giovedì 10 febbraio 2011

Damnatio scriptoris


L'altro giorno, Carmilla on Line ha pubblicato una sintesi sul caso Battisti. Il rimando è naturalmente all'articolo in questione (scritto da Valerio Evangelisti in persona), e più in generale a tutta la sezione di quel sito dedicata a Cesare Battisti, alla sua ubiquità e alla persecuzione ed alla vendetta infinita operata in questo paese nei suoi confronti. Quel che vorrei sottoporre un po' all'attenzione è un aspetto particolare di questa vendetta persecutoria, aspetto di cui si parla comunque anche nella "sintesi" di Carmilla. Un aspetto che, se si vuole, è forse meno appariscente di altri, e proprio per questo -a mio parere- più profondo e più grave. Lo si potrebbe chiamare: la Damnatio scriptoris.

Evangelisti si chiede se "essere scrittore sia un'aggravante" in tutta la vicenda, e ne conclude di sì, con pienissima ragione. In tutto il caso Battisti, il fatto che scriva e pubblichi storie è stato sempre utilizzato per completare la sua distruzione, in modo palese e smaccato; e, in questo, parecchi e cosiddetti intellettuali di sinistra si sono distinti per virulenza. Mi ricordo ad esempio della risposta che Corrado Augias diede a un lettore che gli chiedeva, sulla rubrica che tiene o teneva su Repubblica, un parere sul Battisti scrittore. Augias, con disprezzo, bollò le opere di Battisti come romanzetti; una definizione che mi è capitato di rileggere spesso, assieme ai gialletti di Mario Pirani (lui, addirittura, un cofondatore di Repubblica) citati anche da Evangelisti. Naturalmente, come Mario Pirani, è probabilissimo che anche Augias non abbia mai nemmeno letto una riga di un romanzetto, o gialletto, di Cesare Battisti; ma questo è un aspetto del tutto secondario della cosa. Quel che è stato scritto da Cesare Battisti non chiede di essere letto, utilizzando poi tutti i legittimi e liberi strumenti della critica: chiede soltanto di essere stroncato, denigrato, delegittimato a priori. Il suo essere scrittore serve esclusivamente a alimentare la menzogna servile che in Italia ha oramai forza di legge; e si badi bene che ciò accade principalmente in quanto Battisti scrive storie.

Seppure con le ovvie proteste, Cesare Battisti non è certamente il primo e l'unico ex partecipante alla lotta armata che scrive e pubblica libri; solo che, in generale, si tratta di opere di saggistica, di retrospettiva storica di fatti, di analisi; in questo tutti o quasi si sono cimentati, da Alberto Franceschini a Sergio Segio, da Valerio Morucci (attuale interlocutore di Casapound) a Prospero Gallinari. Il portinaio Cesare Battisti, invece, non ha ripercorso un bel niente; si è messo a scrivere storie, pubblicandole in edizione tascabile. Non ha fatto il protagonista che ricorda, ma semplicemente lo scrittore. Inoltre, la saggistica prodotta dagli altri ex partecipanti alla lotta armata proviene quasi interamente da celle di galera, da semilibertà, da anni già scontati, spesso da dissociazioni e pentitismi; da persone, quindi, che sono già state, in un modo o nell'altro, neutralizzate. Cesare Battisti, invece, è stato scelto per incarnare il mostro che, benevolmente ospitato all'estero senza pagare il fio, osava addirittura scrivere storie e farsele pubblicare.


Inaccettabile. La Damnatio scriptoris come elemento non secondario della dannazione di un essere umano nella sua interezza, della sua resa incondizionata. Vendetta e galera. L'unanimità dello sbranare il pericolo universale, come lo chiama Evangelisti. E, in questa Damnatio emergono tutti gli elementi che definiscono e individuano alla perfezione questo paese di servi; quella che sempre Evangelisti chiama, nel suo articolo, l'accozzaglia di fascisti, centrosinistri, post-comunisti, liberali del cazzo, scorreggioni televisivi.

Tutto questo in un paese dove non si esita a dare la patente di "scrittore" a uno come Giorgio Van Straten, tanto per fare un nome. Umberto Eco, poi; Evangelisti lo definisce la caricatura di quello che era un tempo, ma si deve riferire a un tempo molto lontano. Umberto Eco è quello che, dopo il Nome della rosa, ha sfornato una prodigiosa serie di poderose cacate, tra pendoli e pendolini, isole del giorno prima, Baudolini e regine Loane; ed il bello gli è che il qui presente, emerito signor nessuno, si è premurato di leggere tutte queste cose prima di definirle delle cacate. Così come si è premurato di leggere tutto quel che gli è stato possibile reperire di Cesare Battisti, in italiano o in francese. Compreso Ma cavale, che in Italia ovviamente nessuno vedrà mai. Figuriamoci. Un libro diviso in due parti. La prima narrata in prima persona, la ricostruzione del suo arresto a Parigi nel 2004 con un pretesto falso e grossolano, la sua detenzione, la liberazione, le campagne di solidarietà; la seconda, invece, senza nomi. Vaga, lontana, dolorosa, braccata. Una narrazione nella quale la prima percezione che si ha è l'esigenza di non farsi scoprire, di non dare elementi a chi ti sta ricercando in tutto il mondo. La storia di un fuggiasco che vuole raccontare la sua fuga, ma con la tensione di chi non può permettersi di fornire tracce. La prima volta ho letto Ma cavale sugli scalini della stazione di Como, perdendo un treno per non lasciarla a metà; era in libera vendita in una libreria cattolica di Friburgo, in Svizzera.


