venerdì 30 luglio 2010

Sesso e libertà, ovvero Femminismo e capacità di analisi

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Se sostengo, e in modo inequivocabile e senza compromessi, la lotta quotidiana del femminismo militante, non è soltanto per un comune sentire, e neppure perché tale comune sentire è per me il risultato di tutta una vita, di un percorso complesso, di esperienze, di osservazioni, di rabbie. È anche perché ritengo che le femministe militanti, quelle autentiche, siano tra le poche che abbiano una capacità di analisi politica e sociale assolutamente esatta e non fraintendibile; ed anche perché sono portatrici di un antifascismo che conosce fin troppo bene che cosa sia veramente, nella sua essenza più profonda, il fascismo. Un fascismo quotidiano, domestico, sul posto di lavoro, nella "famiglia", nelle relazioni umane. Prova ne sia l'articolo che riproduco qua sotto, che ritengo l'unica cosa veramente esatta che mi sia capitato di leggere in questi giorni su una data cosa relativa alla politica di sistema di questo paese. Certo, ho letto altre cose anche condivisibili, anche intelligenti, anche appassionate; ma tutte almeno un po' inquinate dal porsi regolarmente all'interno del sistema e delle sue rappresentanze. Questo può far sì che, nell'ottica dell "antiberlusconismo" (una cosa che comunque, a differenza di diversi snobbini da ripostiglio -non tiro in ballo neppure il classico salotto perché non lo meritano-, non ritengo affatto da rifiutare), si perda di vista chi sia veramente il camerata Fini Gianfranco, quale sia il suo progetto politico (che appare chiarissimo in questi giorni, e che l'articolo che segue mette perfettamente in luce) e quali siano i pericoli che comporta. Un articolo che fa piazza pulita di molti abbagli che sembrano cogliere non poche persone entusiaste del crollo del puttanaio berlusconiano. Lo ha scritto una Femminista, dimostrando una volta di più che la lotta delle donne è lotta antifascista a tutto tondo. Lo ribadirò finché avrò un filo di voce: non esiste antifascismo vero senza femminismo. Quando a volte persino dentro a dei centri sociali vedo dei compagni (e anche delle compagne) leggere avidamente "Il Fatto Quotidiano" mi prende un travaso di bile; indi per cui lascio la parola a Fikasicula, la quale, oltre a quello dell'analisi, ha anche il dono di esprimerla con parole semplici e dirette. L'articolo, che proviene ovviamente da Femminismo a Sud, si intitola

Sesso e libertà

E' il nome che darei ad un partito se ne creassi uno. Potrei anche chiamarlo Kebab e libertà, Cannolo e libertà, cassata siciliana e libertà, donne e libertà, fikasicula e libertà.

Se dio vuole, il dio dei laici ovviamente, la telenovela è finita. Il partito dell'amore si è disinnamorato, il centro sinistra ha finalmente trovato il suo leader e travaglio e i travaglini potranno dirsi orgogliosamente parte del nuovo grande partito post divorzio.

Fini è riuscito in una operazione che avevo previsto da un bel po'. Sin dai tempi in cui cominciò, ad opera della fondazione finiana fare futuro, la critica delle veline nelle liste del pdl, la moralizzazione dell'immagine del premier, le escort, etc etc. Quell'operazione la vedo realizzata nell'espressione felice di mia zia, comunista convinta, di quelle dure e pure, vecchia tesserata del pci, poi di rifondazione e ora in attesa di collocazione. Fondamentalmente a lei piacevano le feste dell'unità, poi quelle di liberazione e ora che nella sua città non ci sono più ne le une e ne le altre e anzi le uniche feste sono quelle della lega, lei, povera siciliana, immigrata, è tentata ma non lo dice. Il richiamo del bancone dal quale i compagni servivano panini e salsiccia è troppo forte. Già me la vedo a fare il salto della quaglia per motivazioni prettamente festaiole.

