martedì 20 settembre 2011

Terremoti giapponesi


Itō Noe era nata il 21 gennaio 1895 a Imajuku, sull'isola di Fukuoka. La aspettava, come tutte le giapponesi, una vita di obbedienza assoluta ad ogni tipo di autorità in una società rigidamente gerarchica, codificata, ritualizzata. Giapponesi come geishe, come complemento portafigli, come prigioniere, come escluse; Itō è una deviazione.

Dotata di temperamento artistico, si iscrive alla scuola femminile di Ueno, a Tokyo; non le sarebbe del resto stato possibile fare altrimenti, in un'epoca in cui non esistono classi miste (né in Giappone, e né altrove). A 15 anni, mentre è ancora a scuola, sposa un tale Fukutaro, di vent'anni più vecchio di lei; costui si impegna a sostenere la sua formazione artistica e culturale, ma non è minimamente in grado di tenere fede a quanto sottoscritto. Del resto, Itō non era minimamente innamorata di lui; lo aveva sposato con la speranza di emigrare negli Stati Uniti. In seguito, confiderà alla sorella che, una volta arrivati in America, lo avrebbe immediatamente lasciato. Poco dopo il matrimonio, Itō stringe una grande amicizia con il suo insegnante di inglese, Jun Tsuji.

Jun Tsuji è a sua volta uno che ha preso un'altra strada, e assolutamente impervia. E' un anarchico dichiarato, e il primo traduttore in giapponese dell'Unico e la sua proprietà di Makusu Sutiruneru, vale a dire Max Stirner. Una sedicenne giapponese che si avvicina all'anarchismo è qualcosa di assolutamente impensabile nel Giappone dei primi anni del '900; l'amicizia con Jun Tsuji si trasforma in amore e impegno politico. Diplomatasi a 17 anni, Itō Noe entra nella Seitō-sha, una scuola artistica semiuniversitaria femminile; quasi immediatamente inizia a collaborare con la rivista di blanda avanguardia pubblicata dalla scuola, e che reca lo stesso nome.

A 18 anni e mezzo lascia il marito, che non è più nemmeno in grado di sostenerla economicamente; sei mesi dopo sposa Jun Tsuji, dal quale ha due figli. A vent'anni è già redattrice capo della rivista, alla quale imprime subito una svolta radicale. Da blanda rivista artistica femminile, seppure "tenuta d'occhio" e invisa alle autorità, Seitō diviene una pubblicazione di critica sociale radicale e femminista. Uno dei primi atti, è la traduzione e la pubblicazione di The Tragedy of Woman's Emancipation di Emma Goldman; nel frattempo, Itō ha conosciuto uno dei principali anarchici giapponesi, Osugi Sakae, che la aiuta nella traduzione e nella pubblicazione. Osugi è, a sua volta, il redattore capo della rivista libertaria Heimin Shinbun ("Giornale dell'uomo del popolo"), in sostituzione del suo fondatore, Sanshiro Ishikawa. Lo sostituisce perché Sanshiro si trova in carcere, fin dal 1908, per atti sovversivi e incitamento alla rivolta sociale. Nel 1916 la rivista viene chiusa d'autorità, e Itō Noe ne prende le difese dalle pagine di Seitō.


Osugi Sakae.

Traducendo insieme Emma Goldman, Itō Noe e Osugi Sakae (che hanno rispettivamente, all'epoca, 21 e 30 anni) instaurano un rapporto basato sul libero amore, che trova coerentemente d'accordo anche Jun Tsuji. Nel Giappone tradizionale e conservatore, quello che piace tanto ai fascisti di casa nostra, la cosa provoca un autentico terremoto; lo scandalo si accresce ancora quando Osugi viene ferito a coltellate in una casa del thè dalla sua prima amante, Masaoka Itsuko, a sua volta militante femminista. Osugi era peraltro sposato; ma sua moglie, Hori Yasuko, era amica di Itō Noe.

Come è prevedibile attendersi, se lo scandalo non risparmia nessuno dei protagonisti, un accanimento ancor maggiore viene riservato a Itō Noe, per l'elementare fatto che si tratta di una donna. Invece delle cazzate sulla preparazione del thè, costei si dedica alla fondazione e alla crescita del movimento femminista anarchico giapponese; nel 1921 fonda un gruppo di donne socialiste a Sekirankai, e continua a tradurre le opere di Emima Goruduman e di Kuropotikin (Kropotkin). Il movimento anarchico giapponese assume ad un certo punto dimensioni tali da preoccupare seriamente le autorità; e quando le autorità sono preoccupate, la cosa fa rima con liquidazione.

Il 1° settembre 1923, Tokyo viene rasa al suolo da un terremoto che provoca oltre 100.000 morti; una delle primissime preoccupazioni del governo e delle forze armate giapponesi è quella di dichiarare ai superstiti che gli anarchici ne avrebbero approfittato per prendere il potere e rovesciare l'Imperatore. Nelle ore immediatamente successive al disastroso sisma, squadre della polizia militare vengono inviate non a prestare soccorso, ma a dare la caccia ai pericolosi sovversivi; una di esse raggiunge Itō Noe e Osugi Sakae.

La squadra è guidata dal tenente Masahiko Amakasu, che arresta Itō, Osugi e il nipotino di costui, un bambino di soli sei anni. Il 16 settembre, tutti e tre sono ammazzati di botte; i cadaveri vengono gettati in un pozzo, dove vengono ritrovati il giorno dopo. Succede qualcosa di difficilmente immaginabile fino a poco prima: pur nel caos del dopo terremoto, il Giappone intero insorge per l'assassinio dei due anarchici e di un bambino. Le autorità, prese alla sprovvista, sono costrette ad arrestare il tenente Amakasu, che viene condannato a dieci anni di carcere da scontare nel penitenziario di Chiba. Dopo soli due anni, però, Amakasu viene liberato, beneficiando dell'amnistia generale in occasione dell'ascesa al trono dell'imperatore Hiro Hito.


La prima pagina del quotidiano "Mainichi Shinbun" del 17 settembre 1923, interamente dedicata all'assassinio degli anarchici e del bambino.

Masahiko Amakasu.

Il fatto viene definito, naturalmente, un incidente. Così, infatti, è passato alla storia: l'Incidente di Amakasu. Per fare fronte all'indignazione popolare, le autorità militari giapponesi ricorsero ad espedienti che è facile immaginare: mele marce, episodio isolato, tragica fatalità; vorrei dedicare tutto questo a chi si diletta, ancora oggi, a cianciare ammirato di Giappone tradizionale, di "codici d'onore", di Bushido e di Yukyo Mishima.

