domenica 8 agosto 2010

Bladi fràidei


Venerdì scorso, una giornata di sangue. Anzi, tutta una settimana di sangue. Non mi si fraintenda; è che da lunedì a venerdì scorso, alle undici in punto, ero di turno sangue. Si tratta di prendere una macchina veloce (nel mio caso particolare, una scassatissima Alfa 145 con 160.000 km sul groppone, dotata di attacchi speciali e di un meraviglioso pulsante di attivazione a penzoloni fra due fili elettrici, nel portabagagli), recarsi entro le 11.45 al Centro Emotrasfusionale di un dato ospedale cittadino e portare le provette, sistemate in un frigorifero pesantissimo, alle NAT di un altro ospedale, per la validazione quotidiana. Le NAT e l'altro ospedale si trovano praticamente agli antipodi; e cominciano i cosiddetti Diciotto minuti della morte. Entro 18 minuti bisogna essere dall'altra parte della città. Non che mi faccia un eccessivo piacere dovermi trasformare in una specie di Schumacher de' noantri, per quei 18 minuti; lo devo fare. Per poi magari scoprire, a volte, che all'ospedale di partenza hanno messo male in carica il frigorifero, e che tutte le provette devono essere buttate via. Succede. "Trasporto non conforme", un istogramma della temperatura del frigo dotato di microchip, e via.

Venerdì scorso, però, al Centro Trasfusionale dell'ospedale di partenza sono stato accolto da una cosa decisamente inaspettata. Di solito parcheggio la macchina davanti all'ingresso, e entro dentro a scrivere la documentazione quotidiana per la Regione. Tutta una specie di rituale: dopo un po' arrivano le provette da un altro ospedale della provincia, viene sistemato tutto nel frigo e parto per i Diciotto minuti passati a 90 all'ora in città. Venerdì, mentre scrivevo i fogli, mi è parso di sentire un miao.

Mi sono voltato, un po' stupito, e ho constatato che il suono proveniva regolarmente da un emettitore di miao, vale a dire da un gattino di pochi mesi, bianco e nero, che mi stava guardando con l'aria di dirmi: Ehi, ma ti levi dalla mia seggiola?... Mentre il micio si faceva accarezzare, ho sentito una delle ragazze del Centro Emotrasfusionale gridare: Piastrinaaaaa...! La ragazza è entrata nella stanza frigoriferi e mi ha trovato con la penna in mano, i fogli della Regione sparsi per terra e il micio che mi camminava addosso; e io mi ci facevo pure camminare, senza proprio nessun problema; anche emettendo io stesso dei miagolii, ché insomma, come dire, la scena non era propriamente quella che uno si immaginerebbe tra centrifughe, sacche di plasma e altre strane apparecchiature che non sto a dirvi (anche perché nemmeno io so a cosa servano esattamente). La ragazza si è messa a ridere, ha prelevato il micio e ho raccolto i fogli; senza neppure che glielo chiedessi, mi ha detto che in realtà è una gattina, che era comparsa da una decina di giorni e che era stata adottata dall'intero Centro Emotrasfusionale; e che, per sottolineare bene la cosa, le era stato solennemente imposto il nome di Piastrina.


Non ci crederete, ma venerdì il frigorifero con le provette mi è sembrato un po' meno pesante; poi mi sono accorto persino della ciotolina che le hanno approntato fuori dalla porta, in mezzo a taniche di acqua distillata, computer dismessi e scatoloni di emodeflussori. E così sono partito, i lampeggianti, la sirena, il frigorifero con le provette da analizzare per vedere se i donatori non abbiano certe altre bestioline nel sangue, e certi pensieri in testa che, pure loro, non sto a dirvi.