Stamattina leggeva un quotidiano e diceva che "quest'uomo ci salverà". "Quest'uomo" sarebbe Gianfranco Fini e il "ci salverà" è riferito al fatto che proprio lui è diventato colui nel quale tanti italiani hanno riversato le proprie speranze.

Una operazione magnifica, orchestrata da tempo, con travaglini e gente di destra che demonizzavano berlusconi, con il pd, che secondo me non ha capito niente o al peggio lo sapeva e ha collaborato, al traino a fare da spalla a tutta la baraonda, e dopo la demonizzazione c'è stata la santificazione dell'uomo salvatore, quello che ci libererà dal demonio, quello della "destra degli onesti", del rispetto "decoroso" del corpo delle donne, della "questione morale", della destra europea, democratica ma che sempre destra è. Quello del bastone e la carota, quello che firmò la bossi-fini, la legge che rovinò la vita a tanti immigrati, e poi fu presente durante le operazioni del g8 di genova, mentre noi correvamo e correvamo e correvamo per salvarci la pelle.

Chi l'avrebbe mai detto che la destra "autorevole", rappresentata da quell'uomo lì sarebbe diventata la speranza che avrebbe ridato luce agli occhi di mia zia?

E sarà quella l'unica opposizione di cui l'italia parlerà, che l'italia vedrà, e non importa se alle prossime elezioni si presenteranno comunque di nuovo in coalizione o ne presenteranno una fatta da pd-udc-an avente le stesse finalità sociali. Non importa. Perchè quando Gianfranco Fini si affaccerà al balcone ad urlare "italiani" tutti applaudiranno, mia zia spenderà una lacrimuccia, e io continuerò a farmi il sangue amaro.

Una volta a liberarci dai tiranni pensavano gli anarchici, ora dovremo rassegnarci all'idea che tutto si risolverà in guerre intestine tra clan avversi. E' veramente bizzarro riporre speranze in un successore di almirante ma la storia, si sa, è sempre piena di sorprese.

In tutto ciò mi chiedo: la russa e la meloni se li piglia berlusconi o ritornano all'ovile?

giovedì 29 luglio 2010

Indifferenza


Sarò insolitamente stringato, almeno all'inizio.

1) Ieri è morto l'ennesimo paio di militari italiani in Afghanistan;
2) Non gliene frega più un cazzo a nessuno.

Il post, a rigore, potrebbe finire qui. Il succo è questo. Ciò che segue sono soltanto considerazioni sparse.

Prima. Oramai nemmeno al tiggì Unto di Scondinzolini si azzardano più a chiamarli eroi e a tirare in ballo la missione di pace. Si devono essere finalmente accorti (magari leggendo qualche blog a notte fonda, di nascosto) che in Afghanistan c'è la guerra, e che i militari -italiani e di qualsiasi altro paese- sono lì a farla. Fanno parte di una forza di occupazione multinazionale, sono lì per combattere, e stop. Del resto, lo disse persino uno dei caduti italiani, qualche tempo fa: "Ma quale missione di pace, io sono qui a fare la guerra!" Più chiaro di così. Non c'è nessun eroismo. Chi va in Afghanistan, oltre che per fare la guerra ci va per una bella paccata di soldi. Ogni giorno di permanenza dell'Italfor in Afghanistan costa al paese milioni, mentre si tagliano le spese sulla sanità, sull'istruzione e su tutto quanto; tutto questo per una guerra persa. La guerra al terrorismo di Bush è peggio del Vietnam. In Vietnam si sapeva che, prima o poi, ci sarebbe stata una fine; qui no. E intanto dissangua paesi interi.

