venerdì 4 febbraio 2011

Franca, Antonio


Franca Salerno è morta.

"Si è spenta ieri a Roma dopo aver resistito a lungo contro la malattia"; così Paolo Persichetti, e così lo riprendo da Insorgenze.

Se possibile, leggete quell'articolo. Viene specificato che oggi, a Roma, si terrà una cerimonia civile presso il centro sociale Acrobax, dalle 13 alle 16. Lo stesso centro sociale dove svolgeva la sua militanza il figlio Antonio. Era nato in prigione, poco dopo il suo arresto. Antonio è morto cinque anni fa, per un incidente sul lavoro.

Vorrei aggiungere una cosa.

Nell'articolo, Persichetti cita un libro. Vorrei riportarne un breve passo.

"Certe storie sembrano non concludersi mai e trascinarsi sottopelle per anni per poi esplodere in tutta la loro crudeltà. Al momento dell'arresto Franca Salerno è incinta. Il figlio che porta in grembo è di Raffaele Piccinino. Lo hanno concepito da liberi, se di libertà si può parlare quando si è braccati dagli agenti di tutta Italia.

Quel figlio, Franca lo cresce in carcere nei primi anni della sua vita. E gli dona per intero l'amore di cui è capace. A dispetto di una condanna interminabile, dei vincoli asfissianti posti dalle autorità giudiziarie e delle bugie che è costretta a offrire a un bimbo desideroso di comprendere perché sua madre non sia tutta per lui. Intanto Antonio, questo il suo nome, cresce con le nonne e con la zia. Fino a che, dopo sedici anni, Franca riacquista la libertà. Non è facile riprendere le misure del proprio corpo in uno spazio nuovo, dimenticato. Franca rifiuta le scorciatoie proposte da chi promette lavori in cambio di una semplice dichiarazione di dissociazione, si rimbocca le maniche e comincia a lavorare e, finalmente, a godersi suo figlio. A riscoprire il piacere di un contatto umano che così a lungo le era stato negato.

Ma se una generazione si era ribellata lottando per un mondo migliore, il mondo non era stato ad aspettarli. Si era spinto oltre, molto oltre.E aveva proposto e imposto princìpi inediti e devastanti. Concetti come globalizzazione e precarietà erano, nel frattempo, divenuti fondanti della società moderna. E Antonio, come migliaia di altri ragazzi della sua età, si era dovuto adeguare.

Lavorava come pony express, addetto ai ritiri presso gli ambulatori veterinari. A volte con un contratto a tempo. A volte senza nemmeno quella minima garanzia. Una vita passata a rincorrere. Ogni giorno percorreva oltre cento chilometri per cercare di raggiungere uno stipendio dignitoso. Ottocento euro la paga base, che aumentava per ogni consegna di tre euro in città, di cinque se al di fuori del Raccordo. Una miseria, ne era consapevole. Ma non poteva fare diversamente. Effettuare almeno tredici o quattordici consegne al giorno, non era solo necessario per pagare le rate del motorino e la benzina, ma anche prerequisito essenziale per mantenere il posto di lavoro. Se non ce la fai, altri sgomitano dietro di te. È questa la legge del precariato. Ma Antonio non mollava, e continuava a lottare per i propri princìpi.

Poi, il 17 gennaio 2006, mentre effettua una consegna, Antonio ha un incidente sulla Cristoforo Colombo. E muore. Lasciandoci soli a interrogarci sul senso di certe maledizioni."