lunedì 28 maggio 2012

Fermata soppressa


La piazza è di una bellezza elegante, misurata, composta. C'era, ieri pomeriggio (ancora caldo e soleggiato, mentre poi, la sera, il tempo è mutato all'improvviso con pioggia e vento gelido), persino il trenino automobile, quello che porta in giro i turisti. Un tizio suonava la fisarmonica, mentre due altri (un uomo e una donna) facevano una specie di performance, raccontando la città e i suoi monumenti ai forestieri in dialetto bresciano. Ce ne stavamo in disparte proprio sotto la Loggia, quella che dà il nome alla piazza; un'atmosfera da sabato pomeriggio, i tavolini dei bar, poca gente. Su un lato della piazza, quello dove s'entra da Piazza Formentone, s'affitta un appartamento a un piano nobile. Dalla Loggia pende un manifesto con una bandiera tricolore che invita a liberare i nostri Marò (i quali vi sono raffigurati); la Loggia è costellata di lapidi di morti. I caduti di tutte le guerre; i partigiani; quelle delle Dieci Giornate. C'è anche, come dubitarne, il "bollettino della vittoria" del generale Diaz, quello che ha dato il suo nome a parecchie scuole (comprese le elementari del Ponte a Mensola, dove sono andato io, e una a Genova sulla quale hanno fatto anche un film); e, addirittura, sempre su una lapide, l'intero testo del decreto con il quale Alcide De Gasperi conferì alla città di Brescia la medaglia d'oro ad un qualche valore, non mi ricordo più se civile o militare, o forse persino tutt'e due. Valore più, valore meno.
 
Attorno al ventotto di maggio, a partire da quasi quarant'anni fa, qualcuno appone uno striscione dove si dice di non dimenticare, sul lato opposto alla Loggia. E' un pezzo della Lombardia veneziana; i palazzo coi portici e la torretta campanaria con l'orologio. Quest'anno, come si legge nello striscione, non dimenticano i pensionati CGIL, CISL e UIL. Nel guardarlo, mi chiedo come mai i "sindacati confederali" vengano nominati, anche per iscritto, sempre in quest'ordine; un vero e proprio mantra, "ciggiellecisleuìlle". Mai, che so io, "uillecisleciggièlle", o "cisleciggieleuìlle". No, si tratta evidentemente di un ordine che rileva della natura divina e, comunque, tale pensiero basta per distrarmi da quello della Camusso, di Bonanni e di Angeletti, e anche dei rispettivi pensionati non dimenticanti. Ci vuole una fotografia, certo; e qui il destino gioca uno scherzetto dei suoi. Dalla piazza passano diverse linee degli autobus urbani; esattamente il 2, il 10, l'11, il 17 e il 18. Curiosamente, mi dico gironzolando attorno alla fermata, il 10 era anche l'autobus che mi portava alla scuola Diaz, e il 17 fa capolinea proprio dietro la casa dove sono nato. In un'altra città, d'accordo; ma che importa. Ora, proprio in quel momento un autobus della linea 2 sosta alla fermata, che dev'essere anche il suo capolinea. Esattamente sotto lo striscione. E, così, i pensionati confederali che non dimenticano si confondono con l'autobus che dice, quasi minaccioso: Io vado a metano, e tu? 


Statti calmo, por favor. Io non vado a metano, me ne guardo bene. Quel che adopero come propellente, poi, saranno o no cazzi miei? Però, penso aggirandomi per la piazza come un perfetto ebete, e con indosso una maglietta rossa con la scritta L'unica chiesa che illumina è quella che brucia (me l'ero messa, lo confesso, in onore del maggiordomo del Papa), il faut que tout se tienne. I pensionati, chissà, non dimenticano a metano. Dal 1974 al 2012. Trentotto anni. Trentott'anni fa, mio padre venne a prendermi a scuola, ero in quinta elementare. Alla famosa scuola Diaz del Ponte a Mensola, quella senza il film. Aveva una faccia terrea mentre mi faceva montare sull'850 Special beige. Gli chiesi che c'era, e mi disse che era scoppiata un'altra bomba; e, allora, anche in quinta elementare bisognava saperlo che scoppiavano le bombe nelle banche e sui treni. Stavolta no; era scoppiata in una piazza. A Brescia. Di Brescia avevo sentito parlare solo per due cose: la squadra di pallone, detta Le Rondinelle, perché c'era sull'album delle figurine dei calciatori, e un curioso detto che mia madre usava sempre quando, tipo, sentiva una canzone piuttosto vecchia oppure in TV davano un film decrepito: le anticaglie di Brescia. Chissà perché, mi sono sempre chiesto, a Brescia ci dovevano essere le anticaglie.