Seconda. L'indifferenza generalizzata oramai si tocca con mano. I caduti? Nessuno ne parla in giro, come se non fosse successo niente. Ci sono le lotte interne nel PDL, c'è il calendario del campionato di calcio, ci sono le ferie imminenti, Belen che sniffa e tutto il resto. Sui giornali la notizia è stata relegata sin dall'inizio in secondo piano. Ci sono i reportages precotti dei telegiornali, che seguono immancabilmente un preciso rituale; prima il fatto, poi l'ultima intervista ai caduti (essere intervistati dalla tv italiana deve portare uno sculo micidiale: ogni volta che intervistano qualche militare dopo venti giorni, pàm, è vittima di un agguato), e poi il clou: i servizi sulle famiglie. A tale riguardo, bisogna notare che i caduti sono:

a) tutti quanti sposati con giovani mogli;
b) hanno già almeno un figlio e la giovane moglie è sempre di nuovo incinta;
c) le famiglie, tramite un portavoce (assai gettonato un cugino), mostrano sempre un dolore composto, come si confà alla maschia italica stirpe;
d) Il cugino-portavoce dichiara invariabilmente che il caduto sognava quella vita fin da ragazzino;
e) Il caduto ha almeno nell'84,52% dei casi un fratello pure militare, e pure impegnato in qualche altra missione di pace.

Terza. Appello alle giovani donne italiane: lasciate perdere questi coglioni la cui vera passione nella vita non siete né voi, né la famiglia e né nient'altro: a questi piace giocare alla guerra, possibilmente guadagnandoci dei bei soldoni. Passano da una missione di pace all'altra saltapicchiando fra Libano, Iraq, Afghanistan e Kosovo. Non li sposate, ché sennò diventate vedove dal dolore composto. Fra una missione e l'altra vi mettono incinte e se ne tornano a giocherellare fra mine, blindati, bazooka, cazzi e rebrechè. La missione umanitaria e di pace la fa Emergency, non loro; e, infatti, quelli di Emergency non sono eroi, ma sporchi comunisti. Quando il vostro maritino militare vi comincia a dire che vuole andare in Afghanistan a portare la pace, e che coi soldi che guadagnerà vi potrete fare una bella casetta, chiedete subito la separazione. I casi sono due: o tengono davvero a voi e alla famiglia, e allora fanno marcia indietro; oppure di voi non gliene frega proprio niente (perché, se gliene fregasse davvero, non andrebbero a farsi ammazzare volontariamente dato che non sono soldatini coscritti), e allora mandateli al gas e cercatevi un bel carpentiere edile, un traduttore e interprete, un professore di biologia, persino un precario made in Biagi & Sacconi, per fare da padre a vostro figlio e per farvi rimettere incinte se lo volete proprio.

Quarta ed ultima. La propaganda non funziona più. Non si sente più nemmeno un "poverini!" dalla vecchietta sull'autobus. I reportages a base di eroismi e giovani vedove incinte sono sempre più brevi e guardati con la massima indifferenza, per non dire fastidio. Le nostre città sono state impestate di targhe stradali dedicate a un gruppo di militari morti a guardia di una preziosa raffineria dell'ENI (i Caduti di Raffineriyah), ma non c'è nemmeno un cortile condominiale dedicato ai militari professionisti morti in Afghanistan, e più che altro nemmeno una piazzetta secondaria di un villaggio fatto coi mattoncini del Lego dedicato alle centinaia di migliaia di civili morti in Iraq e in Afghanistan.

E intanto, però, la missione di pace puppa soldi e risorse a non finire; e quando sei lì a aspettare sei mesi che ti facciano una radiografia, oppure crepi allegramente in attesa dell'operazione, oppure la scuola pubblica dà ai tuoi figli un'istruzione che avrebbe solo bisogno di una "d" iniziale per essere definita per ciò che è, pensi ai gloriosi italici caduti per andar dietro alle malefatte di un petroliere texano; e anche se forse non è giusto, arrivi, in sala d'aspetto con l'aria condizionata che non funziona, a mandare in culo persino le giovani vedove costantemente incinte d'un morto.

