mercoledì 7 dicembre 2011

La famiglia, la crisi e i funghi porcini


Come è noto, e come ci viene ripetuto una media di 130 volte al giorno da televisioni, radio, giornali e Internet, la crisi colpisce le famiglie. Ne consegue che il qui presente, il quale non tiene famiglia, non è in crisi. La crisi non mi colpisce; ne sono stato escluso, scacciato, tenuto fuori. Soltanto le famiglie, coi loro seicento e passa euri (fin quando ci saranno) di aggravi sul bilancio, possono ufficialmente dichiararsi in crisi; e chi non ha famiglia, si arrangi. Nessun diritto al bilancio. Nessun calcolo statistico. Nessuna intervista al mercato mentre si comprano i topinambur. Nessuno schema, nessun grafico a torta, niente. Non dico una ministra, ma nemmeno un usciere che piange per la mia triste sorte di tartassato. Non sono toccato dall'equità anche se, va detto, ricevo a volte delle cortesi cartoline di saluti da parte dell'Equitalia. Insomma, diciamolo francamente: il senzafamiglia, con buona pace di Hector Malot, è una specie di paria. Non lo vuole nemmeno la crisi. La crisi interessa soltanto le famiglie, questo pilastro fondamentale della società, questo nucleo primordiale dell'umana convivenza, questo luogo di bilanci da far quadrare a fine mese, questo primario indice dei consumi. Me ne farò una ragione. Vivrò la mia esclusione con ferma dignità, in compagnia del gatto (che -almeno così dicono- non è preso in considerazione dall'ISTAT). Continuerò ad essere emarginato, al bar di piazza dell'Isolotto, dai padri e dalle madri di famiglia che si lamentano che s'arriva massimo a metà mese tra uno zingaro da bruciare e Della Valle che non compra i giocatori. Va da sé che, a noialtri messi da parte, non restano che alternative al tempo stesso buffe e impraticabili; tipo, che so io, dichiararsi contro il sistema capitalistico, a volte persino dirlo e/o scriverlo e, nei casi più disperati, operare addirittura una qualche forma di lotta per abbatterlo. A volte, poi, mi ritrovo anch'io sulla classica panchina (specialmente in questo periodo di inattività forzata), con in mano tranquille letture da convalescente come La gioia armata di Alfredo Maria Bonanno, a pensare di come sarebbe stato se avessi avuto anch'io una famiglia (sposato lo sono stato per un po', ma senza figli), immaginarmi in crisi alle prese coi conti, col bilancio e con la spesa responsabile. Invece, sono un irresponsabile cronico. Scientifico. Figuratevi che qualche settimana fa, in tempi di crisi nera, e sempre in piazza dell'Isolotto, sono andato al mercato e ne sono uscito con in mano una cassetta contenente tre chili e mezzo di funghi porcini. Veri. Stupendi. Pagati uno sproposito. Ho attraversato la piazza guardato con invidia dalle famiglie in crisi; una signora mi ha pure fermato un attimo per chiedermi quanto costassero e io, perfidamente, glielo ho detto provocandole incubi di non facile dissolvimento. Ho letteralmente fatto gente, e permettetemi di dire che me la sono proprio goduta. Non faccio parte delle famiglie in crisi, quelle che non arrivano a fine mese, quelle che si ritroveranno seicento euri al mese in meno per salvare l'Italia, e quindi mi pappo i porcini freschi. Specificando che di salvare l'Italia non m'importa una beata sega, sono arrivato a casa, ho posato la cassetta, l'ho coperta con un panno, e mi sono messo a fare un ragionamentino fra me e me.