Effettuato il servizio con una cospicua dose di Piastrina in testa, me ne sono andato a mangiare. Siccome è là vicino, vado sovente a una trattoria popolare dove, per otto euro, ti viene ammannito un pranzo più che decente; perdipiù, trovandosi anch'egli nelle vicinanze, avevo fissato con un amico che fa l'autotrasportatore. Ci si mette a sedere, si ordina, si chiacchiera, e nel frattempo ecco i lavoratori che mangiano. È un posto, quello, dove va a mangiare la classe operaia che non si piega ai panini del bar; perché, ci diciamo sempre col mio amico, la classe operaia in fondo non si piega. Non facciamo, a dire il vero, grandi analisi. Non citiamo Mario Tronti o chi altro. Si mangiano gli spaghetti al sugo di cignale, si beve vino bianco freddo (e chi se ne frega degli accostamenti gastronomici) e ci si illude allegramente, peraltro non sapendo neppure più di che cosa ci si debba illudere. I lavoratori che mangiano sono d'ogni tipo e d'ogni paese; oramai ci si conosce un po' tutti. Il tenutario della trattoria, che è un furbacchione e un casinista della madonna, non nasconde per nulla le sue simpatie di destra; addirittura fa il tifo per la Lazio. Miao. Ecco, sì: miao. Stavo giusto raccontando al mio amico della gatta Piastrina, quando un giovane operaio edile al tavolo accanto, al massimo trent'anni di età, i pantaloni sporchi di vernice bianca e la maglietta intrisa del sudore di chi potrebbe anche cadere da un'impalcatura per il signor padrone, sbotta col collega che gli sta di fronte: Ma basta! O stai a vedere che alle prossime elezioni voto per Forza Nuova (tattarattààà!), così almeno ci levano di mezzo tutti 'sti sudicioni! Io e il mio amico, che siamo degli illusi attorno alla cinquantina d'anni (io di qua, lui di là), ci guardiamo, con le forchette per l'aria.

Il mio amico, che è più pronto di me, gli dice gentilmente: Ma guarda, che credi che eliminare i "sudicioni" risolva i tuoi problemi, che ti aumenti il salario, che ti faccia lavorare di meno, che ti dia condizioni migliori...? E quello: Ma chi se ne frega, intanto mi leva i sudicioni di mezzo! Stavo per dirgli che anche lui, in fondo, non era proprio così pulito; ma è un lavoratore, è un membro della classe operaia. Siccome poi mi stava salendo una prorompente voglia di rincappellargli sul capo il piatto di risotto alla pescatora, il mio amico mi ha detto che era ora di andare fuori a fumare una sigaretta. Ho convenuto che era meglio. E poi dicono che il fumo fa male. I sudicioni. Facile immaginarsi chi siano. Meglio andare a fumare e basta, magari ricominciando a pensare alla gatta Piastrina.

Ma poi, a che servirebbe incazzarsi. Tanto si sa benissimo tutto quanto. Lo si sa, però, generalmente per sentito dire; e ci si illude ancora, coccolando le proprie illusioni e i propri ricordi come si coccola una gattina comparsa all'improvviso dove meno te l'aspettavi. Sentirselo dire sul muso, è diverso. Si vede finalmente che cosa è successo. Si ascolta il presente; e non c'è proprio altro da fare. L'operaio è per Forza Nuova e non vuole i sudicioni. Quando gli avranno tolto di mezzo i sudicioni potrà volare felice da un'impalcatura. E se ci fossero stati dei simpatizzanti di Forza Nuova anche fra i morti della Thyssen Krupp? E se un sacco di altre cose che frullano nella testa? E i fascismi, e gli antifascismi? E le baggianate dei pontefici della teoria? E quello che continuava a sbraitare contro i sudicioni mentre si rientrava a mangiare il secondo, mica si può fumarsi un pacchetto intero di sigarette? E com'è, quello, fascista? E lo sfacelo che ti coglie? E cosa si fa? Che fare? Devo averla già sentita, quest'ultima frase. C'è qualcosa che non deve avere funzionato; e il sole d'agosto picchia e picchia.