lunedì 16 aprile 2012

Tema: I giovani e il futuro


Tema: I giovani e il futuro.

Svolgimento:

Cari giovani, con questo "futuro" avete già ampiamente bacato il cazzo.

Il tema, a rigore, potrebbe finire qui. Chiaro, semplice, laconico e inequivocabile. Certamente, in tutto questo siete stati spalleggiati da una bella congrega di vegliardi, vale a dire quelli che, dicono, dovrebbero occuparsi di "darvi un futuro". Quando sento Napolitano biascicare di "futuro dei giovani", mi viene la voglia di mettergli due o tre habaneros nel Polygrip con cui si sciacqua la dentiera. Però anche voi fate la vostra parte: avete intrapreso questa scientifica distruzione dei coglioni altrui, e in questo debbo dire che ve la state cavando a meraviglia.

Però, visto che un tema non si può consegnare mezzo vuoto e sennò mi danno quattro (cosa che mi precluderebbe senz'altro qualsiasi futuro), parliamo un po' di questo futuro, del vostro futuro. Lavoro. Lavoro e basta. Il futuro che volete avere, per il quale vi stracciate le vesti, per il quale sognate di andarvene "lontano dall'Italia" e per il quale a volte vi ammazzate se non vi viene dato, è fatto di lavoro. Oh che bravi. Vediamo un po': il lavoro, la casa, la famiglia...insomma, certo, le ultime due cose sono in sottordine; senza il lavoro, casa nisba e famiglia pure. Ci vuole il lavoro. La disoccupazione giovanile. I giovani senza un futuro. La misura della vita degna. Un paese dove i giovani non hanno futuro è un paese morto. Io, invece, dico che è sí morto, ma perché è per l'appunto stracolmo di giovani teste di minchia che si son fatte fagocitare immediatamente, e automaticamente, da tutto il meccanismo. Di giovani che, a parte alcune poche eccezioni (che, non so come mai, prima o poi sono mandate a frequentare le patrie galere e a volte anche gli altrettanto patrî cimiteri), già in tenerissima età iniziano a studiare per illudersi di diventare perfetti cittadini integrati in un sistema che, peraltro, non nasconde certamente di volerli disintegrare. Quella è la loro speranza, la loro molla, la loro aspettativa catalizzante. D'accordo, sí, ogni tanto ci può essere un po' di ribellismo; la fase barricadera è consueta, ci sono le onde e i movimenti (che terminano regolarmente quando iniziano gli esami oppure quando la "maturità" si avvicina e stanno per uscire le materie), ma dal "futuro = lavoro" non si staccano mai. E così tutto si riproduce, eternamente; bisogna andare a lavorare, senza lavoro non si mangia, non voglio finire in mezzo a una strada, portiamo avanti le istanze, e mi raccomando la legalità!

Naturalmente tutto questo gran "futuro" è sempre stata un'invenzione; però, almeno in certi periodi, l'illusione è parsa funzionare bene. I "padri" (ora nonni), come vi dicono ad nauseam, sono riusciti a "costruire qualcosa" (casafamigliamacchinasecondacasaconticinorisparmio eccetera). Quando "il lavoro c'era". Ora vi hanno tolto anche l'illusione. La fregatura nuda e cruda, senza più fronzoli. Ora che vi hanno eliminato definitivamente l'illusione del "futuro", vi accorgete che vi fregano soprattutto il presente, e che non ve lo restituiranno mai. Prima vi hanno inculcato che il "futuro" sia per forza fatto in un certo modo; poi vi rubano ogni presente trasformandovi in uno dei pretesti per mandare avanti le loro manovre. E diciamocelo francamente: come pretesti siete perfetti. Non c'è miglior pretesto vivente di chi affida la propria disperazione al desiderio, percepito ma al tempo stesso ricercato come unica soluzione possibile, di una disperazione ancora maggiore. Sognate di andare a "lavorare" negli States, in Inghilterra, in Giappone, da ogni parte; volete fare la ricerca perché siete dei cervelli, e magari lo sapete anche benissimo che il 99% della ricerca cui tanto anelate ha degli scopi chiarissimi: militari in primis, oppure al servizio delle multinazionali (tipo quelle farmaceutiche). Sapete cosa vi dico? Ma levatevi pure da tre passi dai coglioni, voi e il vostro "futuro" di merda. Siete dei morti consapevoli di essere morti, e talmente morti da disprezzare e respingere chi ancora si ostina ad essere vivo. E vivo è soltanto chi ha deciso di sconvolgere il presente affinché ciò che verrà dopo possa essere un'altra cosa. Dite di volere tutto diverso, ma non è vero. Volete una disperazione un po' più esteticamente carina, che un giorno o l'altro riprodurrà esattamente la disperazione cupa di adesso. Non avete nessuna capacità di intaccare i "sacri pilastri" cui restate abbarbicati come blatte. Nei confronti di chi non ha, o non avrebbe paura a andare davvero oltre, vi comportate precisamente come coloro che dichiarate vostri oppressori. Andate a manifestare "contro le banche" sognando mamma banca. Siete "contro lo stato" e fareste carte false per un impiego fisso dentro babbo stato. Siete Techno anarco pseudo-punk sognando un reddito da manager di Bundesbank (Redelnoir, Stalker). Il vostro "futuro" è fatto di lavoro, stabilità, valori, punti fermi: tutto ciò che ora vi hanno mandato a puttane e per la mancanza del quale vi disperate; sarebbe bello avere tutto questo e poter finalmente coltivare tutti i propri hobbies, dalla pesca alla "ribellione".

