lunedì 2 gennaio 2012

Dentro nessuno, solo macerie


Siamo al secondo giorno nel 2012, e sembra che ci siano già stati due morti nelle carceri italiane. Morti dei quali, in generale, non ci chiediamo mai niente. Non hanno nome né storia; non hanno vita. Quei morti sono la galera. Ne sono la conseguenza e la logica. Anche tutti i gran difensori della Costituzione dovrebbero rendersi una buona volta conto che la galera non è fatta né per recuperare e né per rieducare, e che si tratta soltanto di prigione. "Indignarsi" per le "condizioni di vita" nelle galere presupporrebbe che si trattasse, appunto, di vita; non lo è. Ci si stupisce perché parecchi di coloro che si uccidono in carcere lo facciano magari "a poco tempo dalla scadenza della pena": il fatto è che in carcere non ci si uccide da soli, mai. In galera si viene ammazzati, comunque. Dall'impulso a farla finita fino all'essere ammazzati in qualche modo. Il fine della galera è trasformare un essere umano in un morto; stop. Bisognerebbe smetterla con le tiritere sul carcere umano e con altre baggianate del genere. In Italia, il carcere è basato sulla tortura. L'Italia è il paese del 41 bis, un regime carcerario che prevede il massimo grado di violenza esercitata sull'individuo nelle mani dello Stato, l'annientamento della sua identità, la soppressione di ogni sua autonomia. In nome della sicurezza si permette che la famosa Costituzione sia considerata quel che è: un'aulica e ipocrita carta straccia. Ma non c'è soltanto il 41 bis; in un paese dove chiunque ciancia di certezza della pena, dal politicante fino all'uomo qualunque nel bar, nulla si sa delle cosiddette pene ostative (in particolare l'ergastolo) che prevedono, applicate in misura sempre maggiore, l'impedimento di ogni pur minima possibilità di uscire. L'Italia è il paese dove questo regime di tortura è non soltanto incoraggiato e "pompato" in ogni modo, ma anche inculcato come necessario nella mente di tutti, a base di legislazioni di emergenza; per dirla con Pasquale de Feo, "uno Stato che usa la stessa violenza che ha sanzionato in chi ha in custodia diventa più criminale di chi vuole combattere". E' uno Stato che, attraverso i suoi rappresentanti, alimenta odio; e uno Stato che alimenta odio non è né "civile" e né "democratico". Ci si stupisce perché, in Norvegia, all'orribile Breivik, pur nella gravità di quel che ha compiuto, siano state applicate le stesse forme di garanzia riservate a tutti i cittadini; si fanno reportages sul carcere dove è rinchiuso, paragonato a "un hotel a 3 stelle". Questo perché la Norvegia è un paese realmente civile, e non ha abdicato all'odio istituzionalizzato. Perché la Norvegia non ha una classe politica stupida e feroce come la nostra. Avete invece presente Angelino Alfano, quello che ora fa il "segretario del PDL"? Quando era ministro della giustizia, ebbe a dichiarare di aver reso ancora più duro il 41 bis, e che i detenuti devono morirci dentro. Contemporaneamente, l'Italia è il paese che promuove le moratorie sulla pena di morte e che protesta con gli USA per il lager di Guantánamo; sarebbe ora che tutti si rendessero conto che Guantánamo è uno scherzetto in confronto alle galere italiane. 41 bis. Ergastolo. Condanne a morte diluite nel tempo. Un'amministrazione penitenziaria il cui delirio di onnipotenza è stato foraggiato e dotato di tutti gli strumenti legislativi necessari. L' "antimafia" resa una cricca di professionisti e una fabbrica di potere e ricchezza per tramite di un'area di potere comprendente magistrati, politici e media, con i relativi "eroi" (si pensi a Saviano, ma non solo a lui). Tutto contro la "criminalità", ma la criminalità, come sempre, viene adoperata dal potere politico quando gli è utile, e viene poi schiacciata quando non serve più.

E, allora, sarà bene fare un discorso. Per farlo, c'è bisogno di una persona che sta tutt'altro che simpatica. Ci sarebbe stato bene un Casseri Gianluca, se fosse sopravvissuto; scelgo invece quel tizio raffigurato nella fotografia in altro, Mora Dario detto (chissà perché) "Lele", carcerato. Alzi la mano chi non ha esultato, quando lo hanno messo in galera; finalmente! Lui che tiene il busto di Mussolini nello studio e si dichiara fascista. Lui che rifornisce di mignotte anche i fabbricanti del 41 bis e delle legislazioni di emergenza. Non c'è mica, poi, né all'ergastolo né al 41 bis: deve scontare 4 anni, 4 stupidissimi anni. Che sarà mai. Chissà quante coscienze pure, quanti democratici, persino quanti antagonisti o "anarchici" saranno stati felicissimi che un tipo del genere sia stato messo al gabbio. Perché, in questo paese, la galera ammette eccezioni anche in chi si dichiara del tutto contrario alla sua stessa esistenza; c'è sempre un antipatico, un fascista, un cialtrone o un avversario per il quale, invece, la galera può andare bene. Ce lo abbiamo dentro, il carcere, dentro di noi. Anche se proclamiamo di volerlo sbattere fuori, da qualche pertugio rientra sempre. Ci indigniamo per i nessuno, per gli ultimi che si suicidano in carcere ogni giorno, pubblichiamo elenchi aggiornati sui blog, riportiamo notizie; se Lele Mora fosse riuscito, l'altro giorno, a suicidarsi, molti avrebbero probabilmente esultato. Può essere che sia, questo, un discorso duro e antipatico; può essere persino, e benissimo, che tra coloro che non avrebbero sparso lacrime ci sarei stato anch'io. Sono convinto che ogni tipo di ribellione nasca principalmente dalla ribellione a se stessi. Alla propria pigrizia, alla propria comodità, alla pratica dell'eccezione acquisita. Quando vado ai cortei antagonisti, sento gridare spesso uno slogan che comincia così: Fuori i compagni dalle galere!...; è uno slogan curioso. Nella sua seconda parte c'è chi grida: dentro la Digos e le camicie nere! Non sono più fra quelli. Assieme ad altri, grido invece: Dentro nessuno, solo macerie! Significa: nessuno deve andare in galera. Le prigioni non devono essere costruite, devono essere abbattute. Ma è difficilissimo abbattercele nel nostro interno, in quell'interno che ha sempre qualcuno che ci fa piacere vederci dentro. Il nemico, quello che scorre per tutti i gradi dell'avversione, dall'antipatia fino all'odio.

Se non ce ne frega anche di Lele Mora, o di chiunque altro quei gradi li abbia scorsi tutti, smettiamola di accorarci per i disgraziati che si suicidano in galera ogni giorno. Se non pensiamo che il 41 bis, l'ergastolo, le pene emergenziali e quant'altro siano forme di tortura e di morte che lo Stato applica quotidianamente, smettiamola di starcene a scrivere belle parole sui blogghini. Se il suicidio di Ahmed il lavavetri ci fa pensare e dire certe cose, e quello di Lele Mora invece ci fa soltanto dispiacere che non sia riuscito, siamo definitivamente in galera e non ne usciremo mai, e non ne faremo mai uscire questo paese di merda. Se continuiamo a invocare vendette dopo cent'anni assieme ai parenti delle vittime (ma soltanto di certe vittime), siamo a nostra volta dei carcerieri e dei torturatori. Siamo tutti De Tormentis. Fuori tutti dalle galere. Fuori tutti dallo Stato, che è la galera che le riassume tutte.