lunedì 31 ottobre 2011

La tovaglia e il borgomastro


Quella che vedete nella foto è una comune tovaglia. Anzi, no; propriamente, sarebbe un copritavolo; infatti sta sul tavolo di casa mia. Non la uso mai come tovaglia, vale a dire per sistemarci sopra, quando mangio, i piatti, le posate, le bottiglie dell'acqua e del vino; per questo ho delle tovaglie vere e proprie, quasi sempre bisunte e macchiate. Il copritavolo lo tolgo e lo ripongo nel cassetto; poi, quando ho finito di mangiare e ho sparecchiato, ce lo rimetto.

Poiché non ho nessuna elevata speculazione filosofica o politica da offrire, che sia originale o copiaincollata, e neppure nessun ricordo profondo (ci sono parecchi giorni in cui i ricordi se ne stanno belli tranquilli a profondizzare dove vogliono loro), vorrei raccontare la storia di questa tovaglia, o copritavolo che sia.

L'ho comprata circa tre anni e mezzo fa, assieme a due sue compagne. Questa qui è "quella nera", poi c'è "quella arancione" e, infine, "quella bianca". I colori distintivi sono quelli delle strisce che racchiudono il motivo, che nelle tre tovaglie è uguale. Le alterno sul tavolo, diciamo ogni due o tre mesi; il tempo che ci vuole perché siano talmente sporche da necessitare d'essere messe in lavatrice. La cosa ha la sua importanza; poiché la mia casa è un buco, un colore prevalente in un dato suo punto la "muta" nella sua luminosità. Avendo passato quasi tutta la mia vita in spazi angusti e in case piuttosto buie, la luce diventa un imperativo. Ieri "quella arancione" è andata nella cesta dei panni sporchi, e per l'autunno intero toccherà a "quella nera"; il 21 dicembre sarà la volta di "quella bianca".

Le ho comprate tutte e tre in un posto che non esiste più. Si chiamava Mercatino Etnico e si trovava in una specie di giardino alberato, accanto ad un ponte di Firenze, in riva all'Arno. Vi era stato sistemato alcuni anni prima da un'amministrazione comunale, dopo che i venditori (africani, sudamericani e anche italiani) erano stati sloggiati da dove stavano; sloggiati in tutti i sensi, perché si trattava giustappunto di una loggia, in centro. Il benevolo Comune aveva però deciso di effettuare una sperimentazione sociale e di assegnare al mercatino sloggiato dalla loggia uno spazio meno centrale dove sistemare le bancarelle e la mercanzia: il giardino di cui vi parlavo sopra. Per alcuni anni, il Mercatino Etnico è rimasto là, tra il ponte, il fiume e le migliaia di autobus turistici che parcheggiavano vomitando le comitive in visita alla città d'arte.

Il Mercatino Etnico era, senz'ombra di dubbio, il tempio della cianfrusaglia. Il Pantheon della carabattola. Il Goetheanum della paccottiglia. In questo non era dissimile da tutti gli altri mercati e mercatini che si trovano un po' dovunque, ma non era menzionato nelle guide turistiche e non era considerato pittoresco. In grandi linee era suddiviso nella "sezione Africa Nera" (maschere tribali fabbricate a Bielefeld, strumenti tipici prodotti a Montefiascone, scatole e scatolette varie, elefantini e altri animali in legno) e in quella "Ande", perché l'artigianato sudamericano deve sempre provenire dalla Cordigliera. Nessuno comprerebbe un oggetto se gli dicessero che viene dal Chaco paraguayano o da una cittadina del Suriname; bisogna che sia andino. C'era poi una sezione non meglio precisata, che poteva essere gestita da africani come da un paio di tizi di Torre del Greco; vi si trovava di tutto, un delirio di Padri Pii, madonne, finte icone russe, cazzi di pietra, samovar, komboloï, ritratti di Pietro Taricone e coltellini svizzeri. La gente entrava nel giardino, girava un po' per le bancarelle, generalmente non comprava niente e si sorbiva un misto di Inti-Illimani, Youssou N'Dour, quenas, bonghi, charangos e zucche vuote. A chi faceva allegria, e a chi tristezza; ma le umane reazioni non hanno una grande importanza. Importante era il fatto che famiglie intere ci campavano, su quelle cianfrusaglie. Importante era il fatto che la concessione di quello spazio non era affatto gratuita, bensì soggetta ad una (non indifferente) tassa di occupazione di pubblico suolo. La quale veniva pagata.

Confesso onestamente di detestare abbastanza l'artigianato africano, vero o finto che sia. Non mi è proprio mai riuscito di farmelo piacere, e magari sarà un mio limite; di converso, adoro l'artigianato del Nord Europa ma non ho mai visto, né a Firenze e né altrove, mercatini e bancarelle di finlandesi. Quello andino mi piace abbastanza; e così, quando si è trattato di arredare alla bell'e meglio casa mia (vale a dire di mettere qualcosa sopra o accanto ai mobili dell'Ikea, tavolo compreso) mi sono rifatto al Mercatino Etnico, e in particolare alla bancarellona peruviana. La chiamavo così perché era la più grossa di tutto il mercatino; ci stava sempre una simpatica signora fiorentina di mezza età, che diceva di fare da commessa per la padrona -che sudamericana lo era sul serio. Insomma, come sovente mi capita, per qualche mese ero diventato un habitué assieme alla Daniela; non dico di averci comprato mezza casa, ma parecchie cose sì. Le tre tovaglie, o copritavoli; una specie di arazzo che tengo sopra al letto; un tappetino che tengo sulla cassettiera rossa (Ikea DOC), e dove ho sistemato la radio a valvole che mio padre regalò a mia madre per le nozze (1953).

Le tre tovaglie, mi era stato assicurato, provenivano da qualche posto a metà tra il Perù e la Bolivia; non ho alcun dubbio che siano state tessute in qualche posto a metà tra San Giovanni in Persiceto e Ustí nad Labem. Poco importa; mi erano piaciute all'istante, erano belle e, cosa di non secondaria importanza, avevano la stessa forma del tavolo. Non sono un contrattatore di prezzi, non amo molto il rito di "tirare" e quando mi chiedono 30 euro, piglio 30 euro e li pago. Sarà un prezzo giusto? Sarà ingiusto? E chi se ne frega; ingiusto è essere spolpati da Equitalia, o dalla banchetta di turno che si fa tanta bella pubblicità coi suoi prodotti finanziari (ma da quando in qua le banche "producono" qualcosa?!?), o da qualche altro organismo squaliforme -magari in forma di "Stato". E così mi sono portato a casa le tre tovaglie "andine", e le ho messe sul tavolo. L'arazzo l'ho inchiodato sopra il letto (proprio così: inchiodato).

Una mattina, verso l'alba, è arrivata la polizia municipale assieme alle ruspe. Così, senza preavviso. Il Mercatino Etnico dava noia. Sgombero immediato ordinato dal Comune di Firenze, dopo che era cambiato il sindaco. Bisognava restituire quell'area alla cittadinanza, perché il borgomastro si preoccupa tanto della bellezza, del decoro, del degrado e dei bambini che giocano coi nonnini. Inoltre, ovviamente, dei solerti cittadini avevano denunciato sui vari giornali tutta una serie di nequizie che si svolgevano in quell'area, e che non sto a dirvi; il Mercatino Etnico, insomma, è stato smantellato in poche ore. Il borgomastro, uno giòvane e dinamico, tutto Facebook e modernità, non sopporta -come è noto- i rottami; e quello era il sacrario del rottame. Pagavano la tassa di occupazione di pubblico suolo? E pazienza. Lavoravano? Disoccupato in più, disoccupato in meno. Certo, quel posto era sistemato bene, in posizione ottima; ma il sindaco del bello e la sua giunta sono tanto preoccupati dell'Immagine, e un'accozzaglia di tovaglie, padri pii, collanine e maschere di legno è intollerabile a pochi passi dai bus turistici.

E la cosa dev'essere stata così importante per il borgomastro, così sentita, da metterla addirittura al primo posto in un dépliant faraonico fatto stampare in decine di migliaia di copie e distribuito assieme ad una pubblicazione cittadina gratuita. Incellofanato assieme, addirittura. In tutte le cassette della posta. Lo sgombero del Mercatino Etnico ha sovrastato tutte le altre realizzazioni del borgomastro, tutte le sue promesse mantenute, tutti suoi cento punti del programma. All'anima. Ora lo spazio è stato restituito. Un giardino, bellino sì, con le panchine, i vialetti e addirittura il baracchino che vende solo bevande analcoliche perché il borgomastro pensa anche alla nostra salute. Questo di giorno; a sera e di notte, però, i bambini e i nonnini se ne vanno (e ce ne sono comunque sempre pochi, perché il giardino è pur sempre circondato da una bella massa di traffico e di gas di scarico) e possono tornare tranquillamente gli spacciatori.

Il borgomastro sgomberatore, perché quest'attività gli deve piacere parecchio e "paga" assai in termini di popolarità e di voti, è sceso in campo. Si fa i suoi "big bang", si dà alla folla, è in televisione ogni mezz'ora e vuole portare la gioventù al potere. Nel frattempo, casa mia, suo malgrado, è diventata una specie di ultima testimonianza di un luogo. Con le sue tovaglie, l'arazzo e il tappetino. Può darsi che quel luogo non fosse gran ché, può darsi che vi si vendessero oggetti falsi, può darsi tutto ciò che si può dare; ma continuo a preferirlo alle bellezze, alle immagini e ai decori che nascondono il solito verminaio di interessi, di intrallazzi e di devastazione -vera- del territorio. A partire dalla TAV che lo stesso borgomastro sta facendo tranquillamente scavare sotto questa città senza che nessuno o quasi batta ciglio, con le relative opere infrastrutturali.

Bene, me ne vo a mangiare. Tolgo la tovaglia, pardon il copritavolo, e apparecchio. Ora che ci penso, al Mercatino Etnico avevo comprato anche una scacchiera andina con i pezzi in forma di soldati di Lautaro (i bianchi) e di conquistadores spagnoli (i neri). La tenevo sulla libreria divisoria, ovviamente sempre made in Ikea, ma l'ho dovuta levare; ci giocherellava il gatto.

sabato 29 ottobre 2011

Repubblica e la Rauadoriana

Certo che quelli di Repubblica (altresì detta Gazzetta della delazione) hanno proprio la faccia come il culo a pigliarsela con la Santanchè (detta Holyalsois) per i suoi oramai famosi "grechi" (*). Oggi, ad esempio, si sono esibiti in una specie di glossolalia su una notizia di cronaca, qualcosa da far impallidire il manoscritto Voynich; che cosa sarà quella mgazza ecorte che ha colpito Franca Monfrini, a metà fra un sostantivo swahili della classe mtoto / watoto (mgazza / wagazza?) e una parola tratta da un antico documento in basco (ecorte, che ora sarebbe scritto ekorte nella grafia batua) ? Ma forse si tratta della misteriosa lingua del Rauador, dato che si tratta di una rauadoriana; immagino già ronde in armi vagare infruttuosamente per Milano al grido di rauadoriani a casa loro!, e la Lega Nord di Genova smentire decisamente che abbiano qualcosa a che fare coi sampdoriani.