mercoledì 28 luglio 2010

I Valori, i Fascisti e l'Antitesi


Qualcuno si ricorda di Alessandro Sardelli, detto Svastichella? Sì, proprio lui: quello che, alcun tempo fa rischiò di ammazzare due ragazzi al Gay Village di Roma, colpevoli di starsi a baciare tranquillamente. Arriva il poderoso nazistello, perdipiù notoriamente e riconosciutamente fuori di ceppa, e li massacra perché stavano facendo cose zozze (Santa Romana Chiesa Cattolica e Apostolica direbbe atti impuri) davanti a un "ragazzino di 14 anni". Alle tre o quattro di notte, non mi ricordo con precisione; 'sti regazzini de Roma devono (fortunatamente per loro) godere di una notevole libertà da parte delle famigliuole; magari si baciano pure fra loro, e fanno benissimo. Però attenti a non incocciare Svastichella, perché lui ci ha i Valori (perfettamente espressi nel manifesto di Forza Nuova riprodotto qua sopra), e i Valori sono cose serie. In un paese come questo, dove le aggressioni omofobe sono all'ordine del giorno, i Valori sono sempre là, pronti all'uso e consumo. Solo che bisogna saperli leggere correttamente. Io sono un appassionato di enigmistica, e i Valori che vengono espressi e strombazzati pressoché quotidianamente sono un perfetto esempio di antitesi: quando si legge di solidarietà bisogna intendere egoismo, quando si legge di tolleranza bisogna intendere ottusità, chiusura, violenza; quando si legge di integrazione bisogna intendere razzismo generalizzato e paura inculcata dell'altro, e quando si legge di Valori occorre intendere sì disvalori, crassa indifferenza e roba del genere, ma anche pensare immediatamente al fascismo. L'epoca dei valori e delle morali è generalmente e totalmente priva sia degli uni che delle altre. È un'epoca di orrende facciate, grattate le quali appare, in tutto il suo orrore e tutta la sua stupidità, quel che c'è sotto. Il fascismo che, oramai, ha permeato ogni cosa e ogni coscienza -e in massima parte proprio le coscienze che un tempo si vantavano di essere libere. L'Italia è un paese ammalato di fascismo, e popolato da milioni di democratiche Svastichelle, di Svastichelle cattoliche, di Svastichelle liberali, di Svastichelle apolitiche, persino di Svastichelle di "sinistra" -che non sono affatto poche; proprio per questo le piacciono tanto i valori. E, allora, antifascismo significa anche e soprattutto lottare senza quartiere contro di essi, contro i pilastri, contro chiesa e famiglia, contro il lavoro, contro una "democrazia" per la quale la regola dell'antitesi oramai appare in tutta la sua crudezza. La sconfitta del fascismo passa per la sconfitta definitiva dei valori, perché essi sono l'antitesi della vita e della libertà. E anche per restituire alla parola "democrazia" il suo vero significato. Però, questa restituzione non potrà essere indolore. Quando un demos è malato, la cura è da cavallo e terribilmente dolorosa.

En passant, oggi il valoroso Sardelli Alessandro detto Svastichella è finito in galera per dei "valori" stavolta non antitetici. Per quelli che sono i veri valori di questa razzumaglia. Tra i 21 arrestati che rifornivano di droga alcuni quartieri romani c'è anche lui, già condannato a 7 anni di esaltazione popolare davanti alla pastasciutta ("Bravo! Ha fatto bene! Bisogna trattarli così quei froci! Doveva ammazzarli, c'era un ragazzino! Altro che galera, bisognerebbe fargli un monumento!", tutte frasi consuete al desco familiare, al Bar Sport, in ufficio, sull'autobus). Addirittura si afferma che lo Svastichella sarebbe stato fra i capibanda: un esempio meraviglioso dell'essenza dei valori italiani dell'anno 2010. Ce n'è davvero per tutti i gusti. Non ci facciamo mancare nulla. Siamo o non siamo il paese dell'Amore? Però, mi raccomando, è necessario non scordarsi mai dell'antitesi.

martedì 27 luglio 2010

La canzone di Georges Courtois


È il 19 dicembre 1985, a Nantes. Una giornata come le altre, anche al Tribunale d'Assise dove si deve celebrare un piccolo processo senza importanza nei confronti di un rapinatore di ladri (vale a dire di banche), Georges Courtois, di un suo complice, Patrick Thiolet, e di due donne che li avevano aiutati. In particolare, il processo riguarda una rapina che Courtois e Thiolet hanno compiuto a una banca di Sucé-sur-Erdre.