La storia sarebbe finita qui; ci sono però da dire due o tre altre piccole cose.

Il tenente Amakasu, una volta liberato, fu alla chetichella mandato in Francia a studiare; nel 1931 lo ritroviamo, con la sua bella faccina di merda da dalai lama, a Mukden, in Manciuria. Non è un posto a caso: proprio con un altro incidente (l'incidente di Mukden, appunto), il Giappone ne ha approfittato per invadere la Cina e per instaurare lo stato-fantoccio del Manchukuo. Direttamente alle dipendenze del locale capo dello spionaggio giapponese, Kenji Doihara, Amakasu si occupa della produzione e dello spaccio di oppio e del contrabbando di ogni sorta di generi nel resto della Cina. Ad un certo punto prende ad occuparsi di altre due cose solo apparentemente molto diverse l'una dall'altra: organizza la polizia nella nuova capitale del Manchukuo, Hsinking, e diviene il capo della Manchukuo Film, potentissimo strumento di propaganda.

Non è un caso se la figura di Masahiko Amakasu, il liquidatore extragiudiziale degli anarchici giapponesi, si ritrova quindi in un celebre film: sto parlando, naturalmente, de L'ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci, dove è interpretato dall'attore Ryuichi Sakamoto. Lo stesso Amakasu, del resto, ebbe un ruolo decisivo nel mettere sul trono del Manchukuo l'ultimo imperatore della dinastia Qing, Aisin Gioro Pu Yi. Il 20 agosto 1945 Masahiko Amakasu si suicidò; nel film di Bertolucci si spara un colpo alla testa, mentre in realtà ingerì del cianuro di potassio.

Nel 1969, la vicenda di Itō Noe e Osugi Sakae era stata trasposta in un film che è considerato uno dei primi capolavori della New Wave nipponica. Diretto da Yoshishige Yoshida, si intitola Erosu purasu gyakusatsu, ovvero "Eros e massacro". Nel film, considerato all'epoca una sorta di terremoto in Giappone, due studenti svolgono una ricerca storica sui fatti, riflettendo soprattutto sulle tematiche del libertarismo e del libero amore. Ad un certo punto, i personaggi del passato e del presente si mischiano impegnandosi in quelle tematiche; Itō Noe ritorna, e assieme a lei una storia che ci presente un Giappone lontanissimo dai samurai e dai luoghi comuni.


sabato 17 settembre 2011

Z


Atene, ieri.

Nei titoli di coda del film Z, l'orgia del potere di Costa-Gavras, si elencano tutte le cose che furono proibite dalla giunta dei colonnelli dopo il colpo di stato del 21 aprile 1967; tra di esse, la lettera Z. In greco si può leggere come zei, "vive".

L'uomo che sta dandosi fuoco e l'agente d'astinomia che reca una coperta bianca e la lettera Z.

L'uomo si dà fuoco perché una banca gli ha appena rifiutato la rinegoziazione di un mutuo per la casa.

In Grecia stanno studiando nuove misure.

Sarebbe dovuta bruciare la banca.

La lettera Z non vive più. Non stiamo vivendo più. Stiamo affogando. E bruciando.

Affogando.
Bruciando.
Orlo.
Lettere.
G
C.

venerdì 16 settembre 2011

Soffiano ancora quei venti



Ancora voglion macchiare
la mia terra di sangue operaio
quelli che parlan di libertà
ed hanno le mani nere.
Quelli che voglion dividere
la madre dai propri figli
e voglion ricostruire
la croce portata da Cristo.

Voglion nascondere l'infamia
che hanno addosso da secoli,
però il colore di assassini
non lo cancelleranno dalla faccia.
E già son stati a migliaia
quelli che hanno dato il sangue
e in torrenti impetuosi
hanno moltiplicato i pani.

Adesso voglio vivere
insieme a mio figlio e mio fratello
la primavera che tutti
costruiamo giorno per giorno.
Non mi spaventano le minacce,
padroni della miseria:
la stella della speranza
continuerà ad esser nostra.

I venti del popolo mi chiamano,
i venti del popolo mi spingono,
mi strappano il cuore a pezzi,
si avventano alla mia gola.
Così canterà il poeta
quando la morte mi porterà
per i sentieri del popolo
da adesso, e per sempre.



Pale Blue Dot



« Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L'insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni "superstar", ogni "comandante supremo", ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica.

Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare i signori momentanei di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l'illusione che abbiamo una qualche posizione privilegiata nell'Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c'è nessuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.

La Terra è l'unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c'è nessun altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora. Che vi piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l'astronomia è un'esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l'uno dell'altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l'unica casa che abbiamo mai conosciuto. » - Carl Sagan.

La cosiddetta "Pale Blue Dot" è una fotografia scattata nel 1990 dalla sonda Voyager, che era stata lanciata nel 1977. Ritrae la Terra da una distanza di oltre 6 miliardi di chilometri, quando già era uscita dal Sistema Solare. Era stato lo stesso Sagan a proporre di far girare la telecamera della sonda in modo da prendere una foto del nostro pianeta dagli estremi confini del sistema cui appartiene. Oggi, proprio oggi, c'è tutto su Wikipedia, in prima pagina.


giovedì 15 settembre 2011

Began...


...sarà un noto e fascinoso fotomodello israeliano...?
Nella foto: Raz Began in un'espressione che non ricorda Rocco Buttiglione


...oppure il passato del verbo inglese begin (begin, began, begun)...?
Nella foto: un simpatico modo per imparare l'inglisc'


...oppure un regime alimentare strettamente vegetariano...?
Nella foto: una piattata began (i salsicciotti sono di seitan, ndr)


...oppure l'ennesima Escort?
(Chi mi porti stasera...?)

mercoledì 14 settembre 2011

Quell'estate a Firenze era caldo


Quell'estate a Firenze era caldo,
ma che caldo, che caldo faceva.

Defraudati di un'estate intera,
sbarre e case come galere.

Quarantadue gradi regolati da permessi,
i letti sudati, un bambino che nasce.

I teoremi, le intimidazioni,
le fantasie as-so-cia-ti-ve.

Comincia l'estate: dentro.
Finisce l'estate: liberi.

Ma liberi, lo sappiano tutti,
sono sempre stati;

E lo saranno sempre,
perché la libertà non conosce sbarre.

Lorenzo, Mirko, David
e tutti gli altri.