(*) La lezione "grechi" è tra l'altro ampiamente documentata nella letteratura italiana, colta e popolare, fino almeno alla seconda metà del XIX secolo. Il famoso dizionario del Tommaseo la dà come "egualmente accettabile" accanto a "greci".

mercoledì 26 ottobre 2011

Poteva mancare?


Non starò, naturalmente, a parlare di dissesti idrogeologici, di colli interi che franano sulle autostrade con relativo bosco, di torrenti che al primo nubifragio autunnale, grazie alla deforestazione selvaggia, si trasformano in rii delle Amazzoni che travolgono paesi interi. Questo paese ha sicuramente delle interessanti peculiarità; ad esempio, è forse l'unico al mondo dove esiste una vera e propria scaletta delle tragiche fatalità e della furia degli elementi. Ad esempio, si sa alla perfezione che da qualche parte della Liguria (e dell'Apuania), ogni anno tra settembre e ottobre, c'è l'alluvione; puntuale come la morte. Ogni anno, dopo che il torrentello o il fiumiciattolo hanno seminato morte e distruzione e dopo che la frana di ordinanza ha seppellito qualche casa e chi c'era dentro, arrivano i giornalisti a intervistare chi è stato colpito; e le risposte sono sempre le stesse. Era un disastro annunciato. E per forza che era annunciato, ci si potrebbero regolare gli orologi sopra. Ma, come sempre, è inutile parlarne troppo, e ancor di meno denunciare. Ci rivediamo al prossimo nubifragio, alla prossima perturbazione anomala, alla prossima esondazione, alla prossima frana rovinosa, alla prossima marea di fango; e, perché no, anche alla prossima casa dello studente. Dimenticavo: ci vediamo anche al prossimo pupazzetto.

Non poteva mancare, quello. Arrestano gli sciacalli che rubano nelle case devastate, ma gli sciacalli fotografici continuano a scorrazzare indisturbati. Non vanno mica a fotografare gli archivi comunali, i piani regolatori, le licenze edilizie e i progetti delle opere pubbliche: fotografano i commoventi pupazzetti infangati, gli orsacchiotti di pelouche che spuntano dalle macerie, le fotografie dei neonati e delle prime comunioni attaccate alle pareti crollate. Mai che si veda la fotografia, che so io, della documentazione sulla messa a regime di un corso d'acqua. Mai il piano strutturale di un comune che giace abbandonato tra la mota. Pupazzetti e automobili accatastate; a condizione, naturalmente, che la catastrofe sia naturale. In Iraq non esistono pelouches, e tra le macerie di Falluja non è mai stato fotografato mai un orsacchiotto che sia uno. Vanno bene le automobili di Aulla, ma non quelle di Misurata; si vede che in Libia non si accatastano bene. Per non parlare dei cagnolini e dei gattini salvati (fortunatamente) dalla furia delle acque: a Belgrado non c'erano evidentemente animali domestici. A Brugnato in Val di Vara, invece, ci sono.

Missing (Sondaggio)



In linea di massima, sono contrario a sondaggi, indagini online, questionari e roba del genere; però sono sempre pronto ad ammettere qualche ragionevole eccezione, specialmente se va di farla a me (però non mi perdo mai un sondaggio di Don Zauker, devo dirlo). Oggi, appunto, mi va di fare uno strappo; stamani mi hanno messo l'holter (un aggeggio del tutto simile a un iPod, che però registra un elettrocardiogramma continuato; lo si potrebbe chiamare un iHeart, insomma), praticamente mi hanno imbragato tutto sotto i vestiti e messo pure una canottiera a rete, e insomma dormire mi è un po' difficoltoso. Ci ho da passà 'a nuttata.

Questo, dunque, sarebbe un sondaggio. Però, come tutti sanno, sull'Asocial Network non è possibile lasciare commenti; quindi, come diavolo farete a esprimere il vostro parere? Non lo so. Magari potete scrivermi all'indirizzo di posta elettronica (k.riccardo@gmail.com); oppure telefonarmi (33 94 72 30 95, adoro scrivere i numeri di telefono alla francese); oppure, meglio ancora, il vostro parere ve lo tenete per voi e non me lo comunicate affatto. Sto seriamente cominciando ad averne abbastanza della comunicazione in rete, e a parteggiare decisamente per l'incomunicabilità di massa. Così facendo, esprimerete comunque ciò che pensate riguardo a quel che vi si propone, ed eviterete al contempo di dirlo troppo in giro (non si sa mai, Repubblica è sempre in agguato).

Il sondaggio è semplicissimo.

Negli ultimi tempi, vi sono stati personaggi ed eventi dai quali è dipesa la sorte del mondo per lassi di tempo variabili tra i dodici minuti e il mese scarso; trascorsi tali periodi, il silenzio più assoluto. L'oblìo. Il disinteresse più profondo. Eppure, caspiterina, vi eravate tutti mobilitati; sui vostri blog avevate piazzato fior di banner, sulle vostre pagine Facebook seguivate la situazione in tempo reale, per non parlare di Twitter (quella cosa da cui è nato il verbo twittare, che al congiuntivo imperfetto fa che io twittassi, che tu twittasti, che voi twittaste). Compravate i vostri quotidiani preferiti, e i più accreditati articolisti (particolarmente interessanti, anche dal punto di vista strettamente clinico, sono i casi di Omero Ciai e Marco Pasqua, ovviamente di Repubblica) scrivevano accorati reportages; Wikipedia wikificava (verbo che, al condizionale presente, fa io wikificherei, tu wikificheresti, essi wikificherebbero) e Gianni Alemanno oscurava er Colosseo.

Il sondaggio concerne quindi queste grandi mobilitazioni, nell'ambito delle quali avete discusso come leoni, vi siete addannati, avete scritto post articolatissimi e vi siete lanciati nelle ipotesi più variopinte.

La domanda specifica che vi rivolgo è la seguente:

Tra i seguenti personaggi o eventi, qual è quello/a di cui, francamente e in realtà, non ve ne fregava assolutamente un cazzo più di ogni altro ? In altra formulazione, del tutto equivalente:

Che fine avranno fatto?

Potete scegliere UN SOLO personaggio/evento tra i seguenti:

1. Sachinè.


2. Le ronde.


3. Noemi Letizia.


4. Il delitto di Garlasco.


5. La Social Card.







martedì 25 ottobre 2011

Non c'è più religione!


Ma insomma! Qui, davvero, non si sa più come andrà a finire. Oggi Repubblica, fra una delazione e le ultime avventure di Lindsay Lohan (la morte di Amy Winehouse è stata un dramma autentico per la colonnina sulla destra, e Rihanna non funziona bene), mette il mondo a conoscenza non solo che il papa è sposato, ma che, addirittura, gli piace il parmigiano. E che sarà, parmigiano vaticano? E la sposa del santo padre glielo porterà a pezzi interi, o già grattugiato? E poi va in aula? Come, gli porta il formaggio direttamente nell'aula delle udienze? Ma tu guarda 'sto papa caseario...! Edamer, Lindenberger e Ratzinger!

domenica 23 ottobre 2011

Alle nove e trentacinque circa


Alle nove della sera, ogni venerdì o quasi, mi metto in macchina e mi guardo le mani prima di mettere in moto. Quello di guardarmi le mani è un gesto che devo avere, forse, da prima che nascessi; assieme a pochi altri, mi ha accompagnato per tutta la vita senza una ragione che non sfuggisse alla comprensione, senza una conclusione che non fosse quella di ribadirmi che ero vivo. Nel cuore dell'estate, c'è ancora il sole oppure è tramontato da poco; d'inverno il buio e il freddo si scapestrano a fabbricare il sogno di un dopo lontanissimo, da anelarsi a occhi semichiusi. E quali arditezze in quei pochi minuti per le solite strade, quali pensieri abbaruffati, quali e quante canzoni a mezza voce. È la mia vita che va incontro ad un'altra, all'inizio di un binario al quale arriva alle nove e trentacinque circa.

Entro dentro e passo, sempre, davanti a una specie di vetrina dove si trovano raffazzonate cianfrusaglie che nessuno ha mai comprate: mi fanno una tristezza che non so dire. Soffermandomici, vedo riflesso nel vetro un curioso personaggio. Vestito come un ragazzino oramai fuori moda, con una specie di stile grunge che non va più da anni, e una faccia che di moda non è mai andata. Sta cominciando, quel ragazzino, a mostrare i segni del tempo; ed è bizzarra la memoria che si sovrappone, mentre un treno sta per arrivare e, assieme a lui, desideri e sogni che debbono combattere battaglie senza fine contro il passatutto della realtà. È la memoria di altre immagini riflesse, che si sporgono con lo stesso passo sgraziato, ma con una diversa percezione della rimanenza che, piano, si consuma.

Finché non arriva il momento in cui i conti occorre farli. Ci si avvia a testa bassa verso il binario, dando un'occhiata al tabellone perché, nove volte su dieci, il treno è in ritardo. C'è ancora tempo per pensare a quanti ne sono arrivati, in ritardo; e anche a quelli che sono arrivati in anticipo, che è un ritardo alla rovescia. A tempo debito è arrivato soltanto un treno, una mattina di gennaio, ad un'altra stazione; e, allora, la testa si rialza. Per un momento torna leggero il passo ed assume persino, ogni tanto, una movenza elegante nel mare della malagrazia; ed incontriamoci, se ti va, in riva al mare, sotto il ponte in costruzione su qualche fiume infinito.

venerdì 21 ottobre 2011

Forse tra qualche giorno


Baroni, padroni,
pompieri, aspiranti dirigenti
topi di sezione, oscuri burocrati
gente con la laurea in tasca,
forse tra qualche giorno ce ne andremo e proverete a dimenticare
tornando con: bacheche, circolari, processo democratico, giornali
registri, libri mastri, orpelli, specchietti, proposte in positivo, azioni costruttive
delegati e mozioni (ma non rompete i coglioni)
direte: era un fuoco di paglia, un'oscura marmaglia senza proposizioni
(ma non rompete i coglioni)
ma tutto questo non è stato invano, noi non dimentichiamo...
per il vostro potere fondato sulla merda, per il vostro squallore
odioso, sporco e brutto.

(Da qualche parte, anni fa)

L'Obbediente


Vale davvero la pena andarsi a leggere l'intervista che Luca Casarini ha rilasciato a "Repubblica" (e a chi altro?!?); ma ancor prima di leggerla, è bene dare un'occhiata alla foto che la accompagna e alla scritta che il disobbediente ha appiccicata sul maglione, con quella sua aria da Gérard Depardieu giovane con tanto di sigaretta in bocca. "Siamo tutti sovversivi", dice; eh, caspiterina. Davvero una bella tempra di sovversivo, questo qui; sabato, a Roma, sembra fosse su un camion, quello di "Uniti per l'Alternativa"; il desiderio più che ovvio, a questo punto, sarebbe che su un camion ci restasse, e si decidesse finalmente a lavorare sul serio. A dire il vero, come specifica la sua pagina Wikipedia, da qualche tempo il disobbediente ha aperto una partita IVA e si è messo a fare il consulente sul marketing e design pubblicitario; la morte sua, verrebbe da dire. Ogni sua uscita, compresa naturalmente quella del 15 ottobre, è effettivamente un'operazione di market(t)ing e di pubblicità, ed è in fondo da capire che sia tanto arrabbiato con quei kattivoni che hanno osato rovinargliela.