In tutto questo, noi delle generazioni precedenti abbiamo avuto buon gioco nei vostri confronti. Noi, cazzo, l'abbiamo tentata, la "rivoluzione"! Come dice qualcuno, "volemmo rispondere a tutto" e allora "ci chiesero e dovemmo rispondere di tutto". Ma per favore. Per età, appartengo solo in parte a "quella generazione"; sto sul mezzanino giù per le scale che porta alla vostra, e di certi anni ho vissuto soltanto, per così dire, gli ultimi bagliori. Sono arrivato a festa finita. Però mi accorgo che mi venite a cercare, "volete sapere", interrogate me e, ancor più di me, chi quella stagione l'ha vissuta appieno. Ci siamo divisi in tre categorie, noialtri. La prima: quelli che la famosa "risposta a tutto" l'hanno data passando interamente dall'altra parte e scoprendo quant'è bello far soldi e avere potere. La seconda: quelli che hanno coltivato la sconfitta, perché una bella sconfitta generazionale è tremendamente affascinante, dà un charme incredibile e può, in definitiva, servire anche a barcagliare le ragazzine della vostra età con discrete probabilità di successo. La terza: i morti. Per eroina, per lotta armata, i morti giovani una non trascurabile parte dei quali sono stati sterminati e torturati perché volevano, sapete cosa? Un altro stato. Che so io, non penserete mica che le Brigate Rosse volessero l'eliminazione dello stato, no? O che volessero abolire il lavoro. E così siamo diventati una generazione-museo. Una specie di "mito" che abbiamo peraltro saputo coltivare bene, specialmente da quando la Rete ci ha dato modo di uscire dal buen retiro (fatto spesso di lavorini sicuri, periodiche rimpatriate, gastronomie, letture, forme d'arte, riviste, giornalismi e quant'altro) nel quale potevamo darci a ciò che ci preme maggiormente: la disillusione. Sacra. Se non si è disillusi, non si è nessuno. Amiamo tremendamente affermare che non abbiamo rinunciato all'utopia, ma quando si tratta di metterla in pratica, ci pensiamo due e anche tre volte. Siamo vecchi, stanchi e sfavati, però guai a chi ci tocca la nostra "gioventù" che è stata "unica e irripetibile". Con essa ci sentiamo ancora in grado di formulare sentenze sul presente, sentenze e disprezzi. Siamo una massa di boriose salme racchiuse in circolini, che ancora si massacrano a vicenda rinfacciandosi quel che accadde all'assemblea alla Statale nel '72. Ci diamo patenti di "coraggio" e ci distribuiamo accuse di "infamità" e "vigliaccheria". E ci venite anche a cercare. Ci dovreste sparare a vista, ci dovreste. Altro che "cattivi maestri", ora come ora siamo al massimo maestrine con la penna rossa. Capaci soltanto di fare incompensibili analisi di una realtà che non siamo minimamente in grado di afferrare perché, brutta cattiva, ha osato sfuggirci. Veneriamo il '77, l' "anno in cui tutto sembrò possibile"; il mondo si è fermato lì. Che palle. Sto cominciando ad amare molto di più i ragazzini dei biechi anni '80, dei quali in fondo faccio parte, che in piccola parte stanno producendo le critiche autenticamente più radicali e che stanno fabbricando, forse, un'utopia nuova e solforosa. Forse. Forse. Forse.

Sarebbe il momento che il "futuro", ora, lo mandaste all'inferno. Voialtri giovani e giovincelli. Che vi alzaste e diceste: "Noi non lo vogliamo, questo vostro futuro di merda. Vogliamo il presente e ce lo prendiamo come cazzo ci pare a noi. Non ce ne frega nulla se non avremo la pensione quando saremo dei bavosi come voi, tenetevela pure e mi raccomando, lavorate fino a ottant'anni e schiantàteci pure. La disoccupazione sarebbe una meraviglia, e voi ce la rovinate disperandoci ogni secondo perché non ci abbiamo un lavorino al servizio del sor padrone. Ma disoccupatevi anche voi, coglioni! Non abbiamo bisogno di niente. Proprio per questo abbiamo tutto." Naturalmente non lo farete. Nessuno lo farà. Eppure è una cosa che minerebbe alla base davvero tutto quanto, ben più delle periodiche messe a ferro e fuoco delle città. Macché; continuerete con le geremiadi sulla "mancanza di futuro e di speranza". Vi farete fare le inchiestine dal Tg2 nei vostri quartieri degradati. Continuerete in discreta parte a dire che è tutta colpa degli immigrati che vi rubano il lavoro. E invece, tiè, è il lavoro che ruba voi. In tutte le forme. Quando c'è e quando non c'è. Vi ruba e non vi rende. Piccoli schiavi in erba che ambiscono ad essere schiavi a pieno titolo. Sí, sí, andate "all'estero" senza nemmeno accorgervi che non esiste più nessun "estero". La "fuga dei cervelli" per fabbricare tecnologie sempre più nuove e sempre più superflue. Per fabbricare sempre migliore "salute" mentre si muore sempre di più restando biologicamente vivi. Che ne direste, invece, di dimettervi dal "futuro" e di ficcarlo nel culo a tutti quanti?

E comunque, con questo "futuro" ci avete davvero bacato il cazzo.

Fine del tema.

Alunno: Venturi Riccardo, classe XXXV sezione A

Voto: Presentarsi immediatamente dal preside accompagnato possibilmente dalla Polizia.