Tutto sembra svolgersi regolarmente; Courtois è recidivo, ha già passato parecchi anni in galera. Verso le 10,30, mentre il pubblico ministero sta pronunciando la requisitoria, dal pubblico si alza un uomo dirigendosi direttamente verso lo scranno del giudice. Si chiama Abdelkarim Khalki, è un amico di Georges Courtois ed è armato fino ai denti; talmente fino ai denti, che è riuscito facilmente a mettere fuori causa il servizio d'ordine della Corte. Proclamandosi membro del movimento di resistenza palestinese di Abu Nidal, si avvicina al giudice fumando una sigaretta e impugnando una pistola; assieme a Courtois e a Thiolet ordina ai poliziotti presenti in aula di deporre le armi, ed i tre prendono in ostaggio tutta la Corte: magistrati, giurati, giornalisti ed il pubblico, composto in massima parte di studenti della facoltà di legge.

Accade l'impensabile: all'improvviso, i giudicanti passano ad essere giudicati. Courtois si impegna in qualcosa di assolutamente nuovo ed imprevisto: intende sfruttare i mezzi di comunicazione di massa, e impone armi in pugno a una troupe di FR3 di restare in aula e di riprendere tutto quanto. Ben presto, le TV, le radio e i giornali di mezzo mondo piombano a Nantes per raccontare la presa d'ostaggi in diretta.

Comincia lo spettacolo di Georges Courtois, che pronuncia in modo assolutamente calmo, davanti alla Corte sua prigioniera, una interminabile requisitoria contro la "giustizia" francese e contro i magistrati. Ai giurati chiede se davvero si sentono, da gente comune, investiti del potere di giudicare un uomo; solo pochi osano farfugliare qualcosa, e non solo perché sotto tiro. Con tutta probabilità, non avrebbero saputo rispondere neppure in piena libertà. FR3 riprende tutta la requisitoria di Courtois in diretta, e il telegiornale della sera la manda in onda pur con mille precauzioni; nel frattempo, il liceo Jules Verne, che si trova a due passi dal Tribunale, viene evacuato per precauzione.

Il prefetto, ed ex commissario di Polizia, Robert Broussard, e il commissario Ange Mancini, direttore del "RAID", il reparto di pronto intervento, stabiliscono un contatto con Courtois e con gli ostaggi, e fanno installare una linea telefonica. Courtois chiede un'automobile per fuggire assieme ai compagni, e libera poco a poco tutti gli ostaggi (gli studenti per primi). Il 20 dicembre, a mezzogiorno, restano nelle sue mani soltanto quattro magistrati. Alle 15 Courtois esce dal Tribunale ammanettato al presidente della Corte d'Assise (quello che, nella foto, ha un'espressione ebete mentre Abdelkarim Khalki fuma e gli tiene una pistola sul capo); in mano ha una granata senza spoletta e una 357 Magnum, e minaccia di farsi saltare in aria dopo avere sparato al giudice, se i reparti di polizia intervengono. La 357 Magnum la usa comunque, sparando alla telecamera di un giornalista che si era avvicinato un po' troppo. Abdelkarim Khalki, che si è ammanettato non a uno, ma a due magistrati, e Patrick Thiolet aspettano dentro per un po' prima di uscire e di montare in macchina assieme a Courtois.

La fuga dei tre si ferma all'aeroporto di Nantes-Atlantique. I poliziotti del RAID riescono a circondarli, che decidono di arrendersi motivando la loro scelta con il rifiuto di versare del sangue. Georges Courtois è condannato a ulteriori 20 anni di carcere. Fin qui la cronaca di quei giorni.

Nantes, 19 dicembre 1985: Abdelkarim Khalki, compagno di Georges Courtois, mentre fuma una sigaretta e prende in ostaggio tutto un tribunale. Da notare l'espressione del giudice.