È singolare ma indicativo che un personaggino del genere parli di "ambiguità", lui che da un lato occupava il centro sociale d'ordinanza (il "Pedro" di Padova, nel 1987) per poi candidarsi a sindaco nella medesima città; lui che faceva le "dichiarazioni di guerra" ai leader mondiali (ve ne ricordate?) per poi finire ènema (*) e core dalla parte della sbirraglia e dei delatori. Un altro che getta la maschera? Direi di no, visto che -a mio parere- la aveva già gettata ben prima; una presuntuosa nullità, ancorché discretamente abile nel promuovere se stesso e le sue ambizioni. Nulla di nuovo sotto il sole; spiace soltanto per coloro che, tanti o pochi che siano, gli sono andati dietro in buona fede. Alla prova dei fatti, il disobbediente si è rivelato un perfetto Obbediente, un piccolo servetto già pronto (nonostante la piccata smentita espressa nella parte finale dell'intervista) per una bella poltroncina. Non so se gliela offrirà Vèndola, ma certamente lui còmprala.

Il livore con cui l'Obbediente affronta gli avvenimenti del 15 ottobre è, del resto, lo stesso di tutti i suoi compagnucci ai quali il duro benvenuto nella realtà deve aver fatto parecchia bùa. Poiché è tanto obbediente, le argomentazioni che sciorina nell'intervista obbediscono appunto a tutto il manualetto che il "partito di Repubblica" (nel quale rientra a pieno titolo) aveva probabilmente già approntato. Qualcuno si potrebbe chiedere in che cosa le sue affermazioni differiscano non solo da quelle di un Vendola, ma anche da quelle di un Bersani; ma sarebbe un esercizio abbastanza sterile, fine a se stesso. Il trionfo di banalità e di precotture sciorinate dall'Obbediente parla, del resto, da solo. Se ha qualcosa di positivo, è che dà esattamente la misura di tutta l'operazione montata su con la parata "indignata" del 15 ottobre. Il tempo, in questo periodo, corre veloce; i fatti e la realtà si occuperano di spazzare via definitivamente questa razzumaglia di sbirri, di politicanti e di piccoli e ridicoli opportunisti.

(*) non è un refuso.

giovedì 20 ottobre 2011

Καίγει η Ελλάδα


Nei momenti di crisi peggiore (e questa è una crisi che investe le strutture più profonde del sistema capitalista, sarà bene ricordarlo e ribadirlo), lo scontro non è unicamente sociale. Il conflitto è anche da due differenti modi di intendere e esercitare tale scontro, che rappresentano uno spartiacque decisivo. Oscurate sia dalla "notizia del giorno" (la morte di Gheddafi, sulla quale avrò a tornare brevemente in seguito) sia dall'ovvia necessità mediatica di regime di presentare gli avvenimenti odierni in Grecia come la solita contrapposizione tra "violenti" e "nonviolenti", le notizie provenienti da Atene e dalle altre città elleniche ci presentano una realtà ben diversa, la realtà della collera incontenibile di una generazione intera che anche a Roma si è espressa in un linguaggio non fraintendibile.

Vale la pena ricordare che, in Grecia, le statistiche parlano di una disoccupazione che interessa un giovane ogni sei, e che le misure di austerità che il governo di Papandreu sta per varare aggraveranno la situazione a livelli oramai insostenibili per la maggioranza della popolazione del paese. Lo sciopero generale che è stato proclamato in Grecia non è come la farsa promossa dalla CGIL lo scorso 6 settembre, farsa che peraltro non ha avuto alcun seguito. In Grecia sono oramai anni che si svolgono a cadenza pressoché quotidiana manifestazioni in cui lo scontro con la polizia è pratica corrente e condivisa (e principalmente per questo motivo le notizie relative, in Italia, sono off-limits; non avessero a turbare i sonni dei nonviolenti e dei legalitari istituzionali e non e, più che altro, a far porre troppi interrogativi seppure a cervelli in gran parte atrofizzati che riescono a considerare come "atto di protesta" esporre alla finestra una bandiera tricolore). In Grecia è in atto uno scontro la cui portata deve essere sottaciuta, perché fa paura; in tale senso, è indicativo che, nel dare ogni tanto qualche notizia, non si sia trovato di meglio che presentare anche gli scontri di questi giorni come "manifestazioni pacifiche rovinate da pochi violenti": col cazzo. In Grecia non esistono e non sono mai esistite, da tre anni a questa parte, "manifestazioni pacifiche". In Grecia non esistono "indignati" con tende e striscioni colorati. In Grecia è stato dato fuoco a ogni cosa, dagli alberoni di Natale alle sedi del PASOK. In Grecia migliaia e migliaia di persone si concentrano nella piazza principale del potere, dove ha sede il parlamento; non a caso, la rottura del corteo romano del 15 ottobre si è avuta proprio quando chi non intende seguire gli itinerari della "protesta" anodina e gradita al regime (quella "condivisa" persino da Draghi e addirittura da chi, come un Di Pietro, poco dopo ha invocato leggi speciali) ha deviato verso i centri di potere.

La Grecia brucia, e quando le fiamme fanno paura bisogna nasconderle dato che non è possibile soffocarle. Come riportato puntualmente da Baruda, in Grecia (ma in termini decisamente più duri e chiari) quel che sta accadendo in Grecia propone esattamente lo scontro aperto tra la rabbia autentica e l'intruppamento, tra chi attacca e chi svolge pienamente una funzione sbirresca. Il riferimento è agli stalinisti del ΠΑΜΕ (acronimo sí di Πανεργατικό Αγωνιστικό Μέτωπο "Fronte di Lotta di Tutti i Lavoratori", ma che in greco può essere letto anche come πάμε "andiamo"...affanculo, ci aggiungerei volentieri), che oggi in piazza Syntagma si è immediatamente schierato a difesa dei cordoni di polizia, ancor prima che la polizia si fosse pienamente schierata nella grande piazza del parlamento. Il parallelismo con la situazione di sabato scorso a Roma, dove il corteo "pacifista e nonviolento" era di fatto in sintonia (anzi, in presintonia) con gli sbirri poi invocati a gran voce, applauditi e festosamente aiutati nella repressione, è evidente; a Atene i servizi d'ordine di questi maiali sono stati attaccati in forze dal blocco antiautoritario, e sono volate molotov, bottigliate, bastonate assieme all'assalto alla polizia "propriamente detta", l' Αστυνομία, dato che certamente non si era rinunciato ad avvicinarsi al palazzo dove il "parlamento democratico" stava votando l'assassinio premeditato del popolo greco.

Nel fare questo, il blocco antiautoritario ha semplicemente applicato una logica conseguenza. Si attacca sí la polizia, ma in ogni sua entità ivi compresa quella travestita da "protesta". Gli stalinisti del ΠΑΜΕ (che non per niente, sul loro sito, denunciano la δολοφονική επίθεση εναντίον της συγκέντρωσης του ΠΑΜΕ "aggressione assassina contro il concentramento del PAME", con un linguaggio che ricorda da vicino quello dei "festosi" di casa nostra). La reazione è stata ovvia e consueta: gli stalinisti hanno agito da sbirri esattamente come i "nonviolenti" a Roma, affiancando la polizia e consegnandole gli attaccanti. In non molto tempo, la piazza viene presa dalle due polizie, che in pratica sono una sola: quella dello stato e quella del PAME. Inizia la cattura e la repressione.

Vale la pena, a questo punto, tornare un attimo a casa nostra e raccontare di come è stata presentata la giornata di oggi ad Atene da Popolare Network, radio fintamente "progressista" e schierata a pieno titolo con le forze dell'impacchettamento e della delazione. Secondo Popolare Network, infatti, ad Atene oggi ci sarebbe stata la "ribellione contro i violenti di chi intende protestare pacificamente", nelle stesse modalità di sabato a Roma. In pratica, una situazione come quella odierna a Atene viene presentata come una ripetizione di ciò che è avvenuto il 15 ottobre, e gli scopi di questa forzatura della realtà appaiono chiarissimi. Naturalmente ignorato è stato il fatto che, nel prosieguo della serata, gli scontri sono continuati e, anzi, si sono allargati con gruppi della sinistra antagonista che si sono uniti negli assalti agli sbirri stalinisti del PAME. Il risultato è stato che la polizia "DOC" è stata costretta ad aprire una via di fuga per i "colleghi" stalinisti, che si sono allontanati per andare a scrivere sul loro sitacchione di come siano stati "vilmente assaliti" (il termine che usano è indicativo: προβοκάτσια, che si legge provokatsia e che non ha bisogno di traduzione) e, presumibilmente, per andare a lamentarsi presso i media greci. Nei prossimi giorni ho intenzione comunque di monitorare la situazione direttamente sui siti in lingua greca, soprattutto per controllare se anche in Grecia si sia praticando diffusamente l'invito alla delazione.

Inutile dire che "Repubblica" non perde occasione, in una notiziuola relegata quasi in fondo al suo portale, di esaltare i "pacifici" che avrebbero "respinto i violenti"; a questo punto, la cosa deve essere ricondotta semplicemente ad una ovvia strategia di menzogna sistematica che accomuna in un solo "blob" fascisti e "progressisti", "nonviolenti" e delatori, "democratici" e grancasse di regime. L'espressione "forze dell'ordine" è oramai pienamente applicabile non solo alle polizie, ma anche a chi le spalleggia fattivamente. Il tutto, naturalmente, nel particolare contesto di oggi dove la "notizia principale" è quella della morte di Gheddafi con i relativi giubili, esaltazioni e gridolini di orgasmo da parte degli obami, dei sarcozzì neopaparini, dei napolitani, dei fratt(agl)ini e compagnia bella. Qui si fermano la "nonviolenza" e il "pacifismo", comunque la si voglia vedere e, soprattutto, considerata l'attitudine di chi non cessa di volersi scegliere le sue "rivoluzioni" preferite al pari dei suoi "manifestanti" preferiti. Intanto, la Grecia continua a esplodere, e sto immaginandomi le reazioni se, tra qualche tempo, in un qualche cunicolo (o in una fogna) una folla in armi dovesse stanare Papandreu, qualche governatore di una banca centrale oppure, chissà, Nichi Vendola o Casarini mentre consumano l'ultimo disperato amplesso con Draghi e Montezemolo.

mercoledì 19 ottobre 2011

Di là, di qua.


È senz'altro riduttivo parlare semplicemente di generici "pacifisti" o "non violenti" che desideravano manifestare festosamente; dietro tutte queste paci, queste nonviolenze e queste feste si nascondeva (anzi, a dire il vero, non si nascondeva affatto) una manifestazione elettoralistica di alcuni soggetti politici ben precisi. Mi sembra, a questo punto, una premessa necessaria; la cosiddetta "anomalia italiana" di cui tanto hanno cianciato i media di regime (ivi compresa Popolare Network, che non la smetteva un attimo di battere su questo tasto durante la diretta) non è affatto consistita negli scontri di piazza, bensì nella stessa convocazione della manifestazione di sabato. Sarebbe bene contrastare con ogni mezzo il bluff, la finzione degli "indignati": questa era la manifestazione in primis di SEL, e poi di altre entità e sigle che intendevano produrre una prova di forza, un corteo di grosse dimensioni con relativo comizio finale. Ovvio che il desiderio, condiviso preventivamente, fosse quello che tutto andasse liscio: doveva essere la "grande festa colorata" di apertura ufficiale della campagna elettorale. Liscia non è andata, però; da qui lo scatenamento rabbioso verso chi ha fatto fallire questa manovra, verso chi non ha nessuna voglia di festicciole, di comizi, di slogan e di "indignazioni" la cui vera natura si è rivelata immediatamente.

