise trentacinquemila persone, ma altre fonti parlano di cinquantamila. Si tratta, a tutt'oggi, della più sanguinosa repressione mai avvenuta di una rivolta in un solo giorno; da far impallidire persino la mattanza franchista nella plaza de toros di Badajoz, o la strage dei minatori in sciopero alla scuola di Santa María de Iquique. Così fu schiacciata la rivolta di Nika. Belisario, va quasi da sé, fu decorato da Giustiniano e ricompensato con l'altissima carica di magister militum, che lo poneva a capo supremo dell'esercito bizantino; lo si potrebbe chiamare, fatte le debite proporzioni storiche, un "Bava Belisario", anche se Giustiniano non trovò nessun Kaietanos Breskios o roba del genere. Il paragone non è del tutto fuori luogo, dato che durante la rivolta di Nika lo stesso Giustiniano ebbe a dire che Costantinopoli era in preda all' ἀναρχία. E' un termine parecchio antico, quello di Anarchia.

Per ringraziare Iddio dello scampato pericolo, l'imperatrice Teodora ordinò la grandiosa ricostruzione della Basilica di Santa Sofia, affidandola al famoso architetto Isidoro di Mileto e al matematico Anteo di Tralle, che progettò l'incredibile e enorme cupola schiacciata. E' la basilica che, ancora oggi, in grandi linee domina la città di İstanbul, come i turchi presero a chiamare Costantinopoli storpiando il greco εἰς τὴν Πόλιν. Basilica che fu fatta moschea da Mehmet II alla conquista ottomana di Costantinopoli, il 29 maggio 1453 e, infine, sconsacrata da qualsiasi religione e trasformata in museo da Kemal Atatürk, con la proibizione assoluta di ritrasformarla in tempio. Però, anche in Turco, il nome è rimasto quello: Ayasofya.

6. Breve storia della Colonna Piangente.

Nella basilica di Santa Sofia c'è una colonna di marmo, che è detta la Colonna Piangente. E' un fatto che, davvero, la colonna trasuda acqua. Da millecinquecento anni circa si dice che le lacrime dei rivoltosi di Nika stillino da quella colonna, risalendo dal terreno dove furono massacrati; l'unica colonna al mondo che piange lacrime di Ultras in rivolta, di Azzurri e Verdi, e di persone che forse non c'entravano nulla con le corse dei cavalli e che si erano ribellate contro uno dei tanti poteri dispotici della Storia. In realtà, la pietra porosa della colonna assorbe per capillarità l'acqua presente in una falda sotterranea. Dell'Ippodromo di Costantinopoli non restano che poche rovine murarie; i colonnati che lo ornavano furono abbattuti, i cavalli bronzei finirono sulla facciata della basilica di San Marco a Venezia e si salvarono poche cose, un obelisco egiziano detto di Teodosio, una colonna e l'altra curiosa e inquietante Colonna dei Serpenti, che facevano parte dell'Euripos, la "spina", vale a dire il divisorio centrale che separava le corsie di gara. Al posto dell'Ippodromo sorge adesso la principale piazza di Istanbul, l' Atmeydanı. La memoria non si è persa, però:  Atmeydanı vuol dire esattamente, in turco, "Piazza dei Cavalli". Come quella di Piacenza, insomma, anche se leggermente più grande.


L'Atmeydanı con in primo piano l'obelisco di Teodosio. Sullo sfondo, Santa Sofia.

7. Conclusione.

Forse qualcuno si sarà chiesto, ascoltando una vecchia canzone di Francesco Guccini dedicata a Bisanzio, che cosa intendesse dire con il verso: Che importa a questo mare se era Azzurro o Verde?; e questa vecchia canzone parla, invece, proprio della rivolta di Nika, di Giustiniano (l'imperatore sposo di puttana; Teodora era nota per i suoi insaziabili appetiti sessuali), per non parlare dell'Ippodromo che vi si nomina espressamente. Dei nordici soldati non si conoscono bestemmie in alamanno o in goto, ma una sguaiata frase in lingua gotica (o. forse, vandalica) riportata da un poeta arrabbiato nell'Epigramma 285 dell'Anthologia Latina: Inter eils goticum scapia matzia ia drincan / Non audet quisquam dignos educere versus. "Tra gli hurrà in gotico e i 'procuriamoci da mangiare e da bere', nessuno ce la fa a comporre dei versi degni di questo nome". Skapjam matjan jah drigkan in grafia gotica wulfiliana. E le lacrime sono una falda acquifera, e le rivolte continuano.