S'impone il vecchio detto latino:
estote parati.

Altri potranno essere
privati di una stagione

e tutto questo ha un prezzo.
La gioia di oggi non deve ingannare.

Potrà essere ancora dolore
e ancora assenza.

Ma è un'assenza che non piega
e che si rende, ora più che mai,
presenza
lotta
allegria
vita.

Quell'estate a Firenze era caldo,
e l'autunno lo erediterà tutto.

martedì 13 settembre 2011

Che sia meglio Voyager?


Sicuramente, il sottoscritto ha dei tempi di reazione piuttosto lenti; del resto, sono ferocemente contrario all'instant blogging nonostante mi capiti non di rado di commentare qualche fatto appena avvenuto, o da poco. Qui, invece, mi riferisco ad un articolo che il famoso matematico-superstar Piergiorgio Odifreddi ha pubblicato sul suo blog (intitolato Il non-senso della vita) addirittura il 28 giugno scorso, vale a dire quasi 3 mesi fa.

Il blog di Odifreddi, è bene specificarlo, non è come questo qui o come i blogghini e blogghetti che tutti noi teniamo su piattaforme gratuite; si tratta di uno dei blog d'autore "ospitati" da Repubblica. Fare un confronto, che so io, tra l'Asocial Network e il blog di Odifreddi somiglia ad un avvincente match tra il Lanciotto Campi Bisenzio e il Barcellona. Scorrendo il blog odifreddo ho scorto post con 847 commenti; e gli è roba. Ma andiamo in medias res.

Il post odifreddo cui mi riferisco si intitola Le carte in Tav-ola e mi ha dato parecchio da pensare. Naturalmente, invito tutti quanti a leggerlo bene (anche se sicuramente non sarete 847), e a porsi qualche domanda. Quella principale che mi sono posto io è la seguente: Odifreddi è una persona in buonafede? Fino a qualche tempo fa non avrei avuto dubbi nel rispondere di sí; dopo aver letto quell'articolo, invece, qualche ragionevole anfibolia m'è sopraggiunta (no, tranquilli, l'anfibolia non è un brutto accidente simile all'embolia).

Conoscevo Odifreddi, anche per aver comprato e letto alcuni suoi libri, come una persona attendibile che esprimeva pensieri in larga parte condivisibili, e tali proprio perché espressi in autonomia e ben documentati. Spesso e volentieri addirittura scomodi; questo mi faceva passare spesso sopra il suo tono a volte supponente, per non dire addirittura arrogante. Supponenza e arroganza sono sopportabili quando non si ha di fronte un palese imbecille (tipo Brunetta, tanto per fare un esempio a caso); ma, certamente, tale qualifica non mi ero mai sognato di appiccicarla a Piergiorgio Odifreddi. Fino a quel fatidico 28 giugno, quando mi sono trovato di fronte a cose che non avrei mai immaginato. Asservimento. Banalità. Stronzate da bar. Insulti gratuiti.

Non certamente perché uno sia o meno favorevole alla TAV in val di Susa e altrove (vivendo a Firenze, fra l'altro, tra poco mi ritroverò gli scavi sotto il deretano); ma perché gli argomenti addotti da Odifreddi alla sua sparata contro i No-TAV sono un'offesa autentica a quella razionalità che il medesimo ostenta quotidianamente. Una sistematica adesione, tanto per essere chiari, alle posizioni del Partito Democratico; ma un'adesione in cui vengono declinate tutte le più basse piattitudini che si possano immaginare. Una cosa del genere, mi sono detto, sarebbe stata plausibile in un Fassino; ma, evidentemente, quando i boss ordinano, i picciotti debbono obbedire anche se si chiamano Odifreddi Piergiorgio. Mi è all'improvviso risultata chiara una cosa: l'anticlericalismo, l'antiberlusconismo, il razionalismo e quant'altro non spostano nessun miliardo e non attengono a nessun grande affare. Quando, invece, il grande affare c'è -e sulla pelle della gente-, addio "scomodità", addio "coraggio" e tutto quanto. Ci si infassinisce all'istante. Ma sarà bene andare un po' nel dettaglio.

Odifreddi, servendosi nientepopodimeno che di Hermann Hesse e del suo Steppenwolf, dichiara dapprima il suo schieramento contro le automobili. Il suo punto di partenza è un'autentica chicca di superficialità, e di malafede acrobatica:

"Non ho problemi ad ammettere che, in un’ipotetica battaglia luddista contro le automobili, io starei dalla parte del Lupo della steppa. Ma nella reale battaglia luddista contro i treni ad alta velocità, sto contro i No-Tav. Perchè auto e treni non sono affatto la stessa cosa, essendo le prime mezzi di trasporto individuali, e i secondi mezzi di trasporto collettivi. E mentre io sono contro gli Agnelli, gli Elkann e i Marchionne, sto dalla parte delle Ferrovie dello Stato. O, se si preferisce, mentre sono contrario alle speculazioni private, sono a favore dei servizi pubblici."

Una battaglia "luddista"? Chi si oppone alla TAV intenderebbe dunque distruggere i treni? Orde assatanate che vogliono svellere rotaie, bruciare vagoni e minare le gallerie? A parte questo, qualcuno dovrebbe far presente a Odifreddi che, casomai, la distruzione della rete ferroviaria italiana è dovuta principalmente alle stesse Ferrovie dello Stato (ammesso e non concesso che restino dello Stato, e che non vengano privatizzate -cosa che comunque è avvenuta già in discreta parte per quel che riguarda i servizi, le stazioni, la gestione). I "mezzi di trasporto collettivi" stanno diventando un lusso: i treni minori, gli intercity e gli interregionali, vengono progressivamente eliminati. Chissà se Odifreddi è mai andato a chiedere a Agnelli, Elkann e Marchionne, contro cui è tanto "contro", se costoro sono favorevoli o contrari alla TAV. La TAV Torino-Lione non è un "servizio pubblico", ma una speculazione privata in cui i più grossi potentati sono impegnati a capofitto. La collettività si vede giorno dopo giorno privare del treno come mezzo di trasporto sociale; ma, forse, Odifreddi non conosce l'AD delle Ferrovie, Moretti, quello che l'altro giorno è stato cacciato via a pedate dalla festa del PD a Genova. Si sarà chiesto come mai lo è stato? E i parenti delle vittime di Viareggio, saranno anche loro dei luddisti? Prosegue Odifreddi, in un crescendo rossiniano:

"Che i No-Tav siano oggettivamente dalla parte dei conservatori e dei leghisti, che non vedono al di là del proprio naso e delle proprie tasche quando si tratta di difendere i propri piccoli interessi contro quelli della comunità, l’hanno dimostrato alle elezioni regionali del 2010 in Piemonte. Invece di votare per la Bresso, hanno sprecato il cinque per cento dei voti nella lista qualunquista di Grillo, permettendo a Cota di vincere con un uno per cento di vantaggio."