La promozione della delazione non è del resto cosa nuova; non bisognerebbe dimenticare che, ad esempio, nella Torino degli anni '70 venivano distribuiti nei quartieri dei moduli per segnalare "comportamenti strani" a cura del PCI e della CGIL; per non parlare di ciò che avveniva nelle fabbriche (l'esempio del delatore Guido Rossa è anche fin troppo ovvio). Le campagne di delazione, insomma, sono una prerogativa storica di certa "sinistra" che non ha mai avuto nessun dubbio dove situarsi, a partire proprio dal PCI; e la storia si ripete oggi. Non deve stupire certamente che il "Giornale" abbia avviato una campagna del genere, ma ancor meno che la abbia avviata "Repubblica". Che un questurino nazista come Di Pietro, quello che invoca a gran voce le leggi speciali riscuotendo il plauso di Maroni, si situi nel "centrosinistra" non è stupefacente: è soltanto logico, se si pensa al fatto che la legge Reale fu sostenuta pienamente dal PCI di Berlinguer.

Gli stupori, a mio parere, non sono quindi giustificati dato che rientrano in una tendenza storica. Altrimenti non si spiegherebbe perché dei "manifestanti" consegnino altri manifestanti nelle mani della Polizia, che è la stessa di Genova. Le organizzazioni (partiti, sindacati, comitati) che comunque si situano nel campo dello Stato e della sua "legalità" non hanno nessuna difficoltà nel rimuovere ciò che è accaduto in passato, ma è una rimozione che sottintende un humus culturale e politico che non si cancella, e che torna regolarmente a galla. Le realtà che promuovono la delazione organizzata (effettuata perdipiù servendosi dei mezzi tecnologici e informatici attuali, come Facebook e YouTube) e che applaudono gli sbirri sono esattamente le stesse che, dieci anni fa, avevano provato sulla loro pelle la repressione indiscriminata scatenata a Genova; da qui l'ennesimo e ridicolo ricorso ai soliti "infiltrati", ai "black bloc" e a complotti vari. Nessun complotto, invece: semplicemente mettersi, come sempre, al riparo dell'ordine costituito anche se, dieci anni prima, aveva avuto qualche piccola intemperanza. I "pacifisti nonviolenti" di sabato sono magari quelli che si sono indignati tanto (indignarsi, per loro, dev'essere un mestiere) per Bolzaneto e per la scuola Diaz, invocando "giustizia", per poi preparare tranquillamente (anzi, gioiosamente e festosamente) altri bolzaneti e tutto un apparato repressivo che si esplica nelle forme consuete. Dietro le loro grida di "no violenza, no violenza!" c'è tutta la loro violenza di servi. La delazione è il loro approdo naturale.

Alla fine, però, il loro comizio non lo hanno fatto. È andata buca, e quando va buca in questo modo, vale a dire con il consumarsi di una rottura definitiva e irrevocabile, ne guadagna perlomeno la chiarezza. O di là, o di qua. O con lo Stato (e con la sua polizia e la sua "legalità"), o con l'azione diretta antisistema. Sabato erano in realtà gli "incappucciati" a non avere nessuna maschera e ad agire come richiederebbe davvero la situazione attuale, in maniera generalizzata; la mascherina la avevano tutti quei presupposti "indignati" il cui "volto scoperto" è ben più cappuccio di quello di una felpa, di un passamontagna o di una keffiah. Gliela hanno fatta gettare, e sono apparsi i volti di violentissimi collaborazionisti e di sostenitori della stretta repressiva. E i loro "black bloc" somigliano terribilmente agli "untorelli" del gran compagno Berlinguer; intanto, però, il fuoco della rabbia ha smesso di covare e sta esplodendo. Lo si potrebbe chiamare il fuoco della realtà, ed a questi damerini è stato dato un crudele benvenuto che li ha spinti finalmente nelle usuali e calde braccia di mamma Polizia, nei "figli del popolo" di sua eminenza Pasolini, idolo e riferimento naturale di siffatti imbecilli servili.

martedì 18 ottobre 2011

lunedì 17 ottobre 2011

Vuliti finiri i babbiari...?


Ora, sono anche disposto -pur con alcune comprensibili difficoltà- ad immaginarmi il lettore tipo del Repubblik Beobachter e degli altri giornalazzi di regime; facendo uno sforzo ancora più grande (del tutto assimilabile a quello per la "ponzata" di una cacata di media entità) mi posso figurare un tifoso del gauleiter Von Pietren, un telespettatore del tiggiddùe, la ganza dell'onorevole Fiano e persino un "indignato" che racconta, seduto al desco familiare, di come ha fotografato o filmato il black bloc ed è andato, emozionato come al primo giorno di scuola, a portarlo al più vicino posto di gendarmeria; però ci sarà pure bisogno che qualcuno si prenda la briga di dire a tutti costoro che li stanno prendendo per il culo a rondemà (*). Sono dolente che tale briga venga presa dal sottoscritto, misero tenutario di un blogghino da tre soldi, ma tant'è.

Insomma, chi in queste ore si pasce di repubbliche, di tiggì con qualsiasi numero, di Facebucchi, di corrieri & gazzette varie e di maroni (quelle cose dalle quali si è spesso invitati a levarsi) ha l'impressione che l'Enotria sia percorsa in queste ore da un màschio fremito di demokrazia, e che l'intera naziòna si sia unita nel "blitz anti-blackbloc" (o "antianarchico") che è stato annunciato con gran titoloni, dichiarazioni, proclami e invocazioni di leggi speciali. Orde di "indignati" che affollano i commissariati con videofonini, fotocamere, cineprese in super8, polaroid scovate in soffita e dagherrotipi; retate clamorose nei centri sociali, battaglioni di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa, mobilitazione delle guardie zoofile e protezione in armi della madonnina piangente di Civitavecchia (non avessero a spaccare anche quella). Poi, all'improvviso, le notizie planano in dieci minuti in quarta, quinta, sesta posizione; i titoloni ricominciano a gravitare sul goal di Klose al 93', sulle telefonatine fra Berlusconi e Lavitola, sul parto di Carlabrunì, sul delitto di Avetrana; e si viene a sapere che il "grande blitz" ha prodotto il fermo di una dozzina di ragazzi, l'intercettazione di un camper con cianfrusaglie varie filmate, e alcune perquise a Firenze durante le quali gli agenti incaricati sono stati persino presi per i fondelli ("ma non le potete fare un po' più tardi 'ste perquisizioni invece che alle sei di mattina...?!?").

Traduzione: il "grande blitz" è un bluff. Fermi a parte (che rappresentano comuque un episodio di repressione, e su questo c'è poco altro da dire), la realtà è che non si è trovato assolutamente nulla. Nel famoso camper fermato all'area di servizio Chianti, sono state filmate felpe scure, scarpe antinfortunistiche e scontrini di acquisti fatti a Roma. A Firenze e a Livorno non è stato reperito alcun tipo di materiale; nessun altro fermo o arresto è stato effettuato. Mentre i mentecatti istituzionali sbavano le loro forche, il "blitz" che doveva eliminare una volta per tutte il pericolo "anarcoinsurrezionalista" si sta rivelando una specie di piccola scorreggia, di quelle che in Toscana si chiamano loffie (o loffe). Un'autentica presa per il culo che i poveri "indignati" così tanto solerti nella delazione stanno bevendo alla grande.

Il "vaglio degli investigatori" (chissà perché, ogni volta che leggo o sento questa espressione, mi vedo dei questurini tutti impiastricciati di farina con un setaccio in mano e l'ispettore che urla "ma quando siete pronti che s'ha da fare gli gnocchi..?!?!") dev'essere stavolta qualcosa di veramente impareggiabile, considerando che magari le scarpe antinfortunistiche puzzano di piedi che avèllano e le felpe scure hanno un odorino di sudore che ammazzerebbe uno yeti; casomai gli investigatori volessero "vagliare" pure il sottoscritto, avverto previamente che nel portabagagli della macchina ho un intero set di attrezzi dell'Ikea (martello compreso, prezzo dell'intera scatola euri 4,30), un pericolosissimo pallone SuperTele giallo atto a offendere (nel senso che, se lo tocchi, ti dice "smettila, bucaiolo!"), un paio di scarpacce da trekking svizzere con stratificazioni di puzzo risalenti al devoniano e, ora che ci penso bene, anche una felpa scura che non mi stava più, ma che ora potrebbe essere riutilizzata dato il mio repentino dimagrimento.

Quando poi avranno smesso di pigliare per il culo, magari si potrà anche ragionare un po' più seriamente di quel che è successo a Roma il 15 ottobre. Non che molti non lo abbiano già fatto, ma prima c'è da puntualizzare questa cosina che rappresenta l'ennesima fiction data in pasto a milioni di babbei per i quali la "democrazia" consiste esclusivamente nel lasciarsi abbindolare nei modi più fantasiosi, dalle "elezioni" agli articoli di Eugenio Scalfari, dai "milioni di euro di danni" alle madonnine fracassate (quando però, ogni giorno, vengono fracassate donne in carne e ossa non si assiste a cotante levate di scudi). Milioni di babbei la cui "indignazione" ha mostrato il suo vero volto; eppure sono certo che si continuerà a lottare anche per loro, seppur con la certezza che se ne renderanno conto quando sarà troppo tardi.

(*) "A rondemà": espressione livornese che significa "alla grande, in abbondanza, in gran copia". È di origine francese: "à ronde main" (a mano rotonda, nel senso di "a mano piena").

Un fascista starnazzante.


Oggi invoca la Legge Reale, arresti e fermi obbligatori, "pene esemplari". Nulla di cui stupirsi da parte di Mr Galera, da questo schifoso fascista e dei suoi "valori" di questurino (ricordiamo che, prima di diventare "eroe", è stato commissario di polizia). Però è anche una specie di goduria osservare e ascoltare le reazioni di tutti i politicanti, in blocco, di fronte a ciò che è accaduto sabato a Roma. Lo scomposto starnazzare di Di Pietro è il perfetto riassunto di un'impotenza senza oramai più nessun legame con la realtà. Scateneranno (anzi, stanno già scatenando) la loro consueta repressione, invocata a gran voce non solo da loro stessi e dai loro fedelissimi "media"; ed è proprio questo l'indice migliore di quanto siano fuori dal mondo. Delle vostre galere un giorno, un buon uso sapremo far...