Non intendo qui né fare un'analisi, sia pur superficiale, delle opere di Cesare Battisti. A chi si interessava del genere noir, il suo nome era noto già da molto prima che nei suoi confronti si scatenasse la caccia al mostro operata con uno spiegamento di forze mai visto prima. Avenida Revolucion è stato pubblicato nel 2003 in Italia, a cura di una piccola casa editrice, la Nuovi Mondi Media di Ozzano nell'Emilia; L'ultimo sparo è in catalogo presso Derive/Approdi fin dal 1998. Nel 1999 L'orma rossa viene pubblicata addirittura da Einaudi; la stessa Einaudi che pubblica con commenti e prefazioni entusiastiche le opere di Fred Vargas, scrittrice che nella campagna a favore di Cesare Battisti ha avuto ed ha un ruolo non indifferente. La Damnatio scriptoris ha, come si vede, dei lati assai singolari. Tipo quello dell'impareggiabile Roberto Saviano, che da ventiquattrenne semisconosciuto firma proprio un appello promosso da Carmilla/Evangelisti per la liberazione di Battisti, salvo ritirare la propria firma circa un mese fa, oramai scrittore perseguitato e icona intoccabile del giustizialismo di casa nostra.

Le storie scritte da Cesare Battisti dovrebbero essere giudicate soltanto per quello che sono. Se qualcuno desidera leggerle, lo dovrebbe fare esercitando il normale spirito critico nei confronti di un'opera letteraria. Poi, a ragion veduta, potrà anche definirle dei romanzetti o dei gialletti; oppure delle belle cose, o anche dei capolavori. Sto dicendo adesso, e me ne rendo conto, delle cose banalissime. Mi sono posto davanti a quei libri come davanti a qualsiasi altra storia scritta, cercando di distinguere quel che c'è dell'autore e della propria vita in quelle pagine, ma senza farne un elemento discriminatorio. Molti anni fa, quando era vox populi che Jorge Luis Borges fosse un "fascista" e che non avesse mai preso posizione nei confronti delle dittature argentine, mi rifiutavo di leggere le sue opere e tranciavo giudizi; poi le ho lette, accorgendomi di quanto stupido e sbagliato fosse stato quel mio modo di fare. Trascinato dai giudizi di una massa più o meno consistente. Così non avrei mai letto il Viaggio al termine della notte di Céline, e non mi sarei divorato i racconti del razzista Lovecraft. Così mi leggo quel che scrive Cesare Battisti, staccandomi persino dalle mie stesse posizioni sulla sua vicenda e riconoscendogli dignità di scrittore, di facitore di storie, di narratore di vita, di pulsioni, di muri, di sogni spezzati.

Gli intellettuali di questo paese sono, con pochissime eccezioni, dei servi. Hanno, inoltre, quella particolare forma di servilisimo che promana dalla paura di essere messi a margine e di finire a loro volta oggetto di scherno, di campagne mediatiche, di censura. Distruggere lo scrittore Cesare Battisti sembra essere divenuto una sorta di salvacondotto, perché il rischio sarebbe a questo punto finire in una lista di proscrizione, in un Index fautorum Caesaris Battisti di cui si sono avuti i prodromi nel Veneto leghista. L'autonomia di giudizio diviene indizio di complicità, quando tutti fanno a gara per accodarsi al coro acritico e dettato solo dal desiderio di non essere considerati a loro volta degli "sporchi terroristi". Questi qui, poi, sarebbero quelli che vorrebbero rappresentare la nostra "coscienza", gli sbranatori della Damnatio scriptoris. Ma, in fondo, la rappresentano benissimo: la coscienza decomposta di un paese in decomposizione.

Gianluca è un ragazzo di vent'anni, che conosco da non molto. Frequentiamo una "cosa", e non saprei definirla altrimenti, in un quartiere sottoproletario di Firenze. È un ragazzo cui piace molto ascoltare quel che gli altri dicono, e in questo rivela la coscienza integra di chi non intende cedere alle sirene e ai battages di regime; nulla a che vedere con gli echi umberti e le spinelli barbare. Un paio di settimane fa, durante una riunione in quel posto, chiede a tutti come sapere qualcosa di più su Cesare Battisti; dice: "Ne sento parlare come un mostro, un assassino, un essere spregevole, e me ne ero quasi convinto; ma non ne so niente". Prendo un pezzo di carta e gli scrivo l'indirizzo di Carmilla on Line; poi mi ci metto a parlare un po'. Troppo poco. Troppo vasta la cosa. Sono le venti, l'ora dei telegiornali che rigurgitano esseri schifosi sulle pastasciutte al sugo di cervello e sui muri che siamo diventati.