Accidenti al cazzo, mi son detto, ecco che mi sono messo a ricordare pure io. Mi sono avvicinato alla fermata dell'autobus, che sarebbe stata soppressa. C'ero già stato una volta, in quella piazza, e casualmente un ventotto di maggio. Suonavano e cantavano, sempre per ricordare. C'era Ivan Della Mea e avevo portato due bottiglie di buon vino svizzero, perché allora abitavo nella Confederazione (non quella dei pensionati ciggiellecisleuìlle); andò a finire che divenni titolare della mia prima e unica sbronza assieme al lucchese milanese, e anche a Paolo Ciarchi. Mezzo briaco com'era, il Della Mea era andato a cantare Ringhera. E' una lunga, lunghissima canzone in spagnolo e in milanese. Parla della guerra di Spagna e della bomba che scoppiò in quella piazza; prima di andare sul palco, però, mi fu presentato un signore. Poi mi dissero che era il marito di una delle donne saltate in aria, e che la canzone parlava proprio di lui; era lui quello del tocc ross de bandiera. Mi venne da tirar giù una bicchierata di vino che avrebbe steso un cavallo. Accidenti ai ricordi, sì. Fermata soppressa. Ecco, dovrebbero essere soppressi come la fermata, i ricordi. Non servono a una minchia di niente.


 

Una piazza, i nomi, la croce, il manifesto originale della manifestazione antifascista che esplose, lì, una mattina che pioveva a dirotto; servirà a qualcosa continuare a chiedersi "chi sia stato"? Lo si sapeva già dal primo minuto dopo, che non era stato nessuno. E che eravamo stati tutti quanti. Siamo stati tutti noi, appiattiti sulla difesa delle istituzioni e su simili altre baggianate. Noi che scendevamo in piazza per "difendere la democrazia", quando era proprio la "democrazia" che ammazzava e massacrava, e continua a farlo. Per cessare di essere anche noi dei perfetti colpevoli, avremmo dovuto abbattere il nemico. Avremmo dovuto sbarrare la strada alla "legalità", ai giudici-eroi, alle deleghe rappresentative, alle "istituzioni", alle polizie, alle galere, allo stato intero. Quella sarebbe stata l'unica strada percorribile per conoscere, e soprattutto per praticare, la verità. Ora è tardi per stupirsi che in quella piazza, millant'anni fa, delle persone accorse a sentir parlare un tizio, un sindacalista, siano state fatte a brandelli. Ancor più tardi per esterrefarsi e indignarsi che non sia stato nessuno. Accusare lo Stato da un lato, e difenderlo dall'altro. Lo Stato buono e lo Stato cattivo. Lo Stato democratico e lo Stato deviato. E via intristendo, e via raccontandosi frottole, e via reclamando "verità" e "giustizia" quando l'unico modo per avere queste cose sarebbe stato insorgere e spazzare via tutto. Distruggere uno Stato che non esitava neanche un attimo a distruggere noi, però utilizzandoci per alimentare all'infinito il suo gioco di morte. 

E' ora di sopprimere tutte queste fermate, come quelle degli autobus di Brescia; gioverebbe, a tale riguardo, ricordarsi anche dell'autobus linea 37 di Bologna. Che dico ancora, ricordarsi. Azzerare tutto, invece. Cessare di commemorare morti che ci sputerebbero addosso. Tenere in mente soltanto che cosa sia lo Stato e quale sia la sua essenza univoca e la sua continuità infrangibile; e non scordarselo mai, prima che dobbiamo saltare in aria anche noi per capirlo con male maniere. Me lo ha ricordato (che dico ancora, ricordarsi), andando via da quella piazza dove non tornerò mai più, mentre montava il vento (gonfiando le facce e i "tricolori" di due militari assassini di povera gente, proprio di fronte ad altra povera gente ammazzata trentott'anni prima da facce del tutto simili alle loro), la cosa che segue. Trovata in una strada laterale che dà sulla Piazza. Brescia, 27 maggio 2012. Partito Nazionale Fascista. Gruppo Rionale "Italo Balbo".


"La nostra costituzione, voi lo sapete, vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito Fascista. Eppure, il Movimento Sociale Italiano vive e vegeta! Almirante, che coi suoi lugubri proclami in difesa degli ideali nefasti della Repubblica Sociale Italiana, ordiva fucilazioni e ordiva spietate repressioni, oggi ha la possibilità di mostrarsi sui teleschermi come capo di un partito che è difficile collocare nell'arco antifascista e perciò costituzionale. A Milano, al.... "