Riprendersi il presente


Non gliene importa mica niente, a questi qui, del capitalismo e di come uscire definitivamente fuori da un sistema che ha prodotto soltanto macerie e morte; e non è, stavolta, nemmeno questione di "italiani". Non gliene importa un cazzo agli italiani così come agli spagnoli, agli olandesi o agli americani; gli unici che, invece che "indignarsi" si sono incazzati sul serio rimangono, almeno in parte, i greci. Per il resto, soltanto ciance che si esplicano benissimo in finte "occupazioni di piazze" e nelle solite "feste colorate" di cui appare sempre più chiara la natura di feste della delazione. E' indicativo vedere tutti questi "nonviolenti" che non solo non battono ciglio davanti alla violenza dello Stato, ma anzi la incoraggiano fattivamente. Riprendo dal blog ErotiKamala questa testimonianza di una ragazza romana:

"Oggi ho subito molta violenza da parte dello Stato, ne ho respirata tantissima. Ne ho subita tantissima da parte dei cosiddetti “nonviolenti” che aggredivano fisicamente o verbalmente chiunque provava a fermare le cariche della polizia ( quindi non parlo di bancomat, di agenzie interinali … ma di polizia, di cariche, di idranti, caroselli e lacrimogeni CS che sono un’arma vietata dalle convenzioni internazionali). Questi cazzo di “nonviolenti” che invocano la polizia sui nostri corpi, questi stronzi che urlano fascisti solo perché non si corre via ma metro per metro si prova a conquistare la piazza anche per permettere ai loro culi comodi di non morire in una tonnara. Sono NON VIOLENTI con lo STATO, ma infinitamente violenti (verbalmente e fisicamente) con il resto dei manifestanti…e parlo proprio di coloro che erano a mani alzate a piazza san Giovanni, malgrado i cartelli con scritto “La piazza è libera”, chiedevano alla polizia di massacrarci."

Cianciano di "futuri", ma il loro "futuro" non va oltre qualche cosiddetta "soluzione sociale" che si astenga rigorosamente dal benché minimo scontro, neutralizzando qualsiasi opzione che contempli riprendersi il presente. Del resto, è forse possibile osservare qualche differenza tra quel che fanno e dicono, e ciò che si legge su "Repubblica" o le dichiarazioni dei vari politicanti che cercano di cavalcare la tigre? Tutti che invitano a "comprendere le ragioni", a condizione di stare buonini e di "isolare" chi buonino non è più disposto a starci; e a chi non ci sta, ci pensano direttamente gli "indignati" coi loro telefonini e con le riprese che portano solerti alla polizia. Si scrive "indignati" e si legge infami. Altro che "allegria" e "colore": le solite tristissime sfilate di zombies da Roma a New York, da Amsterdam a Madrid. Bovini che vanno al macello credendo di evitarlo coi megafoni, con gli striscioni e con le loro "nonviolenze" mentre la violenza autentica, quella dei potentati finanziari, delle speculazioni, del mercato e degli stati, passa loro addosso e li travolge con la loro gentile collaborazione.

Di fronte a tutto questo, è necessario considerare il fallimento completo di questa strategia, un fallimento che appare tanto più chiaro, quanto aumenta lo starnazzare monocorde e unisono di una "sinistra" che fa a gara di forcaiolismo con "Repubblica" e con le "istituzioni": davvero un ottimo esempio di "indignazione"! E' fallito il disegno di stemperare tutto in inutili passeggiate oceaniche che non smuovono e non smuoveranno mai niente, obbedienti alle direttive legalitarie; gruppi, sindacati, partiti ed ogni altra struttura che cercava di ingabbiare tutto quanto in una "protesta" senza nerbo e senza costrutto sono stati totalmente scavalcati. I loro diktat, le loro raccomandazioni, i loro appelli e le loro minacce sono state del tutto ignorate. Ad una finta "rabbia" a base di vuoti slogan e di passività all'interno di un sistema che si ha paura a mettere seppur minimamente in discussione, si è sostituita la rabbia vera, spontanea, non fraintendibile e incontrollabile, e che è stata praticata nell'unica maniera realmente possibile e efficace. Tra Piazza san Giovanni e piazza Tahrir c'è un legame molto più profondo di quanto tanti "sinceri democratici" di casa nostra, tutti "contro la violenza" e muniti dei loro videofonini di merda (che oramai usano pienamente come telecamere collegate alla Questura), siano disposti a immaginare; solo che piazza Tahrir è lontana, mentre piazza San Giovanni è nel cuore di Roma. La loro più sincera "indignazione", quella che espletano più volentieri, è per un cassonetto bruciato o per un bancomat scardinato, e persino per un blindato bruciato che solo un minuto prima faceva caroselli indiscriminati. Verrebbe da chiedersi seriamente quanti di questi "indignati" si siano strappati le vesti per Carlo Giuliani, e poi siano andati tranquillamente a denunciare una folla di carligiuliani che stava davvero prendendosela, la piazza; ma è una domanda che resterà, forse, senza risposta.

A costoro, e alle loro violente e infami "nonviolenze" e ai loro "pacifismi" complici, siano lasciati tranquillamente i giornali, le televisioni, i dipietri e i napolitani; e, soprattutto, sia lasciata loro la "ricerca delle cause" e dei "responsabili"; non a caso i loro idoli perfetti sono dei magistrati. Sia lasciata loro un' "indignazione" fine a se stessa, telecomandata e più falsa dell'oro di Bologna. Non sappiamo che farcene. E' partito il fuoco, e non importa tanto chi lo abbia acceso, bensì il fatto che si sia propagato immediatamente: ed è questa la cosa su cui è necessario ragionare seriamente. Così come in tutto il mondo, esiste (o è tornata ad esistere) una parte che è disponibile al conflitto, alla lotta, allo scontro. Non una vuota "indignazione", ma rabbia che agisce realmente come tale.

Nella foto: Vivere a Milano, via Mancini, 17 aprile 1975.

domenica 16 ottobre 2011

Draghi e Draghetti


Le manifestazioni e le rivolte, certi signori e certe signore, le vorrebbero esclusivamente come vogliono loro. "Pacifiche", "legali", "colorate e festose"; e mi verrebbe da dire (e lo dico!) che i "colori" che preferiscono sono quelli del governatore Draghi. Tutti dei piccoli Draghetti, che appunto come il famoso personaggio dei cartoni animati, hanno un'unica, profonda aspirazione: quella di fare il pompiere. Guai a usare troppo fuoco, perché il fuoco ha una caratteristica che non riescono proprio a capire: brucia. E se il fuoco si mette a bruciare, si hanno delle alluvioni di dispiacere, come appunto quello del governatore della Banca d'Italia nonché futuro capo supremo della BCE. Visto che si lamentano tanto perché la manifestazione di ieri è stata gestita male, improvvisata, non ha "saputo isolare i violenti" e non si è limitata ad essere la solita passeggiatina più o meno allegra per una città, potevano farsela organizzare e gestire direttamente da Draghi, quello che "capisce i giovani"; ho come il sospetto che parecchi ce lo avrebbero visto molto bene, tutto bello pacifico, magari accanto a Vendola e a Casarini.

Sono tipi davvero curiosi, questi "pacifisti"; sempre pronti a dire che "con la violenza non si ottiene nulla", perché in realtà la loro più grande paura è che si ottenga qualcosa; appassionati di paragoni, tipo quello con le "altre manifestazioni" tutte belline e pacificissime, quelle di New York dove i bravi manifestanti ripuliscono la piazzetta "occupata" in modo che il sindaco conceda paternamente di non spostarsi. Tutti a puntare il dito contro i "facinorosi" e i "violenti", chiedendo magari, e assai volentieri, l'aiuto della polizia. A questo punto facciano la cosa più logica: se li decidano da soli, i loro manifestanti. Poiché la data del 15 ottobre è già definita come maledetta, se le facciano da soli le loro "resistenze", si caccino i loro "governi", si patullino i loro "futuri" e le loro "mancanze di futuro". Stiano sui loro blog e sulle loro pagine Facebook a stigmatizzare e a fornire le loro ricette che hanno, fondamentalmente, lo stesso valore di quelle della Prova del cuoco; alla prova del fuoco non sanno resistere. Viene immediatamente fuori la loro natura di Grisù: draghetti fuori e pompieri dentro. Vanno alla manifestazione intitolata pomposamete Toma la calle!, ma quando qualcuno cerca di tomarsela per davvero, la calle, passano immediatamente a fare il tifo per la Polizia affinché li protegga da quei violenti che rovinano la festicciuola.

Non lo hanno capito che questa è tutt'altro che una festa, e che i loro "colori" e le loro "allegrie" sono più tristi e funeree di un due novembre di pioggia. Non hanno capito che, ai signori della crisi, una valvola di sfogo ben ordinata e rispettosa va benissimo; non per niente, fin da mesi prima della manifestazione di ieri, erano tutti a mettere le mani avanti e a implorare che non accadessero scontri e che tutto si svolgesse nella massima calma e tranquillità. Vogliono "riprendersi il futuro" nel modo che viene loro gentilmente indicato dagli stessi contro cui intenderebbero "protestare", ben attenti a non disturbarli perché sennò si intristiscono. Come diceva la vecchia canzone? E sempre allegri bisogna stare, ché il nostro piangere fa male al re. Proviamo invece a immaginare per un momento se, ieri, quelle centociquanta o duecentomila persone che c'erano se la fossero tomata sul serio, la calle. Nell'unico modo efficace in cui la strada va presa: col fuoco. Ma non avverrà. Urlavano No violenza! No violenza! mentre la tanto rassicurante polizia faceva i caroselli anche addosso a loro, e magari con la speranza nemmeno tanto segreta che qualche violento fosse pacificamente schiacciato o, quantomeno, messo in condizione di non nuocere. Del resto, sembra che ci abbiano pensato direttamente loro, a consegnare degli incappucciati direttamente nelle mani della Polizia: una sintesi perfetta di tutta la non violenza.

Bisogna capirli. Generalmente, per questi qui, la "soluzione alla crisi" consiste nel cambio di governo. Ma quale crisi: la manifestazione di ieri doveva essere semplicemente l'ennesima, pacifica e "non-violenta" spallata a Berlusconi. Qualcuno ha pensato bene di prenderlo alla lettera, il titolo della manifestazione: e così le cose sono diventate chiarissime. Di presenti senza uscita e di futuri senza futuro, a questi qui non importa nulla; l'importante è non dare eccessiva noia. La prossima volta, se ci sarà, si facciano organizzare e gestire direttamente da Napolitano; a prendersi la strada, o perlomeno a tentare di farlo, ci penseranno altri. Assaltare istituzioni, banche, SUV e sbirri va bene esclusivamente se avviene in Tunisia o nelle banlieues parigine o londinesi; se invece avviene a Roma in un bel pomeriggio ottobrino ecco spuntare i nuovi brigatisti, i violenti da isolare e tutti i pacifismi e le non-violenze che puzzano di morte più di un cadavere in decomposizione. E allora vi meritate Vendola. Vi meritate i piagnistei su Steve Jobs. Vi meritate Draghi. E vi meritate anche la crisi che vi spazzerà via. Provate a dirglielo a lei, di essere pacifica e non violenta!

venerdì 14 ottobre 2011

Terapia intensiva


Quel che sto per scrivere ha, sí, a che fare direttamente con quel che mi è piombato addosso negli ultimi tempi; ma non si tratta né di un racconto intimista, né di considerazioni esistenziali o, comunque, di natura privata. Ne parlo in prima persona in qualità di soggetto civile, di cittadino che ha dovuto e deve confrontarsi con una malattia grave; in breve, è una testimonianza vissuta sulla propria pelle seguita da alcune considerazioni che ritengo necessarie.