Qui si comincia a vedere davvero l'intento di Odifreddi. Anzi, direi che è già chiarissimo. La delegittimazione speciosa di chi si oppone alla TAV a base di "conservatorismo" e "leghismo", in perfetto stile piddì. Ha già deciso, motu proprio, che i valsusini sono da bollare come "conservatori" e "leghisti" perché non hanno votato per quel bell'elemento di Mercedes Bresso (la quale, naturalmente, è favorevolissima alla TAV; ci mancherebbe). Ha deciso che i voti non dati all'ineffabile Bresso sono sprecati, specialmente se dati a Grillo. Insomma, c'è da domandarsi seriamente se questa parte della sua articolessa non l'abbia data a scrivere direttamente a Piero Fassino o ad altri personaggini del genere, quelli che organizzano le festicciole invitando i Moretti (e non è quello della birra). A proposito: mi risulta che anche il tanto vituperato Cota, il leghista, è un ferreo sostenitore della TAV; si potrebbe quindi, razionalmente, dare del "leghista" anche a Odifreddi. Fa i calcoletti "elettorali", l'Odifreddi, non accorgendosi minimamente delle contraddizioni terrificanti delle sue affermazioni; ha svolto il temino così come vuolsi colà dove si puote.

"Manifestare contro lo sviluppo tecnologico collettivo dei treni, significa schierarsi oggettivamente a favore dello sviluppo tecnologico individuale delle auto e dei camion. E’ una scelta oscurantista, perfettamente in linea con la politica che il cartello delle grandi fabbriche automobilistiche europee ha imposto ai governi nei decenni passati: mentre la Svizzera ha gradualmente dirottato tutto il trasporto delle merci sulle rotaie, bonificando le strade e le autostrade dai Tir, noi abbiamo potenziato ilsistema stradale e autostradale, infestandolo di traffico."

Poteva mancare l' "oscurantismo" nelle argomentazioni dell'illuminato Odifreddi? Impossibile. La delegittimazione degli oppositori della TAV lo impone: leghisti, conservatori, oscurantisti. Un tempo si diceva: nemici del progresso. Naturalmente, per Odifreddi, la costruzione della TAV eliminerà del tutto le tante odiate automobili e gli ancor più odiati camion. Una volta ultimata l'opera, le autostrade si svuoteranno magicamente; addirittura accusa i No-TAV di schierarsi con le grandi fabbriche automobilistiche europee. A questo punto, avrebbe potuto dire direttamente che sono pagati di Marchionne, ma forse s'è ricordato che il sor Pulloverino è un "fan" a tutto tondo della TAV. E qui si sfiora la comicità, ricordando magari che anche le autostrade svizzere sono infestate di TIR e di automobili. Viene da pensare che l'Odifreddi non si sia mai fatto in macchina da Chiasso a Berna, e non si sia mai beccato una coda di quindici chilometri al San Gottardo. Quando stavo in Svizzera, ho visto code di TIR di tutta Europa; e non parlo di trent'anni fa.

Pur non essendo certamente un campione in questo genere di cose, un ragionamento logico elementare come questo s'impone e mi riesce. Dunque: Odifreddi è contro Marchionne e contro Cota, ed è favorevole alla TAV. Marchionne e Cota sono pure favorevoli alla TAV; quindi Odifreddi sostiene in realtà le ragioni di coloro dei quali dichiara di essere "contro". Facendo un parallelo: io dichiaro di essere contro i fagiolini lessi e contro i gobbi schifosi della Juventus, però poi scrivo un bell'articolo dove racconto di quando mi sono mangiato un chilo di fagiolini lessi guardando la partita della Juve e facendo per essa un tifo sfegatato. Spiegando magari che tifare contro la Juve è "oscurantista". Ma conclude possente Odifreddi:

"Dietro alla battaglia pro o contro la Tav, sta in fondo questo interrogativo: vogliamo continuare ad aumentare il degrado delle città, del territorio e della vita quotidiana prodotto dalle auto e dai camion, o preferiamo investire su autobus e treni per invertire la tendenza e sperare in uno sviluppo meno disumano? Se lo ricordino i No-Tav, che invece di provare a bloccare le rotaie potrebbero più utilmente provare a bloccare i caselli autostradali, a partire da quelli che portano nella Val di Susa."

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Qui non so letteralmente che cosa dire, a parte che mi sono cascate le palle. E credo che sarà una reazione comune a molti di voi, ovviamente specificando che alle signore cascheranno le ovaie. Riassumiamo: per combattere il degrado delle città e del territorio, bisogna costruire TAV a tutto spiano. Non solo, bisogna investire su autobus e treni, tutti belli privatizzati, con 109 euro per andare da Milano a Roma e i prezzi dei biglietti urbani a cifre immonde. Tutto questo, per Odifreddi, sarebbe uno "sviluppo meno disumano"; me lo vedo quasi davanti a un cantiere TAV, inginocchiato, a esclamare: "Ma quant'è umana, lei!". Magari in compagnia di Marchionne, sicuramente interessatissimo allo sviluppo più umano; o di Cota e della Bresso che si fanno una tavvàta d'amore. Insomma, da una parte gli odi freddi, e dall'altra gli amori caldi.

Ho volutamente tralasciato, finora, un piccolo particolare. Ma, del resto, sarebbe del tutto inutile ricordare a un Odifreddi che i No-TAV sono i portatori dell'unica vera rivolta sociale di una popolazione intera che sia avvenuta in tempi recenti in questo paese. Può essere che a Odifreddi la cosa non interessi minimamente; e, infatti, nel suo illuminato articolo non fa menzione delle cariche della polizia, dei lacrimogeni, degli arresti, delle manganellate. Chissà, forse per Odifreddi gli agenti difendono il progresso e la scienza contro l'oscurantismo di quei valligiani rozzi, ignoranti, leghisti e conservatori. Gli sfugge, all'Odifreddi, che nell'opposizione alla costruzione della TAV ci sono tante di quelle cose che vanno ben oltre il treno e tutte le boiate finto-"progressiste" che obbediscono perfettamente al manualetto del PD. Gli sfugge che il "progresso" delle TAV e di quant'altro è soltanto un'espressione di un capitalismo sfrenato che riesce a mettere d'accordo, come si è ben visto, la Bresso e Marchionne, Cota e Fassino, e tutti quelli che non si sono peritati a far scendere i campo, per propaganda e delegittimazione, persino gli Odifreddi (il quale s'è prestato benissimo) e i Michele Serra (altro bell'elemento che, recentemente, e pressoché con le stesse argomentazioni, ha tuonato contro i No-TAV).

