martedì 13 luglio 2010

Asfalto


Oggi ho asfaltato, da solo, una strada.

Sono arrivato a casa, verso le cinque del pomeriggio, sfinito. Il brutto è che, a volte, verso le tre quando c'è da ripartire per il giro pomeridiano, mi tocca andarmi a bere una Red Bull. La Red Bull è una delle cose più schifose che si possano immaginare; sa di bubble gum andato a male con le bollicine, e perdipiù mi fanno ribrezzo i sapori esageratamente dolciastri. Però, se c'è da stare svegli per forza, accidenti a lei se funziona. Mi accompagna un ragazzo taciturno e timido, che però è un asso nell'agganciare le carrozzine dei disabili ai supporti. Crederete magari che sia facile; se lo credete, un giorno o l'altro ve lo faccio fare. Se ne riparla alla quindicesima bestemmia che sparate con quegli arnesi che non si agganciano nemmeno a pigiarli.

Poi, terminato tutto, via verso gli antipodi. Brucia l'asfalto, fa la fata morgana; e hai voglia a fare i percorsi alternativi. La zona a traffico limitato del centro è invasa dai turisti, mentre ti comincia a far male il piede destro dopo tutta una giornata di guida. Come se non bastasse, in via dei Bardi ecco il quotidiano incontro col Florence Open Tour, il mastodontico autobus turistico di linea urbana. Procede, forzatamente, a dieci all'ora. Sul tetto aperto, giapponesi stravolti, australiani vestiti da tennis, tedeschi con la birra, famigliuole incazzate di Cesano Maderno. Non si ferma, stavolta, nemmeno in piazza del Carmine, l'unico punto dove è possibile superare quel maledetto bestione; la piazza è un parcheggio davanti a Masaccio. Il piede destro fa sempre più male e sta addivenendo al crampo; una volta mi è toccato fermarmi per fare stretching, con un vigile urbano che, gentilissimo, si informava se stavo bene e se avevo bisogno del 118. Mi prese una convulsione di risate con le lacrime agli occhi per il dolore.

A casa, finalmente. Mi tolgo di dosso la divisa intrisa di sudore. Nudo, mi butto sul letto; e mi addormento in cinque secondi. La scena è chiarissima, una strada non battuta di periferia; non c'è nessuno e la sto asfaltando.

Mi metto prima, cantando qualcosa, a manovrare l'enorme mecchinario che asporta la pavimentazione precedente. Sulla fiancata ha una scritta, Gestirn; una volta sveglio, mi ricordo o rendo conto che, in tedesco, significa "Costellazione". Dal retro del macchinario viene sputato il vecchio asfalto, quasi liquefatto; rumore infernale nel deserto del sogno. Sole implacabile, e scendo per montare su un vecchio camion rosso. Tre secondi dopo, ma i secondi dei sogni sono universi, sono su un rullo compressore, sempre cantando a squarciagola No More Songs di Phil Ochs.


Fumo e odore. Allucinazioni mentre il rullo procede e compatta. A metà del lavoro scendo per fumarmi una sigaretta, cercando un filo di vento che non c'è. Attorno a me, macchine ferme. È tutto fermo. Poi rimonto sul rullo in un baccano assordante; e mi sveglio sudato e non pronto a riconoscere immediatamente che sono sul letto di casa mia. Intontito guardo l'orologio; sono le sei e mezzo. Dov'ero? E cos'è un sogno? C'è un altro me stesso, da qualche parte del nonfinito, che sta lavorando? Sfinito, a sera, si sarà buttato sul letto da solo sognandomi, estraneo e fratello? Ché siamo, tutti quanti, una Costellazione. Gestirn. E un rullo compressore, e una strada sotto il sole, e asfalto rovente.