Mi sono sentito male alle 3,20 del 21 settembre scorso, ed è intervenuta un'India (ambulanza infermieristica) con personale specializzato; in poco più di un quarto d'ora sono stato stabilizzato con la prima terapia d'urgenza, monitorato e inviato a codice 2 presso il DEA (Dipartimento Emergenza e Urgenza) del Policlinico di Careggi. Vi sono arrivato in circa dieci minuti.

Appena arrivato, sono stato immediatamente immesso in sala operatoria per l'intervento di corononarografia e angioplastica; l'ecografia aveva rilevato un'occlusione in più punti nella coronaria anteriore, e si trattava quindi di un infarto anteriore che stava interessando un'area piuttosto vasta. In 45 minuti circa l'intervento è andato a buon fine, e sono stato ricoverato un UTIC (Unità di Terapia Intensiva Coronarica). Vi sono rimasto fino al 24 settembre, costantemente monitorato e sottoposto ad ogni tipo di esame clinico e terapia d'urgenza. I locali del reparto sono modernissimi e dotati di apparecchiature e attezzature all'avanguardia; il ricoverato è accudito fin dalla prima mattina con infermiere che si occupano della sua pulizia personale e di ogni sua esigenza in quella particolare situazione.

Il sabato, stante il decorso regolare, sono stato inviato in un reparto di medicina cardiologica situato a poca distanza. Mi sono ritrovato, dopo soli quattro giorni, a potermi muovere sulle mie gambe e ricoverato in una stanza paragonabile a quella di un hotel a tre stelle: bagno singolo, televisione, letto e poltrona regolabili con telecomando, luce di lettura, terrazza. Sempre costantemente seguito dal punto di vista terapeutico e analitico. Lunedì 26 settembre sono stato sottoposto al secondo intervento di angioplastica, concernente stavolta una coronaria laterale anch'essa occlusa. Ho dovuto passare poi un'altro giorno in UTIC nelle medesime modalità della prima "tranche"; sono stato poi inviato di nuovo in medicina cardiologica, e infine dimesso il 30 settembre.

Al momento della dimissione, assieme alla cartella clinica contenente tutte le analisi progressive che mi erano state fatte, mi è stata consegnata tutta la documentazione e la cartella per la riabilitazione cardiologica (che sto attualmente effettuando presso una struttura ospedaliera apposita, in regime di day hospital). Tale cartella contiene tutta la terapia che devo seguire, e i buoni di consegna per tutti i farmaci necessari e per l'attrezzatura di rilevamento della glicemia.

Tutto questo, al cittadino Riccardo Venturi, è costato esattamente euro zero. Ambulanza infermieristica, interventi chirurgici, ricovero in reparti altamente specializzati, farmaci, altre attrezzature, consulti specialistici (diabetologico, dietologico, psicologico), prelievi, analisi, tutoraggio sequenziale, test, prove da sforzo, cardiologo. Sono stato preso totalmente in carico per la durata di due anni.

Tutto questo ha un nome: si chiama sanità pubblica.

In un paese notoriamente orripilante, con i fondi sanitari costantemente tagliati magari per finanziare le "missioni di pace" dei vari "eroi", in preda alle privatizzazioni più selvagge e speculative, con le direzioni sanitarie lottizzate, con una ricerca massacrata; eppure, nonostante questo contesto desolante, il cittadino Riccardo Venturi ha avuto modo, sulla propria pelle, di constatare la differenza che passa tra una sanità che ancora ha un barlume di pubblico, e quella che non lo ha.

Altrove, e come immensamente desidererebbero dei personaggi e delle consorterie politiche che dovrebbero a mio parere sprofondare nelle fiamme infernali, tutto questo mi sarebbe stato negato in nome del mercato. Avrei dovuto stipulare un'assicurazione. L'ambulanza me la sarei dovuta pagare, e salata; al pari del ricovero, della terapia, delle analisi, dei farmaci. Nel frattempo, giornali e pennaioli da vomito si lanciano sui casi di "malasanità", ma non perché del caso specifico gliene importi alcunché. La loro "malasanità" ha un fine chiarissimo e ben preciso: quello di instillare nell'opinione pubblica la convinzione che la sanità pubblica debba essere eliminata. Obbediscono a un ben preciso disegno politico, non esitando mai a servirsi del "caso clamoroso" e del dolore che usualmente ne sussegue per perseguire ciò che è stato loro ordinato. A costoro non interessa certamente denunciare una situazione generalizzata in cui certi casi avvengono per le deficienze di un sistema che viene scientificamente strangolato e impoverito. Delegittimandolo ancora di più, si prepara il terreno alla privatizzazione totale.

Il cittadino Riccardo Venturi, che vive per sua fortuna in una regione dove la sanità pubblica ancora viene fatta resistere, vorrebbe ringraziare chi si è preso e si sta prendendo cura di lui con grande professionalità e umanità, nel nome della scienza e senza nessuna concessione a "medicine alternative" e altre ciarlatanerie del genere. Tale ringraziamento desidera però esplicarlo nell'unico modo che gli è possibile e consono, senza sdilinquimenti o personalismi. Lo esplica con una promessa di impegno e di durezza: nessun arretramento davanti a chi vorrebbe smantellare la sanità pubblica per i propri loschi affari e per l'arricchimento di pochi. Mantenimento e estensione della sanità pubblica per tutti, cittadini italiani e stranieri, immigrati "regolari" e "irregolari". Basta coi tagli e con le sovvenzioni pubbliche alla sanità privata. E lotta senza quartiere perché tutto questo avvenga, alla svelta. Una terapia intensiva da ammannire senza pietà alla razzumaglia dei privatizzatori, dei fautori del modello americano, delle assicurazioni, dei politicanti assassini.

Bì àngri, bì fulisc'

giovedì 13 ottobre 2011

Arièccoli !


Talmente puntuali da far impallidire un orologio svizzero, all'approssimarsi di una manifestazione che potrebbe rappresentare un punto di svolta nella melma mefitica di questo paese, eccoli di nuovo. Sto parlando di loro, naturalmente: i nunviulenti, i "gandhiani", gli apostoli della "legalità", i fautori della "protesta pacifica". Per smarcarsi, ne stanno trovando di tutte: dai paragoni ai sarcasmi, dagli scetticismi precotti alle effettive utilità. Indignati sí, ma esclusivamente quando la protesta non travalica; occorre essere tutti bravini, tutti rispettosi, essere contro alle banche ma non azzardarsi a assaltarle, far trionfare la "forza delle idee". Se poi la controparte, ovunque in Europa e nel mondo, mette in atto la solita repressione armata, si scatena facendo il segno di vittoria come la polizia greca, manganella, ferisce e ammazza, pazienza; anzi no, è tutta colpa loro, sia delle poche frange di stupidi facinorosi che hanno rovinato l'agognata protesta pacifica, sia della maggioranza che non ha saputo controllarli. La protesta (noterete che non sto affatto parlando di "rivoluzione") dev'essere esclusivamente come vogliono loro, e guai a deviare dalla retta via: quel che si guadagna, sono patenti inappellabili di idiozia, di infantilismo, di immaturità. Per costoro, la rabbia ha valore soltanto se ben inscatolata e etichettata; ogni pretesto diventa buono per scrivere sulla lavagna i buoni e i cattivi. Altro che "pranzo di gala"; a questi qui farebbe paura anche un picnic su un prato.

A sentirli, son tutti contro le banche cattivone, contro i signori della crisi, contro l'assenza di qualsiasi futuro, contro le politiche di smantellamento totale dello stato sociale, contro il precariato, contro i governatori; se però qualcuno decide, come ieri a Bologna, di passare almeno un pochino all'azione e di parlare un linguaggio meno accomodante, allora scatta immediatamente la fregola della non violenza. Allora, la cosa più importante diventa non disturbare troppo e sfilare ordinati e carini, incazzati o indignati sí, ma nei limiti della famosa civile convivenza. Quel che questo tempo ha di "civile", e quanto la convivenza sia stata oramai ridotta a farsi bastonare, schiantare, spolpare, incarcerare e affamare, dovrebbe essere oramai chiaro a tutti quanti; dovrebbe, dico. In Grecia è stato chiarissimo a tutti, ma là non si sono limitati a accamparsi o a sfilare tranquilli per le strade; e chissà se qualcuno si ricorda dell'Argentina del que se vayan todos. Non si è capito ancora che una vera resistenza e una vera rivolta, se la vogliamo chiamare così, non sono atti tranquilli e passivi. Non si è ancora ben realizzato che il famoso baratro sul quale ci troviamo tutti ha la caratteristica di farci cadere dentro, senza nessuna possibilità di rialzarci. Ma il problema principale è un altro, e consiste in una cosa che invece è stata capita benissimo, ma che si ha una fifa blu ad esprimere e portare ad una qualche conseguenza reale. Si tratta del capitalismo, vale a dire di un sistema intero. Il capitalismo non è gentile e rispettoso, e non ha nessunissima "legalità" tranne quella che impone a pecore obbedienti che belano nella loro servitù volontaria, per dirla con Étienne de la Boétie. Opporsi realmente al capitalismo non è semplice "indignazione", bensì avere ben presenti certe responsabilità, ed essere disposti ad assumersele. Finito il tempo dei giochini e dei tremori; o di là, o di qua. Chi ha ancora voglia di condannare, di stigmatizzare o quant'altro, poi non si lamenti tanto se si ritroverà calpestato. A lorsignori non importa assolutamente nulla delle proteste pacifiche, non ne hanno il benché minimo timore. A questi qui, invece, è necessario tornare a mettere paura, ed impedire loro di fare sempre e comunque ciò che vogliono.

A differenza di tanti sedicenti "resistenti" che hanno un po' troppo in mente pargoletti e famigliuole, io non avrei nessun dubbio e nessuna remora nel partecipare alla manifestazione di sabato prossimo a Roma; e non vi parteciperei affatto tenendomi fuori da forme gentili e anodine di protesta. Purtroppo, e sottolineo purtroppo, le mie attuali condizioni fisiche me lo impediscono. Per quel che può valere, sarò con la mente e con il cuore con chiunque intenderà far capire a certi signori e a certe "istituzioni" che è terminato il tempo della tranquillità, e che "rabbia" non è più una parola vuota o uno sterile esercizio di stile. Non amo smarcarmi, né fare ricorso alle stronzate "nonviolente" e a ciance buone soltanto per far intridere di cacaiola rotoli interi di carta igienica. Noi che volevamo approntare il mondo alla gentilezza, noi non si poté essere gentili: sarà bene, d'ora in poi, ricordarsi di queste parole scritte da Bertolt Brecht in finsteren Zeiten. E questi tempi non hanno nulla di meno cupo.