Non mi togliete Voyager, per favore. Da quando esiste, mi provoca regolarmente un'ora e mezzo di buonumore: frittata di cipolle, Peroni gelata e via fra Rennes-le-Chateau, i Templari, l'ultima Thule, le congiunzioni archeologico-astro-misteriche fra Tenochtitlán, i templi di Angkor-Vat, l'Erebus sull'Antartide, la Skeleton Coast e il deposito comunale di Sant'Angelo a Lecore. Però, dopo aver letto l'articolo di Odifreddi, mi sono chiesto se non sia quasi meglio dello scienziato tuttologo che sta cominciando a fare precisamente come la Chiesa Cattolica che tanto aborre: come questa, oramai, parla di tutto fuorché di Gesù Cristo, Odifreddi parla di tutto fuorché di matematica. Sarebbe decisamente meglio, dopo questa performance da cialtrone obbediente, che parlasse per un anno nel suo blog di integrali e derivate. Me lo rjcordo, Odifreddi, quando qualche anno fa animava in qualche amena località le Vacances de l'Esprit; è bastata una TAV per mandare son esprit en vacance. Per fortuna che ci sono matematici (magari, chissà, anche più bravi di lui) che la pensano diversamente.

Le cose che contano


In questo paese siamo davvero impareggiabili nell'individuare le cose che contano davvero; quindi, per favore, che la si smetta una buona volta di parlare di crisi, di manovre affamatrici, di contributi di solidarietà e persino (come è avvenuto non più tardi di ieri) di ulteriori sacrifici che l' "Unione Europea" ci richiederebbe a breve. Chiedersi quanti di codesti sacrifici potrebbero essere non dico evitati, ma perlomeno mitigati se non dovessimo far fronte alle eroiche missioni di pace costantemente rifinanziate, oramai è del tutto fuori moda. Indifferente. Sospetto che qualcuno oramai pensi che le truppe italiane sono lì a fare la guerra (sapete, quella cosa ripudiata con il famoso articolo 11 della Costiquelcheccostituzione) perlomeno dal 1948; ogni tanto torna la baretta tricolore, arriva Napolitano, la prima cosa che fanno i giornalisti è scrutare sui profili Facebook del caduto, le giovani mogli costantemente incinte, i figlioletti ai funerali col basco della Folgore e a nessuno, ma dico proprio a nessuno, non gliene frega più niente. Bisognerebbe, invece, fregarsene parecchio. Ci stanno levando tutto, non so se qualcuno se n'è accorto. Ad esempio, ve li ricordate i trasporti pubblici? Ve li ricordate i salari? I treni? Vi ricordate di tutto questo, e sapete perché ora non c'è più? Vi ricordate quando al figlio o allo zingaro si diceva, ma vai a lavorare! Dove andrebbe, ora, a lavorare? Bene, in compenso decine e decine di milioni di euro debbono andare a sostenere la guerra al terrorismo. Quella delle commemorazioni degli undicisettembri. Guai a toccare l'esportazione della democrazia, anche se come spedizionieri funzionano meglio quelli al valico di Fernetti; non mi risulta, ad esempio, che abbiano mai esportato un fulgido democratico come Karzai.

Ma si diceva delle cose che contano davvero. Ce le ricorda, ancora una volta, l'impavido guerriero che risponde al nome di Ignazio La Russa. Come dubitarne? L'onore d'Italia è nelle sue mani, e lui lo difende con i mezzi che più sono consoni alla gravità del momento. Forse per un tacito accordo, ai caduti ci pensa Napolitano; lui, invece, si occupa delle cose che più premono agl'italiani. Tra le quali, la proposta juventina di escludere l'Inter dalla Champions' League. Mi immagino quanta virile e ferma commozione nell'accogliere la cassa da morto d'un caduto in Afghanistan rivestita finalmente con la bandiera interista, mentre la giovane moglie incinta sventola un'immagine di Moratti e al figlioletto hanno ficcato in testa il basco degli Ultras Nerazzurri o come cazzo si chiameranno. Con quale fervore il ministro La Russa si scaglia contro il giovane Agnelli, dandogli del bugiardo e propabilmente figurandoselo come un nemico della democrazia e fors'anche come uno dei dodicimila luogotenenti di Osama bin Laden. C'è da capirlo: il 29 ottobre si avvicina. Sarà una data decisiva per l'Italia in questo suo terribile frangente economico, politico e sociale: il giorno di Juventus-Inter. Il cuore del paese trepiderà. Verrà finalmente revocato lo scudetto all'Inter e riassegnato alla Juventus? Non oso immaginare se, proprio quel giorno, un mercenario italiano cadesse dalle parti di Herat, magari mentre La Russa è allo stadio. Telefonata: "Oh ministro, ci abbiamo un caduto in Af...." "Sì...Af...affanculo a lui, e non poteva aspettare domani? Chiama Napolitano, ché tanto il Napoli ci ha il posticipo!"

lunedì 12 settembre 2011

Buona fumatina


Da dove si comincia? Ma sí, vai, dalla macchina. Come devo aver già detto in questo faro della bloggosfera, io non ho un'automobile di mia proprietà; giro su una macchina di servizio gentilmente concessami, ma la cosa non deve ingannare. Uno, magari, s'immaginerebbe un'auto blé o chissà cosa, e invece si tratta di una Fiesta scassata nelle barbe e, come dire, piuttosto pittoresca:


Reca sí la dicitura servizi sociali, ma più che altro sembrerebbe la macchina di qualcuno che ci è stato affidato, ai servizi sociali. L'unica vettura del genere a Firenze, credo, che viaggia con l'adesivo del tutti liberi così tanto per ricordare che ci sono dei compagni e degli amici ingabbiati da qualche fantasioso eroe (= magistrato), e in più anche con lo sticker della farfallina e il bollino del traghetto per l'Elba. Dev'essere, credo, del '91 o '92 ma non oso guardare il libretto di circolazione; ha fatto quasi 286.000 chilometri.