Qualsiasi ragionamento deve arrivare ad una conclusione, altrimenti si perde nell'inconcludenza e nella leziosità del sofismo. Il sofismo è quella cosa che assomiglia al gioco della Roma di Luis Enrique: tanto bellino da vedersi, ma poi la squadra si piglia tre pappine anche da una congrega di scalzi e gnudi come la Fiorentina attuale. E finisce in otto. Rimirando i porcini, la conclusione è stata che senza famiglia si sta proprio bene. Senza bilanci e senza corsi di danza per la bambina. Senza autorità genitoriale e senza trombatine programmate per il sabato sera. Senza viaggi di nozze a Bali e senza ribellioni adolescenziali. Senza la cucina da rifare e senza il Natale come indice dei consumi. Senza recupero del rapporto padreffìglio e, naturalmente, senza crisi e senza tagli del Bocconiano. Ma con in più tre chili e mezzo di porcini, di cui peraltro hanno usufruito altri senzafamiglia (una piacentina che lavora come una negra, un filokhomeinista biondo, un ex esponente di Lotta Continua, una psicanalista di Tucumán) e pure una tizia che una famiglia ce l'ha, e che però rapinava banche a mano armata. Solo per dirvi che quei funghi son finiti negli stomaci di gente un po' strana; ma questo è un altro discorso. Insomma, la conclusione del ragionamento in presenza dei boleti eduli è stata la seguente: macché equità, macché tagli. Per vincere la crisi il consiglio non può essere che uno e uno solo: abolite la famiglia. Cessate di farvela. Mandatela in culo. Fate crollare questo pilastro imprescindibile. Smettetela di sposarvi o di convivere. Copulate allegramente come conigli con chi vi pare e quanto vi pare, ma senza preti, consiglieri comunali o accordi di qualunque genere. Niente più conti e “azienda famiglia”. Niente più tre per due e formati famiglia. Niente più trattorie familiari: come quella di Portoferraio, solo osterie libertarie. Senza la famiglia, che cazzo taglierebbe Mario Monti? E le banche, private dei conti famiglia? Ve lo immaginate un mondo senza la “famiglia media”? E il Family Day? E il Papa, come farebbe la domenica dal balconcino di Piazza San Pietro senza lanciare appelli accorati e preghiere per la famiglia? Senza figli di merda a carico, senza caro-pannolini, senza i blog delle gestanti e delle puerpere, senza calciatori idioti che mimano il gesto della culla ogni volta che fanno un gol appena figliato (e quelli che facevano i pugni chiusi, come Sollier e Sócrates, o hanno smesso di giocare o sono morti), senza organizzazioni di nozze che, in proporzione, costano più di una “missione di pace” in Afghanistan, e pure senza parecchie altre cose.

Senza la mamma, la moglie o il nonno a cui dà noia che fumi in casa e che, magari, pretende di spedirti in terrazza di gennaio. Senza che, magari, hai avuto un infarto e ti ritrovi la mamma, la moglie o il nonno che ti fumano come torcioni sul muso. Senza altri tagli, non quelli di Monti ma quelli delle coltellate che si tirano in non si sa quante famigliuole indicizzate, perlopiù a cura del padre “in crisi” (depresso, rovinato, maniaco del videopoker, precario, cassintegrato ecc.). Senza quei dementi dei “padri separati” che mo' se so' fatti pure 'a fìcscion con Beppe Fiorello; senza la famiglia, da che si separerebbero? Quali mogli li manderebbero al gas? Senza i paparini che molestano le figlie, o senza i figli che sgozzano i genitori per soldi (detraendo da questi, ovviamente, i seicento euri mensili della crisi). Senza l'anticipo di galera che è, fondamentalmente, la famiglia. Senza parentalità, autorità, potestà e altre orrende parole del genere. Senza più economia familiare, ché poi, nella società borghese capitalista, tutti 'sti grand'amori, lucchetti, confetti, promesse e chiardiluna si risolvono invariabilmente in due cose: il possesso e l'economia. Bella fine, sì. Lavoro e denaro. E la “crisi”, poi. Ti fai la “famiglia”, e poi ti ritrovi all'anima sgobbo forzato, precariato, cassa integrazione, Marchionne, smerdate di esserini maleodoranti, manifesti familisti con Pierferdinando Casini, disperazione perché non puoi più avere il superfluo, la benzina aumentata, le bollette stratosferiche (fai come me: mettiti due maglioni pesi, anche in casa), e poi magari domani muori. Senza nemmeno poterti permettere una cassettata di funghi porcini.