Nella foto: Mohandas Karamchand Gandhi attorniato da gerarchi fascisti durante la sua visita in Italia, se ben mi ricordo nel 1934. In Sudafrica, mentre lottava contro la discriminazione nei confronti dei "suoi" indiani, ebbe di converso a pronunciare e scrivere parole di autentico disprezzo razzista nei confronti dei nativi africani, da lui chiamati kaffirs esattamente come li chiamavano i boeri: "Sono ignoranti, incivili, animali. La sola ambizione dei kaffirs è raccogliere una certa quantità di bestiame con cui comprare una moglie e poi passare la loro vita nudi, nell'indolenza. Sono degli sfaticati, una specie di umanità quasi sconosciuta tra gli indiani".

lunedì 10 ottobre 2011

Scoop dell'Asociale, ovvero Il vero discorso di Stiv Giobbs


In questi giorni, il famoso discorso del dipartito Steve Jobs agli studenti della Stanford University (lo potete leggere qui, ovviamente da una pagina Facebook) è definitivamente assurto a Sacra Scrittura (a tale riguardo, si leggano i commenti presenti sulla pagina). Le voci però di una sua prima redazione originaria, che Steve Jobs avrebbe dovuto pronunciare in livornese, si erano fatte talmente insistenti che mi sono dato da fare per ricercarla; e i miei sforzi sono stati finalmente premiati. Eccovi qui, adunque, il testo di quella prima stesura, che l'Ekbloggethi Seauton Asocial Network si onora di presentare per primo all'attenzione dell'Umanità Orfana, e che ci presenta uno Steve Jobs senz'altro inedito.

Proprio pe' dìlla tutta, oggi ciavevo l'agenda piena zipilla d'artre 'ose da fa, e di siùro più interessanti 'e venì a parlà qui vestito 'e sembro un cràun der circo Medrano davanti a una gabbionata di lobotomizzati dell'università di Stanlàurel...ah no, di Stànforde. Come sapete, io la làura 'un l'ho mai presa, anche perché ir mi' tempo lo passavo a straatafàmmi d'ogni 'osa, e bastava 'e fosse in porverina 'e annusavo ammodino anco la cipria della mi' zia Uòllis bonanima e ir tabacco da fiuto der mi' nonno siriano 'e ar posto der naso ciaveva una torre di crècking dell'Itarzìde di Piombino. Però oggi mi tocca, e allora vi voglio raccontà tre episodi della mi' vita. Tutto vì, tre caàte che due me l'ha pure scritte ir mi' ufficio stampa e la terza l'ho presa da Qui Paperino Quack; però, se tanto mi dà tanto, quando sarò stiantato me le ripiglieranno anco li studenti 'e protestano 'ontro la Germini Minor.

La prima storia dice d'unì i puntini.

Ho abbandonato gli studi alle Benci dopo tre mesi di seònda media, però ci so' rimasto pe' artri diciotto mesi prima che ir mi' babbo adottivo mi sdraiasse da' picchi dicendomi, Dé brutto sfatiàto e vagabondo di merda, ma ci vai a lavorà 'invece di tirà caccole di du' etti l'una alla professoressa di matemàtia? E se lo sapevo, un par di 'oglioni 'e t'adottavo e ti lasciavo a quer popo' di delinquente der tu' babbo siriano! Alla fine ho smesso anche d'andà a fa l'agguati davanti a scuola; perché, vi chiederete voi forse?

Tutto è cominciato prima 'e venissi ar mondo. Quer tegamone di mi' mà, che iddio l'abbia 'n gròria, aveva pensato bene di restà pregna anco se si doveva laureà; ma budello d'eva, 'un lo sapeva che a zebà senza ir cappuccino si possono verificare degli sgradevoli effetti 'ollaterali? Poi mìa voleva sbolognàmmi a' pesciaioli di via della 'Ampana o a una 'oppia d'operai della Stanic; no, dé, lei voleva i laureati anco perché ir su' babbo l'aveva gentirmente pregata di sbarazzarsi der qui presente, vale a dire ir frutto der peccato 'ò un popo' di troiajo arabo 'e magari era sbarcato da un cargo battente bandiera liberiana e ciaveva digià otto figlioli sparsi pe' ir grobo terracqueo. Inzomma, mi regalarono a una 'oppia d'avvoàti di Navacchio 'e però volevano una femmina -probabirmente pe' fa le faccende di 'asa e pe' smerdà la nonna inferma a letto e fanni le punturine quando sarebbe stato ir momento. Ner ber mezzo della notte, i mi' genitori adottivi furono svegliati mentre la tivvù era rimasta accesa su Colpo Grosso e una voce tutta 'oncitata ni disse: “Dé, ci s'ha un maschio, però se volete 'ni si po' taglià subito ir pisellino 'osì vi si 'ontenta!” “Ma giammai!”, risposero i miei santi genitori; “Vorrà dì che ci si tiene 'vesto dono d'Iddìo cor creapòpoli!” Dopo un po', però, vennero a sapé che quella emerita zòtta di mi' mà la làura 'un l'aveva mai presa e che mi pà, come previsto, era tornato a Homs per guidare un eroico focolajo d'una rivolta contro ir tiranno Assàdde (in realtà gestiva un chiosco di fichi secchi nei pressi della locale stazione ferroviaria). S'incazzucchiarono parecchio, e decisero allora di ridàmmi a mi' mà o, in alternativa, d'andàmmi a buttà alla discària di Legoli; fu solo per le sùpprie der pàrroo, don Firmino, che in me vedeva un possibile e appetitoso culetto vergine, che li fece desistere da quegli insani scopi; però stabilirono che sare' dovuto per forza andà all'univerzità, e che 'un facessi tante storie e guardassi di studià perbenino sennò m'avrebbero prima marzagrato a pattonate ner muso e poi abbadonato in una notte buja e tempestosa sullo scoglio della Meloria.

Nonostante a scuola, come dirvi, ci capissi la metà di uno che 'un capiva una sega e che alle Benci mi davano delle pagelle 'e sembravano ir cimitero dell'Armeni, diciassett'anni dopo mi riuscì di 'scrivemmi alla prestigïosa univerzità di Rosignan By The Sea, che era 'ara anco più di 'vesta dove i vostri vecchi, pieni di vaìni da 'un sapèssene 'osa fà, v'hanno mandato a gioà a fùtbol e a 'un fa una sega dall'aurora infino al crepuscolo. Inzomma, avevo deliberato di sporpà i mi' genitori adottivi visto che la retta mensile, fra nìnnoli e nànnoli, costava quanto ir noleggio d'uno iòtte di cinquantotto metri con Guartiero Marchesi come scèffe di bordo; e già me li vedevo a annaspà nella più cupa povertà e a mangià pane e topi morti pe' ir resto della su' vita. Dopo sei mesi, non riuscivo a comprenderne il valore ma, in compenzo, mi fumavo anco ir thè Lipton che ci davano a colazzione, passavo con la massima indifferenza dalla coaìna ar borotarco Ròberz (tanto bastava sniffà quarcosa) e condivo ir Chentàchi Fraid Cicken co' una sarzina di burro d'aràidi e elleessedì. 'Un zapevo più cosa fa nella mi' vita e dell'univerzità m'importava un beato cazzo; però stavo dilapidando i vaìni che i mi' genitori avevano guadagnato copiosamente facendo dà l'ergastolo anco a quelli 'e avevano rubbato du' ceste di 'àvolo nero ar mercatino di piazza 'Avallotti. Decisi di lascià pèrde, e nonostante le minacce di fammi andà subito a fa ir sordato sull'arture del Golan o di fammi attraverzà la striscia di Gazza vestito da rabbino maggiore, tenni düro. Smisi d'andà alle lezzioni obbligatorie, preferendo invece 'velle libere e interessanti e soprattutto andà dietro alle bimbe, che all'epoca la davano via con la più leggiadra indifferenza.

Certo 'e 'unn'era tutto popo' 'osì romàntio. Mi toccava dormì ne 'orridoi se andava bene, e ir più delle vorte ner pollajo der custode; portavo indietro i vòti delle bottiglie di Spumelba o di Karamalz per raccogliere 'velle cinquanta lire di deposito 'e poi ci potevò 'omprà un Cinqueccinque ma senza ir pepe perché quella ghigna a tagliola der tortajo di Piazza 'Olonnella voleva fassi pagà anco 'vello; ogni domènia mi facevo cinque miglia a fettoni pe anda' a mangià a Sarviano da' Mormoni, 'e seondo me l'anziano Gionz era pure parecchio manfruito e se 'ni facevo toccà ir baugigi mi dava du' cipolle lesse in più e a vorte una cucchiaiata di peperonata 'olle patate collegandomi poi un cannello ar culo pe fa' ir pieno alla sua Pontiac a metano. Ma mi piaceva. Dimorte delle 'ose di 'ver periodo so' state importanti pe' dopo, e se ho inventato l'aiFòn lo devo anc'a loro.

Ir poeròmo der mi' babbo adottivo era disperato; “Figlio mio, t'avrei trovato un posticino ammodo ar Monte di Pietà come coërcitore di vecchie bavose, si tratterebbe solo di pigliàlle a puntate sur plesso solare se si vògliano fa' da' troppo pe' impegnà i denti d'oro der defunto marito...”; ci andai di malavoglia, ma non mi interessava; dieci anni dopo, però, tutto ciò mi sarebbe rimasto utile quando progettavo ir primo Mekintosc', martorizzando i dipendenti e riducendo a de' conci i bambini cinesi e pachistani 'e facevo lavorà a quarantacinque ipocentesimi di rupia all'ora. Se non avessi imparato a convincere amabilmente quelle vecchie merdose a contentàssi di 'vello 'e ni si dava ar Monte di Pietà di via Borra, i compiùter oggi non sarebbero alla portata di tutti; e poco importava, come dicevo prima, se si mandavano ar pronto soccorso sbraciolate 'e ni ci volevano da' dieci a 'trenta puntini di sutura. Per questo vi dicevo d'unì i puntini: ché anco se ora so' doventato un guru e vi fo ir discorzino 'ommovente, i Mac bisogna pure 'e quarcuno li fàbbrii a un costo ragionevole sennò cor cazzo 'e facevo i miliardi.

Ner capitalismo, cari ragazzi, funziona 'osì; poi m'è venuta l'idea di 'ondì tutto quanto 'olla filosofia, 'olle massime auree, 'olla fiducia ner futuro e con tutta un'artra serie di puttanate 'e a vorte, mentre le penzavo, mi ci sbudellavo dar rìde sur tappetino der bagno figurandomi i dementi che ci sarebbero rimasti a bocca spalancata (quella der karma è davvero meravigliosa). Inzomma, dovete credere in quarcosa, e soprattutto nelle stronzate 'e vi dìo, sennò poi l'aiPadde 'un me lo omprate più e mi ritocca tornà a mangià alla 'Iesa dell'Urtimi Santi der Settimo Giorno.

La seònda storia parla d'amore e di perdita.