Sorvolando sulle botte, fitte, graffi e ammaccature che ha sulle fiancate, bisogna nominare anche il paraurti anteriore patriottico: non so come, ma a un certo punto mi ci son ritrovato una strisciata bianca, rossa e verde (ma probabilmente si tratta di un accumulo casuale). Spero solo che un giorno non ci debba portare Napolitano allo sbavatoio pubblico; sul davanti, invece, da notare il cofano rincalcato sulla sinistra, dovuto a un tamponamento all'angolo fra via del Ronco Corto e il viale Nenni una mattina che tornavo a casa dormiente o quasi.

L'interno si caratterizza invece per un'oggettistica del tutto particolare; accendini vuoti, una pallina sgonfia coi colori dell'Inter (non sono interista, ma l'ho trovata per strada e per me le palline sgonfie hanno un'anima), un cestino finto messicano sempre trovato per strada e dove tengo gli spiccioli da dare agli incroci, fogliacci, un pacchetto di fazzoletti di carta che a vederlo uno si figurerebbe che ci fosse scritto "Dvx Impero" da quant'è vecchio, due stradari bisunti, pacchetti vuoti di Diana blé e quant'altro. Insomma, un quintale di ciarpame. Il sedile posteriore è smerdato da quando raccolsi il povero Néstor Lunar, e quelle sue molecole non mi riesce proprio di levarle; la tappezzeria è distrutta, e sull'impiantito ci si potrebbe metter su una coltivazione di champignons. Queste le premesse.

In questi giorni, ci tenevo pure una scatola di sigari Parodi ammezzati. Il sigaro lo comprerò due volte l'anno, e uno si potrebbe domandare anche perché, desiderando dei toscani, me ne sia andato a comprare una scatola di quelli prodotti (credo) in Canada. Finti come l'oro di Bologna; ma sono fatto a questo modo. Prima di tutto mi piaceva il nome; poi costano meno; e, infine, in qualcosa dovrò pur esplicare il mio essere bambino, meravigliato davanti alle scatoline colorate e invogliato a comprarle tanto per fare. Uno dei Parodi me lo sono fumato alla manifestazione dell'altro giorno, quella dello sciopero colonnello (generale no, per me lo sciopero generale dev'essere con ogni cosa chiusa sul serio); il resto l'ho messo in macchina.

Capirete che una macchina così è meravigliosamente comoda. La lascio parcheggiata aperta e, quando si schianta dal bollore, anche coi finestrini spalancati. Non ho da preoccuparmi della carrozzeria, gli autolavaggi possono pure riposarsi e, last bat nott list, per qualche motivo che mi è ignoto va ancora come le sassate. Stamani, andando a far la spesa, però l'ho trovata con gli sportelli aperti; stanotte qualcuno c'è andato a farci una visitina dentro, nel parcheggio condominiale.

La prima cosa che ho pensato, è che fosse servita da alcova improvvisata; condom e condominio uniti nell'erotica lotta. Ma non v'era traccia di preservativi usati nemmeno all'esterno, a meno che non si trattasse di due amanti che seguono i dettami di Santa Romana Chiesa. In compenso, dentro era un disastro: il quintale di ciarpame tutto spanto sui sedili e per terra. Vabbè. Ora, debbo dire che, anche avessero voluto rubarla, la cosa è poco fattibile: una macchina del genere sarebbe, come dire, leggermente riconoscibile. Poi, come son solito dire, facciano pure; si lascino però almeno stringere la mano per aver inteso appropriarsi di una vettura del genere. Se proprio gli serve; tanto, me ne danno un'altra. Ci sono, sí, affezionato; ma davanti alla necessità tutto passa in sottordine. Cercavano qualcosa, e sicuramente l'hanno trovata: si son portati via una penna del distributore Agip del viale dei Mille, un mozzicone di matita, una bolletta dell'Enel pagata e la scatola dei sigari Parodi (ce n'erano tre ancora dentro). La pallina interista era per terra, lo stradario incastrato nel volante (ci sarà una qualche sconosciuta simbologia?), il pacchetto di aviti fazzoletti sparpagliato su un sedile (li ho rimessi dentro con cura) e via discorrendo. Avevo, come dire, un'aria piuttosto ebete. Forse lo sono pure, ebete. Va bene così, no?

Mi dicevo, rimettendo al loro ordinato posto tutte quante le cianfrusaglie: beh, dai, almeno si faranno una bella fumatina, e non importa nemmeno che sia alla mia salute (anche sui Parodi è d'obbligo specificare che il fumo uccide e che nuoce alle donne incinte; ma ancora ho da vedere una partoriente che si fuma un toscano). Se la cosa può contribuire a un momento piacevole in una vita di merda, ben venga; c'era anche un pacchetto con due Diana blé dentro, ma quelle non se le sono prese (lo so bene che abitualmente fumo dei troiai). Dopo rimesso tutto nell'ordine dettato dalle stratificazioni del caso, me ne sono andato a fare, finalmente, la spesa. Ho messo in moto, e po po po; il contachilometri è passato da 285603 a 285604 (ma il "2" iniziale non si vede). Che l'ignoto si fumi i miei Parodi, e fumi bene; stimola l'espettorato, e un bel catarrone non si nega a nessuno. E nemmeno una canzone.



domenica 11 settembre 2011

Undici nientembre



Una bella domenica calda e di sole, la porta di casa aperta in piena città, i panni asciutti da cogliere, il gatto nel cortile. Neanche un aeroplanino di carta in vista. La doccia e spaparanzato al pc, e tanto che ci sono ho spalancato anche la finestra; si va verso l'autunno, ed è bene tesaurizzare queste ultime giornate d'estate vera. Un refolo di vento, che è sempre meglio di qualsiasi aria condizionata (compresa quella per le truppe in Afghanistan, che sembra costi 26.000 dollari al minuto). Inutile che si faccia: non mi accoderò ai consueti undicisettembri incrociati annuali. Né alle torri, né agli agliendi. In Cile rifanno una rivolta, ma la fanno dei ragazzi che trentott'anni fa non erano nemmeno nelle palle dei loro babbi. Quanto alle torri, sono state abbattute città intere, paesi interi, mondi interi senza che nessuno si ricordi non dico la data, ma neppure che tali cose siano accadute. Nel frattempo, ho imparato a eliminare dalla mia vita concetti come sicurezza e insicurezza; non me ne frega niente. Tengo aperte porte e finestre, e casa mia è casa di tutti coloro che vogliono entrarci. Ci riprovano, con i loro grounds, le loro civiltà, i loro scontri; ci avrebbero disperatamente da nascondere i risultati della loro nullità. Risultati che si esplicano ogni giorno. Risultati che si muovono. E allora, evviva l'undici nientembre, seguito da un dodici, da un tredici, da un sempre che vanno oltre e che si ribellano contro passati le cui catene abbiamo da spezzare. Soprattutto con le porte aperte. Soprattutto con il non accettare più le porte chiuse cui intendevano condannarci.

