venerdì 10 giugno 2011

Viaggio a Milano


Mercoledì scorso, tra mille e comprensibili difficoltà, sono riuscito a compiere un breve viaggio a Milano. Nella mutata situazione susseguente alla sanguinosa rivoluzione dello scorso mese di maggio, capirete che recarsi in quella città è divenuto assai problematico; ottenuto quindi per tramite di alcune persone fidate un visto di dodici ore, trepidante mi sono recato a prendere il treno nascondendo a mio grave rischio e pericolo la fotocamerina digitale con la quale sono riuscito a prendere alcune immagini. Credetemi: più facile, oramai, prenderle in Corea del Nord. Ma bando alle ciance, ed ecco il resoconto di questo mio spaventoso e cruciale viaggio.

Ore 9.10. Mi trovo alla stazione ferroviaria di Piacenza, ultimo avamposto della Civiltà Occidentale, in attesa dell'unico treno rimasto per Milano. La metropoli lombarda, fino a poco tempo fa collegata capillarmente con ogni località del paese, si trova adesso isolata a parte quest'ultimo treno (un ex regionale, ora ribattezzato Treno speciale Aurora) e la vecchia via Emilia, rigorosamente interdetta alla normale circolazione e riservata a pochi automezzi diplomatici. Il resto non esiste più; interrotte le autostrade, spazio aereo chiuso, l'aeroporto di Linate (ora "Aerostazione George Dimitrov") relegato a scalo per le merci di prima necessità in arrivo dall'Avana e da Pyongyang. Con me, oltre al prezioso visto temporaneo rilasciatomi per intercessione di mio conoscente greco, Joannis Petros Kefalakis, che vado peraltro ad incontrare, uno zaino con poche cose necessarie: una microscopica edizione del Manifesto del Partito Comunista, una Settimana Enigmistica per ingannare il tempo durante il viaggio, una bottiglia d'acqua minerale gassata e una stecca di Diana Blé, sigarette occidentali che conto di utilizzare per carpire informazioni dalla popolazione costretta a fumare le disgustose Tsiganopol', le sigarette uniche del nuovo regime. Nascosta con cura, la fotocamerina Kodak pronta all'uso.


La Via Emilia presso Lodi, oramai deserta.

Ore 9,32. In perfetto orario, il Treno Speciale Aurora parte dalla stazione di Piacenza. Sui marciapiedi, persone preoccupate per i propri cari presenti sul treno: li rivedranno? Mi sistemo in uno scompartimento vuoto, tiro fuori la Settimana Enigmistica (la cui redazione si è trasferita a Gorizia dallo storico Palazzo Vittoria di Piazza Cinque Giornate -ora Piazza Milanskij Komsomol') e faccio finta di risolvere le parole crociate mentre sbircio dal finestrino. Il treno è pulito, ma palesemente triste; nei bagni, carta igienica di pessima qualità, probabilmente di produzione laotiana. Gli avvisi, tipo Non sporgetevi dal finestrino, sono redatti non più nei classici Ne pas se pencher au dehors o Nicht hinauslehnen, ma in alfabeti semisconosciuti tra i quali riconosco lo hangul coreano. Ci stiamo avvicinando alla frontiera di Lodi, prima città del TML (Territorio Milanese Liberato); il treno rallenta e so che ormai è impossibile tornare indietro.


La frontiera lodigiana e un impettito "Volksghisa" pronto ai ferrei controlli.

Ore 10.15. Il treno è fermo alla frontiera lodigiana. Sono saliti a bordo per i controlli, armati di tutto punto, i temibili VOGHI (Volksghisa); con orrore sento provenire delle urla disperate da uno scompartimento vicino. Non oso muovermi, anche perché fuggire sarebbe impensabile: la frontiera è attraversata da un altissimo muro elettrificato. Si sentono anche spari in lontananza. Il momento è arrivato: nel mio scompartimento entra un milite armato; con mio sollievo, però, mi accorgo che non si tratta di un VOGHI, ma di un membro della GUAPOROM, la Guardia Popolare Rom, sicuramente più malleabile secondo le informazioni che ho ricevuto. In un italiano approssimativo mi ordina di aprire lo zaino; si sofferma sull'edizione del Manifesto, fa un cenno di assenso e mi controlla il visto. Tutto in ordine; la Guardia Rom mi sfodera un inaspettato sorriso, caccia fuori una fiaschetta e mi offre un sorso della terribile rakija di ordinanza. "Tu avere qualcosa? Io tenere moglie diciottanni e cinque figli..." Commosso da questa manifestazione di umanità, gli porgo venti euro; mi dice sottovoce che il suo stipendio popolare mensile è di 3800 volksdané, corrispondenti a dodici euro e cinquanta centesimi. In pratica gli ho offerto uno stipendio e mezzo! Per ringraziarlo, gli metto in tasca anche un pacchetto di Diana Blé; sono assolutamente certo che, con queste, mi avrebbe fatto passare anche nella stanza del dittatore Pizapija. Il treno riparte; un attimo prima si sente un agghiacciante puntat!....mirat!.... che mi riporta alla realtà; poi lo sparo.