Nella mi' vita ciò avuto, 'ome dìvvi, un culo 'e sembra la Valle dell'Orti. Io e Uòzze s'è fondato la Èppol ner garage de mi' genitori in via Bikonashki o come cazzo si' iama, all'Ardenza di Terra, quando s'aveva vent'anni. S'è lavorato düro, e la Èppol in dieciànni è doventata la solita murtinazzionale di merda come impone ir sogno ameriàno. Inzomma, cosa vi credete che ci sto a fa qui? E voi, poi, cosa ci credete di stà a fa, apparte gioà e disaggregarvi di seghe? Qui ci siete perché dovete doventà come me, dovete sognà di fa' i miliardi in culo a tutti. Ma sapete com'è andata? Subito dopo ave' fabbriàto ir Meckintosc', mi buttarono fòra dar cazzo. Dalla società che io stesso maisèrf avevo fondato; e bene mi stiède, come dìono a Vicchio der Mugello con un typico phænomeno di analogia linguistica. Io e Uòzze 'un ci si faceva più, c'era presa la voglia di mandà tutto 'vanto a puttane e d'aprì un negozzio di tisane a Bibbona quando, oramai sfiniti, ci fu presentato tale Romyldo Phulcery, una perzona 'e penzavamo fosse di grande talento e che ciavrebbe coädiuvati a mandà avanti tutta la baracca der Mèintosc' in mezzo a tutte le deregülèscio e le deloalizzazzioni per tramite delle quali si stava sí facendo vaìni a carrettate, ma si stava pure omettendo colpevolmente di vivere la nostra età perché 'un zi penzava artro che a quelle gigaminchie di 'ompiùte 'olla melina nelmentreché anco l'urtimo de' magazzinieri ci phregava le bimbe da sotto ir nasino, e ir Livorno dava un'irresistybile scalata alla serie A senza che ci fosse riescito una vorta 'e fosse una d'andà ar Picchi pe' vedé' un dìo la 'oppitàlia 'or Mìla, ma nemmeno un'amiévole 'or Castagneto 'Arducci. Inzomma, cor Phulcery le 'ose andarono bene ir prim'anno; poi 'ominciarono a circolà voci strane, tipo che ir sopraddetto si pipava la fidanzata di Uòzze. Io, naturalmente, smentivo (anche perché la fidanzata di Uòzze me la pipavo io); poi, però, una sera ebbi a beccare ir Phulcery mentre teneva uno stèig' d'aggiornamento 'olla mia, di fidanzata, e all'improvviso le nostre visioni sur futuro ebbero a divergere drammatiamente scatenando una rissa che fece accorrere due o tre volanti della Pulizzìa, la Pùbbria di via San Giovanni con tre ambulanze, la Protezzione Civile e la redazzione mobile di Tele Granduàto in forze. Una volta présici a meintosciate sur viso, il Conziglio d'Amministrazzione (ner frattempo riunitosi d'urgenza presso ir Bar Futuro di via Garibardi) si schierò cor Phulcery, che previamente aveva promesso a tutti un vitalizzio consistente in cappuccino e brioscia la mattina, poncino 'or sassolino ir dopopranzo e amaro Luàno la sera. Così, a trent'anni, fui a spasso e ir Phulcery si prese anco la mi' fidanzata, in maniera plateale. Ciò che aveva focalizzato la mia intera vita adulta aveva fatto, come suolsi dire, una fine di guano.


Pe' quarche mese 'un zeppi più cosa fa; passavo le giornate a fa' ir demente all'Attias 'ò pischellini di diciottanni, ogni tanto sfasciavo una Pòrsc' nova di pacca, avevo riominciato a fàmmi di roba parecchio pesa 'e mi facevo arrivà direttamente da un amìo di Islamabadd e mi disfacevo di rasponi su pippachat.org e su topeallaria.com; arrivai addirittura a penzà di levàmmi di 'ulo dalla Sìlion Vallei e di ritirammi a fa ir contadino sopra Calignaja. Ma qualcosa cominciò a farsi strada dentro me: prima di tutto la voglia di piglià ir Phulcery e passanni sopra tre o quattro vorte 'ò 'un gasolone càrio di granito der Seccheto, e poi di rimèttemi a creà quarcosa dar nulla.

Nei cinquanni 'e vennero dopo fondai una società per lo sfruttamento del lavoro minorile facendola passà pe' una fàbbria di palline da pimpònghe, poi misi su un ateliè di 'artoni animati in vernàolo pisano (che chiamai appunto “Pisar”) e, infine, m'innamorai d'un ròito più brutto d'una Mùrtipla che però era la figlia der padrone della 'Assa di Risparmio, e che sarebbe doventata la mi' moglie. La Pisar produsse ir primo firme d'animazzione interamente creato ar compiùte, Troy Story (ispirato alle gesta di Veronica Lario), che ora lavora pure 'olla Dìsni e cor Nido der Cuùlo. E lo sapete 'om'è andata a finì? La Èppol ha riomprato 'gniòsa, ivi compresa la società per lo sfruttamento minorile, io ci so' tornato, ho fatto mètte ir Phulcery in ceppi gettandolo poi in pasto a' majali in una recondita tenuta dell'Ogliastra e Èppol, che ner frattempo (sempre grazzie a quer popo' di merdone der Phulcery) s'era messa a fabbrià cose fondamentali come spremilimoni compiuterizzati e grattaschiena elettronici), è rinata e ora fa l'aiPodde, l'aiPadde, l'aiFon, l'aiMamma e l'aiOojo e peperoncino. E io e Lorena ci s'ha 'una famiglia 'nzieme 'e ti raccomando, penzate 'n po' 'e la prima parola di nostro figlio è stata “pista”.

Dé, seondo me (ma anco seondo Uòzze), forze ho fatto male a fa mangià ir Phulcery da' majali; infindeònti, se 'un m'avesse mandato via dalla Èppol ora sare' ancora a fa ir cretino all'Attias o sur Viale Italy. Però non ho perzo mai la phyducia, invero ajutato assai dar fatto che di vaìni n'avevo pür sempre fatti parecchini prima; ché, cari i miei figliuoli, è inutile 'e mi state a ascortà tutti estasiàti credendo di sentì da me chissaccòsa. Co' uno stipendio da fresatore avre' fatto pòo; facendo ir preàrio o ir disoccupato ancora meno, e se poi fossi stato una donna e mi fosse toccato d'andà a fammi crollà un palazzo addosso pe' tre euri e novantacinque centesimi all'ora, artro che phyducia e amore. Ora vi sto pe' dì che dovete cercà quello 'e vi piace, perché sennò quando moio 'un mi fanno più santo, però a me m'è andata tarmente di lusso che ora mi posso permètte' anco di fa' ir guru. Tanto lo sapete benissimo che la maggior parte di voi ha un quozziente d'ìntelligenza pari a quello d'un topinambur, e sono straonvinto 'e se un ciavèssite babbo e mamma pieni zipilli di vaìni andereste ar massimo a fa i netturbini pell'AMS passando però ir vostro tempo libero (pòo) a sfasciàvvi ir cervello 'oll'aggeggini 'e ho inventato (che, fondamentarmente, 'un servano a una sega nulla però so' tanto bellini e vi fanno comunià tutta la massa di stronzate che v'hanno messo in capo). E così, cari i miei pipparoli decerebrati, quando avrò tirato le cuoja vi potranno dire che ho cambiato ir mondo, e la 'osa bella è che ci crederete pure!

La mi' terza e urtima storia parla, manosuöglioni, della morte.

Quando avevo diciassettanni (ma quante me ne saranno successe, a diciassettanni!) ho letto sull'Intrepido una citazzione 'e diceva: Oh, dìo a te! Devi vìve' ogni giorno 'ome se fosse l'ùrtimo, 'apito?!? Mi fece davvero una grande impressione; ma tanto, fondamentarmente, m'importava una bella sega perché tanto ero giovane e penzavo a fumà anco l'origano che la mi' mamma 'omprava per mètte sulla pizza. Poi, andando avanti 'olla Èppol e co' tutte 'vell'artre 'ose, a un certo punto mi so' detto: “Boia dé, Stiv, se nella biografia ufficiale ci fai mètte 'sta 'osa, minimo minimo doventi un metrappanzè!”; e così è stato, perché, tanto, ir problema 'un zi poneva nemmeno. Finché un giorno.

Finché un giorno, appunto, o 'un mi so' venuti a dì che m'ero beccato un cànchero di merda e che dovevo salutà parecchio presto. In quel momento, sappiatelo, ho raccolto tutti i miei pensieri; ho considerato lungamente tütta la mia vita; ho invocato tutta la mia spyritualità, i viaggi in India, l'erbette bòne, le massime filosàfie e tutto 'vanto; mi so' riletto tutti i libri di Tizziano Terzani e, dopo tutto ciò, sono prorotto in una scària di mòccoli, di cristi, di bestemmie, di imprecazzioni e di ingiurie sanguïnose ar Padreterno che l'hanno sentite anco dall'isola di Capraja. Ma come, porcopadrepio, ciavrò sì e no cinquant'anni, affogo ne' vaìni, ciò una moglie stratàupa, una famiglia stüpenda, invento l'aiFon, fo comunià tutti, so' idolatrato anco dall'ùrtimo de' Moicani e mi tocca di tirà ir carzino? Ma 'unn'è giusto! A quer popo'di troiajo di Berlusconi, che seondo me 'un zaprebbe manco accènde un Commodore 64, 'ni va tutto bene e si zeba le bimbette di vindicianni, e a me, Stiv Giobbs, mi tocca fa ciao ciao 'olla manina? Ma vaffanguru!

Una vorta realizzata la 'osa, però, mi so' detto: “Caro Stiv, d'accordo, però intanto penza se eri uno stronzo di homeless o comunque uno 'e un zi po' pagà le 'ure e le medicine. Vada 'ome vada, però te di sordi ce n'hai a vagonate e quarche speranziella in più di sfangàlla ce l'hai anco se i dottori t'hanno detto papale d'un facci troppo la bocca. Ner frattempo, guarda un po' se c'è modo di sfruttà la 'osa ammodino e di fabbriàtti anco un ber po' di mito, ortre 'e l'aggeggini bellini e urtrapiatti, Poi si starà a vedé', magari mi fo pure una giratina a Megiugòrie e invento l'aiMadonna.

Sia ben chiaro: nessuno vole proprio morì, e io meno di tutti. A un certo punto mi toccherà come a tutti, ma vi devo dì, care le mi' testine di 'azzo, che quando succederà so' ragionevolmente certo che faranno meno puzzo pe' la morte d'un papa o d'un re (dé, penzate poi ar papa 'e ci s'ha ora, o se more Arberto di Mònao). Giusto giusto Lèdi Daiana, ma gliel'avevo detto ar su' autista d'un gioerellà coll'aiSonasega mentre guidava. Cionostante, mi garberebbe d'èsse sincero 'on voi anco se 'un ve lo meritate e siete solo una massa d'elettroencefalogrammi piatti: m'ero preparato tutta una serie di belle frasi, di 'velle da fàvvi piànge di più che cor finale di Taitènic, però quello che ciò dentro è costantemente una voglia di bestemmià Diocristo che se mi sente l'Artissimo fa scavà una malabolgia apposta per me in uno scantinato dell'Antenora.

Quello che vi posso dì, inzomma, lo avrete capito anco voi, nonostante siate fondamentalmente dei parameci. Io devo morì, ma voi continuate a compràmmi i Mecche e l'aiPàddi, e 'un v'azzardate a dà vaìni a quer popo' di stronzolo di Bilghèiz o a scariàvvi la mùsia aggratisse invece di dammi novantanove centesimi a canzoncina. Poi portatemi in trionfo, ascortate i servizzi televisivi sur mi' funerale 'olla musiina 'che Eric Clapton scrisse quando la su' donna si fece cascà ir figliolo dar cinquantatreësimo piano, branditemi ir testamento alle manifestazzioni 'ontro la Germini e fate quer che vi pare, che tanto a me 'un me ne fregherà più nulla. Ma sappiate che risorgerò. Tutto è già pronto per il lancio dell'aiResurrection, l'ultima frontiera della comuniazzione; e, statene pur certi, il giorno della presentazzione io ci sarò.

Siate transustanziati! Siate polli!