giovedì 8 settembre 2011

L'arroganza degli imbecilli


L'unica cosa che non fa una grinza in questa foto, è il berretto calato sulla testa del personaggino che sale sulla macchina: poiché sembra un preservativo, sta alla perfezione sulla testa di cazzo di Lapo Elkann. Ieri, a Milano, ha lasciato parcheggiato il suo SUV "mimetico" (sicuramente degno di uno che vuole mostrare le sue possenti capacità militari) in corso San Gottardo, a Milano, sulle rotaie del tram. Poi se n'è andato a fare chissà che cosa di fondamentale per la Patria (forse l'acquisto di un discreto quantitativo di cocaina nazionale?). Per oltre mezz'ora, il tram della linea 3, pieno di orrendi precari, badanti moldave, pensionati al minimo, addetti al multilevel marketing e adolescenti pitturate, è rimasto fermo. Il traffico è andato completamente a farsi fottere, anche considerata l'ora (tra le 15,30 e le 16). L'ATM ha dovuto organizzare servizi sostitutivi per raccogliere i passeggeri rimasti bloccati; e sono da immaginarne i costi. Tutto questo per un arrogante pezzettino di merda, un incapace, una nullità, un sudiciume matricolato. Dovendo tutti i giorni confrontarmi col traffico impazzito di una città, una cosa del genere, provocata da un merdoso del genere, mi provoca pulsioni omicide; poi si legge che se l'è cavata con qualche insulto e con una multa di 1500 euro (capirai cosa rappresentano 1500 euro per Lapo Elkann). Non capisco perché il manovratore del tram non abbia tirato a diritto; ma a Milano che sono di latta, le vetture tranviarie? Schiacciarglielo tutto, quel SUV di guano, no? Oppure, cosa assai più opportuna, invece degli insulti riempirlo di manate e di calci in culo e cacargli dentro quel berrettino di merda? Inseguirlo per mezza Milano con le spranghe? Spedirlo al pronto soccorso con ferite lacerocontuse varie, sperando ovviamente che l'ambulanza rimanga bloccata perché un'altra testa di minchia come lui (chissà perché mi viene a mente Emanuele Filiberto di Savoja) ha bloccato il traffico con la sua Porsche Madonne? Così, magari, la prossima volta ci penserebbe due volte. L'arroganza degli imbecilli non domanda gentilezza e comprensione; domanda risposte adeguate e, possibilmente, spietate. E questo non vale soltanto per i SUV parcheggiati sulle rotaie del tram. Le soluzione, per i Lapi e per parecchi altri, sarebbero molteplici: ad metalla. Nelle medicee saline di Volterra a cavare salgemma. A remare sulle galere. Oppure, la sanissima ghigliottina con il Ça Ira, le tricoteuses e il boia Sanson che mostra la testa mozzata col berrettino profilattico.

mercoledì 7 settembre 2011

Mettons que Livio


!
"La Cavana: vicoli senza uscita (che qui si chiamano
androne), miserie piccole e grandi, case mezze diroccate, gente che va e gente che viene. Coi suoi capelli spettinati da folletto mai stanco, Livio mi racconta che in quel quartiere c'era una concentrazione di bordelli impressionante."
(Appunti liberi di un Gucciniano a Trieste)

Livio, già. Trieste. Trieste dicono sia una città di destra, addirittura fascista; non mi sono mai piaciute queste etichette trancianti. Trieste è una città di mare, e le città di mare sfuggono a ogni cosa; Trieste, poi, sa essere una città di follia mista a vento. Vento forte. Bere può diventare una necessità; e non è questione, qui, di scontrosa grazia. Trieste osa incontrare la disgrazia e l'ironia, e sta qui il nucleo; il resto, la Mitteleuropa, Italo Svevo e la Triestina in serie C, è contorno. C'è più Trieste in un'osmizza con gli ovi duri che in Carlo Michelstaedter. Più Trieste in un vecchio solo che s'arregge ai corrimano da bora, che in tutte le cazzate di Paolo Rumiz e dei suoi invii speciali. Ecco, Livio era tutto questo. Mi tocca dire era. L'ho visto due, tre volte; a Trieste e a Livorno. Me lo aveva fatto conoscere una triestina dagli occhi color del mare, segaligno, nervoso, le braccia di legno, lo sguardo che sembrava un coltellino piccolo sí, ma micidiale. Ci si perde, poi, o così sembra; una sera arriva un messaggio sul telefonino, e mi si informa che Livio è morto. Subentra, qui, la mia esigenza di osservare il più rigoroso silenzio e, al tempo stesso, d'inviare a Livio che viaggia uno scarno rigetto della solitudine e della morte; e ardisco dire, con ragionevole certezza, che tutta la vita di Livio dev'essere stata tesa a andare clamorosamente in culo alla cosiddetta interruzione dei parametri vitali.

Mettiamo che Livio (mettons que Livio, Livio Metòn) ora sia tornato a com'era in quella foto nell'orto inviatami dalla Meerfarbäugige di cui sopra; come tutti i triestini pazzi, cioè proprio tutti ivi compresi i neonati e quelli nati in Ghana, scriveva poesie. Le poesie sono cose da pazzi, lasciatemelo dire. Smettono di scriverne i noiosi rinsaviti e gli obbrobriosi granitici. E, allora, vorrei mettere qui sotto un paio di poesie scritte da Livio. Io non dirò che sono belle o non belle; dirò solo che sono lui. Come me lo ricordo e come me lo ricorderò. Se una poesia ha un gusto, oltre che un suono, è quello di una gigantesca e pestilenziale radice di rafano che mi portò ad acquistare in un supermercato di Sezana, in Slovenia. Delle poesie, una è in triestino.

Io nasco e muoio.

Io nasco e io muoio,
nel frattempo però,
amo la vita,
o chissà,
l'amerò.

Io amo e io odio,
io mangio e io sputo,
io bevo e io rutto,
io vomito il mondo
con tutto quel
che mi sta attorno.