Ore 10.35. Dopo un breve tragitto all'interno del TML, il treno entra finalmente alla Stazione Centrale "Gioventù dei Centri Sociali". I due capannoni laterali sono sormontati da bandiere e stelle rosse; sopra quello centrale, più grande, campeggia l'effigie del dittatore Pizapija in atteggiamento benevolente. Il treno entra lentamente; ne scendo intimorito ma roso dalla curiosità, facendo però attenzione a non tradire minimamente queste emozioni. All'interno della stazione, soltanto i pochissimi viaggiatori del treno speciale, alcuni VOGHI più rilassati e due o tre Guardie Popolari Rom che bevono di nascosto dalle fiaschette. Nella stazione non c'è più niente; per rifocillarsi, soltanto un piccolo chiosco delle Forniture Statali Popolari Milanesi. Nell'atrio centrale, striscioni rossi con diciture "Viva la rivolussion" e "Fasulett foeura da i ball". Esco finalmente sul piazzale Enver Hoxha (ex Duca d'Aosta) alla ricerca di un taxi; noto che sono tutti uguali, di produzione Iran Kodro, e serviti da autisti che indossano un'uniforme verde e rossa con l'effigie di Camilo Cienfuegos (che i milanesi hanno preso a chiamare, familiarmente, Camill Centfoeugh). Per duecento volksdané riesco a contrattare una corsa per piazza 30 Maggio (ex piazza del Duomo); la ho appuntamento con il mio conoscente greco, protetto dall'immunità diplomatica. La consegna è quella di parlare rigorosamente nella lingua ellenica, considerato un paese amico dopo l'analoga rivoluzione socialista che gli ha cambiato volto.

Ore 11.10. L'autista, con il quale non ho scambiato ovviamente una parola (essendo, tra l'altro, rigorosamente proibito), mi scarica presso la Galleria Kim-il Sung (ex Vittorio Emanuele), che noto di nuovo ricoperta dalle effigi di Pizapija ma con nuove e rassicuranti diciture: Pizapija av guarda, pelandron. Mi accorgo anche di una terribile gigantografia che raffigura la fucilazione nella schiena degli esponenti del passato regime: Letizia Moratti già a terra, De Corato agonizzante, Salvini che non si è accorto nemmeno che lo stanno per giustiziare e fissa il muro con la stessa aria ebete che aveva in vita, Magdi Cristiano Allam con espressione ieratica, pronto al martirio e all'accoglienza nel novero de' beati. Il mio conoscente greco, Joannis Petros Kefalakis, mi aspetta sugli scalini del Centro Sociale Centrale "Milano Rossa" (ex Duomo), sulla cui facciata la scritta Mariae nascenti è stata sostituita dalla scritta A laurà tucc' per la rivolussion! Sorridente e sollevato per il mio arrivo, Kefalakis mi abbraccia e mi propone un breve giro per la nuova Milano, prima di andare a mangiare qualcosa. Ci fermiamo per un aperitivo, in un gelido bar dove viene pubblicizzato il Fernet Malenkov (ex Branca); proseguiamo poi a piedi.



Ore 12.20. Siamo in piazza Giuseppe Pinelli (ex Fontana), proprio di fronte alla Banca Nazionale dell'Agricoltura (teatro, il 12 dicembre, di uno spaventoso attentato fascista). Nella nuova Milano rossa e popolare, il governo ha deciso di preservare sia la lapide dedicata al combattente anarchico vittima della spietata repressione degli anni '60 e '70, sia l'insegna originale dell'istituto di credito in cui fu piazzata il mortale ordigno (pur essendo oramai lo stabile occupato dagli uffici della Banca Nassiunala Equa e Ciucialista). Mi spiega Kefalakis, vistosamente entusiasta, che nella nuova Milano rossa e popolare (to neo Milano kokkino ke laikò nel greco in cui mi parla) la conservazione degli eventi storici che hanno portato alla rivoluzione del 30 maggio 2011 è una priorità irrinunciabile, e concordo con lui mentre, occultandola nella Settimana Enigmistica, con la fotocamerina ardisco a prendere delle foto sotto lo sguardo di alcuni GUAPOROM. Ad un tratto, un tramestio e un trambusto; un enorme e feroce VOGHI ha riconosciuto, tra la folla di persone, un noto esponente della famigerata Lega Nord. Chiamati i GUAPOROM a fermarlo dopo che aveva tentato un'inutile fuga, gli viene letta una rapida sentenza e viene abbattuto sul posto con una raffica di mitra. La gente applaude e torna alle sue occupazioni, mentre il VOGHI, con la radio di servizio, chiama la Municipalizzata per la rimozione della spazzatura. Nostra destinazione è adesso un ristorante tipico nella zona di Porta Staliniana (ex Ticinese), la Trattoria Anarcostatale "Buenaventura Durruti" consigliatami da un amico, il cantore anarcoinsurrezionalista Aleksej Lyga. Data la lontananza, io e Kefalakis decidiamo per un altro taxi Iran Kodro, che per centosessanta volksdané ci fa fare un altro giro per l'ordinatissima città nuova.


