martedì 5 aprile 2011

Amore al vocativo



In questa foto, coperto di neve, Karel Kryl ha vent'anni o giù di lì. Nel 1968, quando alla Cecoslovacchia fu prodigato l'aiuto fraterno da parte dell'URSS e del Patto di Varsavia, ne aveva ventiquattro (era nato, durante l'occupazione nazista, in una cittadina morava nota per la coltivazione intensiva di segni diacritici, Kroměříž). La sigarettona in bocca, l'aria da ragazzaccio, e una gioventù che forse si fa fatica a immaginare, noialtri, ora. Era uno di quelli che non ci stava, mai. Non ci stava a farsi insegnare la retta via del socialismo reale da una masnada di geronti. Non ci stava a farsi ingabbiare nelle guerre, fredde o calde che fossero, e dai servizi militari. Non ci stava a starsene buono buono davanti alla stupidità e all'inumanità di un regime di stracatamerda. Dopo l'invasione scrisse un album di canzoni (intitolato Chiudi la porta, fratellino!) che lo avrebbe portato senz'altro diritto in galera; dovette andarsene via, in Germania. Poi finì il regime, nel famoso 1989; finalmente la libertà tanto agognata! Karel Kryl tornò in Cecoslovacchia, ma non aveva perso il vizio di non starci. Quel che stava vedendo non era la libertà, ma la svendita. Non era la democrazia, ma il mercato. Non era il disgelo, ma il nuovo inverno del liberismo selvaggio post-comunista. Se ne accorse rapidamente, e se ne ritornò in Germania. Morì d'infarto poco dopo aver compiuto cinquant'anni, nel 1994, a Passau.

Quella che segue è una sua canzone, forse la più famosa. Dico "famosa" nel suo paese, perché le canzoni d'autore hanno il terribile vizio di essere scritte nella lingua di chi le compone; e non può essere sempre la nostra. Esistono, al riguardo, tutti i naturalmente possibili; naturalmente qualsiasi traduzione non rende bene l'originale, naturalmente senza una pur minima traduzione non può essere altro che una musica più o meno bella accompagnata da una serie di fonemi incomprensibili (come del resto quelli dell'inglese, dato che la maggior parte di coloro che disquisiscono di blues, funky, jazz, soul eccetera in un paese di lingua inglese non saprebbero chiedere nemmeno del cesso), naturalmente il cantautore canta male, naturalmente suona anche peggio. Prediamo ad esempio la canzone che state incautamente per ascoltare: si intitola Amore, ma è al caso vocativo. Qualcuno se ne ricorda dal latino delle medie o del liceo? Lupus, al vocativo, fa lupe: o lupo! Anche il ceco, la lingua di Karel Kryl, ha i casi come il latino; vocativo compreso. E così, láska, cioè amore, al vocativo fa lásko. O amore!

Schiere di traduttori, che sono i veri paria della terra, si addannano con le lingue più bizzarre ben sapendo che le critiche più feroci le riceveranno proprio da coloro che non saprebbero nemmeno distinguere un soggetto da un complemento oggetto (ad esempio, il 97,48% dei giornalisti italiani). Tra le altre cose, a volte s'innamorano perdutamente di cantautori di paesi strani; già di per sé la canzone d'autore viene considerata pallosa, perché tutto deve essere rrrrritmo, e figurarsi se poi è, che so io, in ceco. Pazienza. Vorrà dire che una cosa come questa non la conosceranno mai; si ascolteranno, naturalmente con una gran voglia di dormire (ma non si può dire, pena l'ostracismo), il loro jazz. A me il jazz fa addormentare, che ci volete fare! E se proprio non ho sonno, mi fa venire en bloc due paia di coglioni come quelli di Martin Berta.

E va a finire che, poi, i traduttori vanno a fare sempre altro. Li ritroviamo come impiegati, macellai, autisti di ambulanze, geometri, trippai o chissà che altro. Quando si ostinano a restare traduttori, altro che precari; i traduttori erano già precari quando di precariato non si parlava nemmeno di striscio. La vita agra raccontata da Bianciardi. Eppure mantengono sempre il loro amore al vocativo e a tutti gli altri casi delle loro lingue, compreso il comitativo dell'ungherese, il preposizionale del russo e l'essivo del finlandese. Compresi i toni del loro cinese o del loro yoruba. Comprese le classi nominali del loro swahili. Compresi i segnetti e le canzoni del ceco. Questa canzone parla di un ragazzo e dello schifo di vita che fa in caserma sotto un regime orrendo, un regime che gli fa considerare, disperatamente, la guerra come la sua ragazza. Lásko! A proposito: secondo me Karel Kryl canta da fare schifo e suona come un cane; però c'era un cantautore che tutti capiscono, che diceva che i fiori nascono dalla merda e non dai diamanti.



Un po' di avanzi per i ratti nella scodella del gulash
Lettere d’amore con le carte da mariash *
Prima del lungo viaggio ci togliamo le scarpe sudate
E poi sotto la coperta sogniamo masturbandoci.

Amore, chiuditi nella stanza,
Amore, la guerra è la mia ragazza,
con lei faccio l’amore, quando mi accorcio le notti.
Amore, hai il sole sul ventaglio,
Amore, due ciliegie su un piatto
ti regalerò, quando sarò tornato.

Neanche vent’anni, un distintivo sul berretto
Con sorriso da adulti si tira fuori la sigaretta
La pistola carica alla cintura
Andiamo al passo cantando vicino al bordello.

Amore, chiuditi nella stanza,
Amore, la guerra è la mia ragazza,
con lei faccio l’amore, quando mi accorcio le notti.
Amore, hai il sole sul ventaglio,
Amore, due ciliegie su un piatto
ti regalerò, quando sarò tornato.

Un po' di avanzi per i ratti, e la borsa per le cartucce
la latrina con le scritte, non adatte alle signore,
non c'è tempo per riposare, la morte ci sta addosso
Prima che sbronzi crolliamo sul pancaccio.

Amore, chiuditi nella stanza,
Amore, la guerra è la mia ragazza,
con lei faccio l’amore, quando mi accorcio le notti.
Amore, hai il sole sul ventaglio,
Amore, due ciliegie su un piatto
ti regalerò, quando sarò tornato.

* gioco di carte praghese (ndt)