Io creo,
io distruggo,
tutto quel che mi sta accanto,
tutto quel che io vedo,
tutto quel che mi sta amando.

Nel frattempo però,
io amo la vita,
e ancor più l'amerò.

Veciaia.

Vivemo e soratuto volemo viver,
ma par intanto le zornade e le stagioni se ingruma
drio de le nostre spale,
e quel che ne resta se consuma
senza inacorzerse,
come 'na candela.

sabato 3 settembre 2011

La porti un arresto a Firenze


Chiara è una ragazza della Riottosa zquat. Giovedì 1° settembre, alla Riottosa sono arrivate le Autorità, in pompa magna; e se la sono portata via, in galera, a Sollicciano. Sollicciano è quel posto che vedete nella foto.

Le accuse: le hanno trovato due o tre piantine di cannabis nell'orto, in mezzo alla verdura (alla Riottosa sono tutti rigorosamente Vegan), ed inoltre avrebbe commesso un furto di energia elettrica. Magari gioverà ricordare che, durante il tentativo di sgombero del 13 luglio 2009, le gloriose forze del disordine che intervennero, prima di ritornarsene indietro con la codina fra le gambe, provvidero a devastare ogni cosa: sputi nei barattoli delle conserve, gli stessi spaccati e calpestati, mobili schiantati, i fili della luce tagliati. Magari proviamo anche a ricordare i furti mensili che l'Enel e le altre compagnie elettriche del libero mercato commettono ai danni di tutti noi, pagandosi poi megaspot televisivi dove vorrebbero darci da bere quanto sono brave e buone.

Chiara è solo l'ultima vittima di questo 2011 di repressione a Firenze. Arresti e denunce non si sono letteralmente contati. Il disegno è chiarissimo: questa città non deve più avere uno spazio libero. Si lasciano fascisti e fascistelli di ogni tipo (quelli che si autodefiniscono ribelli; i ribelli del Papi, ovviamente) scorrazzare liberamente, ma ogni luogo dove si svolge attività di critica e di ribellione sociale autentica viene tenuto costantemente sotto tiro, e con minacce continue di inesistenti reati associativi. Del resto siamo nel paese dove, oramai, si va scrutare persino nei cessi. I pretesti possono essere i più svariati; le leggi e le ordinanze le ha fornite un parlamento di cocainomani che, però, punisce severamente chi si coltiva mezza piantina di canapa.

La Riottosa zquat ha emesso un comunicato per l'arresto di Chiara, che riproduco qui integralmente:

ILLEGALE, NON IMPOSSIBILE

Sabato 1 Settembre (in realtà giovedì, ndr), tre gazzelle dei carabinieri hanno fatto irruzione alla Riottosa, casa occupata al Galluzzo, e se ne sono andati portandosi via una compagna, che al momento si trova in carcere a Sollicciano. I capi d'accusa che le sono stati imputati sono coltivazione di sostanza stupefacente (alcune piante di cannabis, strappate tra pomodori, melanzane e sedani) e furto di energia elettrica.

Non ci siamo mai ritenuti esperti di codici e castrazioni varie, per questo non abbiamo mai fatto della legge il metro di valutazione delle nostre scelte. Grammi, metri, kilowatt, euro, tutta merda per giudici, politici, giornalisti e sbirri di ogni colore. Pretesti buoni per invadere la nostra vita e separarci dai nostri affetti. Non ci stupiamo. L'odio aumenta.

Tutto è normale, tutto fa schifo, quindi è normale, quindi fa schifo...

Negli ultimi mesi sono stati numerosi i compagni e le compagne sequestrati dallo Stato, a Firenze come altrove. Abbiamo assistito ad un proliferare di inchieste volte a stroncare le varie lotte portate avanti da chi si è stancato di subire in silenzio.

La legge si adegua alle esigenze.

Se finora è risultato inefficace andare a colpire i sovversivi che parlano di insurrezioni e rivolte in base al reato di terrorismo (come non ricordare i vari flop delle inchieste per 270bis...), il passo successivo è stato quello di estinguere l'idea e criminalizzare la pratica, talvolta mantenendo l'aggravante del reato associativo. Nessuna differenza tra chi teorizza e pratica la libertà anche infrangendo la legge e chi quella stessa legge la infrange per un moto di dignità.

La repressione aumenta. La complicità può aumentare.

L'imposizione di una vita di miseria, trascinata tra lo sfruttamento del lavoro e la frustrazione del consumo, trova ancora risposte. Spesso solitarie e silenziose. Altrove esplosive. E su questo orizzonte degli eventi orientiamo i nostri sguardi in cerca del possibile e oltre.

Londra, Roma, Atene, la Valsusa, nei posti di lavoro, al supermercato, nelle piazze...

Purtroppo per lo Stato esistono ancora luoghi vissuti da coloro che hanno deciso che la fine di ogni sottomissione è un buon punto di partenza. Individui che desiderano esprimere liberamente la propria vita, abbattendo ogni ostacolo costituito dall'autorità.

Purtroppo per lo Stato la diffusione di certe pratiche non può che essere un cattivo esempio.

Per quel che ci riguarda cerchiamo e cercheremo sempre la libertà alla luce del sole, come al chiaro della luna. Qui ed ovunque.

“..Campiamo di recupero, raccolta e del poco che seminiamo, coltivando conflitto e convivialità..”

CHIARA LIBERA! TUTT* LIBER*!

La Riottosa Zquat! e Individualità Complici.

Mi unisco volentieri a tutto ciò, appunto come Individualità Complice.

Scusate se non ho molto tempo, e neppure molta voglia di disquisir di Libie del cazzo, manovre ed altre cose; non avrò forse una visione globale, ma mi basta quel che accade qui da me, a pochi chilometri, per avere già un'idea ben precisa e per avere fatto una scelta. Qui c'è chi si fa seghe giornaliere su Gheddafi sí o Gheddafi no, mentre si esce dal portone e si è in galera. Bisognerà pur capire, un giorno, che la galera non è soltanto a Sollicciano; ci siete tutti, anche se fate la vostra vita di giulivi coglioni, di precari forcaioli, di disoccupati che vanno dietro a chi dice che il lavoro glielo rubano i negri, di indignados per il mancato inizio del campionato di pallone. Chiara sta lì a ricordarvelo, assieme a tutti gli altri che sono stati colpiti dai teoremi di repressione indiscriminata da parte delle intrepide forze dello Stato.