L'interno della Trattoria Anarcostatale "Buenaventura Durruti". Sedie, ovviamente, rosse.

Ore 13.20. Siamo seduti, io e Joannis Petros Kefalakis, ad un tavolo della Trattoria Anarcostatale. Stappata una bottiglia di frizzante Bonarda dei Colli del Caucaso, una cameriera dall'aria militaresca (con una spilla di Pizapija al seno) ci propone il cosiddetto menù dell'operàri: per trenta volksdané, una fumante scodella di sboba del lauradùr (a base di rutabaga e cotiche di maiale) e un succulento topo in brodo del Naviglio Grande. Io e Kefalakis abbiamo un leggero moto di sconcerto; il greco tira fuori il suo tesserino diplomatico e quindici euro illegali, mentre il sottoscritto dà fondo alla scorta di Diana Blé e ne offre due pacchetti alla ragazza. In men che non si dica, ella torna con due piatti di spaghetti all'arrabbiata, un bollito misto con patate, un ossobuco, due mastodontiche fette di gorgonzola e un'altra bottiglia di Barbera del Dnjepr'. Alla vista di tale bendiddìo, io e Kefalakis cominciamo a strafogarci e a brindare ad un'allegra confusione di personaggi, da Lenin a Boris Godunov (che non c'entra un cazzo, ma va bene lo stesso), da Nestor Makhno a Davide Giromini, da Pietro Valpreda a Carla Fracci, da Zhdanov a Lev Jascin. In breve, il nostro entusiasmo rumoroso contagia una coppia di VOGHI (fratello e sorella, sardi di origine) che si trascina per tutto il pranzo; ne approfitto per scattare una foto alla loro modernissima postazione di controllo:


Ore 15.30. Terminato il lauto pranzo, paghiamo i centodieci volksdané che ci è costato e c'incamminiamo per una salutare passeggiata, dovendo smaltire i sei chili che siamo ingrassati entrambi. Passeggiamo quieti per una Milano finalmente libera, finalmente piena di zingari, di immigrati che si pigliano gentilmente qualche vendetta sui locali, di torme di ragazzi dei centri sociali che si divertono a tirare sassate alle superstiti vetrine capitaliste; all'angolo di via Montebrezhnev (ex Montenapoleone), ci soffermiamo a guardare la strada finalmente ripulita da tutte le stolide icone del lusso che ne avevano decretato l'orribile fama. Gruppi di guardie rosse sostano per terra, nelle piazzette, recitando il Libretto rosso del presidente Pizapija. E' tempo di rincamminarmi verso la stazione centrale; salutato Kefalakis, in via Cesare Battisti (scrittore, 1954-; ex via Cesare Correnti) fermo un altro Iran Kodro che mi riporta al treno.

Ore 17.20. Il visto non è ancora scaduto, ma è meglio non rischiare: il treno in uscita dal TML è già sui binari, pronto a partire per l'infelice Italia capitalista e berlusconiana. Mi accorgo di essere praticamente solo; mi accendo una Diana Blé, ritiro fuori la Settimana Enigmistica oramai sgualcita e oso persino mettere i fettoni sul seggiolino di fronte. Il treno sferraglia fino alla frontiera lodigiana, dove vengo sottoposto a controlli più rilassati. Le conoscenze del greco Kefalakis devono avere funzionato; un VOGHI, mentre il treno varca la frontiera, mi fa persino un saluto militare al quale rispondo al meglio che posso. Eccomi di nuovo in Italia; alla stazione di Piacenza, ultimo baluardo della Libertà e del Mercato, parecchie persone stanno, inutilmente, aspettando. Sento già le grida, mentre il treno entra in stazione: Ecco il treno da Zingaropoli! Il convoglio dei Centri Sociali! E, quasi quasi, mi viene la voglia di tornare indietro.