Georges Courtois, nato il 27 settembre 1947, è un nantese purosangue, e un anarchico proveniente da una famiglia di anarchici. Nato nella Città Negriera (così viene chiamata Nantes, perché era il principale porto francese per la tratta degli schiavi), si è fatto tatuare attorno al collo i marchi del ceppo di ritenzione della ghigliottina, “come il marchio fatto agli schiavi col ferro rovente”; sulla mano, invece, ha tatuati il nome della moglie, Chantal, e dei suoi figli, Chrystel, Cécile e Max. A 14 anni è già in riformatorio a Bordeaux, in una cella dove deve stare coi piedi in 20 centimetri d'acqua. Una misura di punizione estrema, perché si è rifiutato di andare a lavorare in carcere. Dice: “Ho rifiutato di imparare a fare l'idraulico, e è stata la mia prima battaglia. Volevo diventare professore di francese.” Con ostinazione, ottiene una dispensa per andare a studiare al liceo di Talence; ne approfitta per evadere, e se ne va in vacanza a Rochefort-sur-Mer dove è subito beccato dalla polizia: un anno di galera.

Però si diploma a pieni voti alla maturità letteraria, e comincia ad avere qualche esitazione se continuare o meno la sua già avviata carriera di ladro e rapinatore. Esitazione che cessa all'improvviso quando suo padre, capocantiere edile, a 39 anni muore cadendo da un'impalcatura. Suo padre, sebbene anarchico, è uno di quelli che magnifica le “virtù del lavoro”; e muore lavorando. Dichiara Georges Courtois: “Con quello che è successo a mio padre, ogni velleità lavorativa è andata definitivamente a farsi fottere”. Lo stesso anno, Courtois incontra Chantal, ausiliaria infermiera al reparto grandi ustionati del policlinico di Nantes; riprende a rapinare negozi di lusso e banche, colleziona galere e, nel frattempo, Chantal vive coi figli in una casa popolare nel quartiere di Malakoff. Le dichiarazioni di Courtois non sono fraintendibili: “Entri in una banca e ti pigli trecentomila franchi se ci sono; se non ci sono, te ne vai. Tanto non si diventa mai ricchi. Per diventare ricchi bisogna rapinare con una penna Mont-Blanc, come fa Tapie, invece che con un revolver.” Nel 1973, viene arrestato durante una rapina in un'armeria e condannato a nove anni; rinchiuso nel carcere di Angers, si mette a disegnare col carboncino dei “ritratti di famiglia”, divora le opera di Baudelaire, di Sartre e di Gérard de Nerval e si tiene in cella un gatto, cosa proibitissima dal regolamento carcerario. Al gatto ha dato il nome di “Ergastolo” (Perpète). Un giorno scoppia in carcere una piccola rivolta; le guardie vogliono trasferire Courtois senza il suo gatto perché, secondo loro, “sporca i cellulari”. Courtois, allora, si incazza, lascia andare il gatto e si mette a fare a cazzotti con i poliziotti armati. Uno di loro, visto il gatto che miagola disperato, lo ammazza a revolverate davanti alla porta blindata. Quando racconta queste cose, Courtois, una sigaretta dietro l'altra (fuma tre pacchetti di Gitanes al giorno) si mette a piangere.

Esce nel 1981 dichiarandosi non solo anarchico ma anche “antistronzi” e “antirazzista”; nel 1983 è di nuovo dentro. A 38 anni stringe un'amicizia fortissima con il suo “concellino” Abdelkarim Khalki, di tre anni più giovane. Abdelkarim, di mestiere carpentiere edile, ha rapinato un ufficio postale per coprire uno scoperto bancario di 5000 franchi. Di origine marocchina, era incensurato; e non sopporta di essere stato condannato a cinque anni di prigione; Courtois cerca di consolarlo facendogli presente che lui ha passato 20 dei suoi 38 anni in galera. Presto Courtois dovrà comparire davanti al tribunale di Nantes per una rapina di 18000 franchi al Crédit Agricole di Sucé-sur-Erdre; è in quel periodo che i due si fanno l'idea di prendere in ostaggio i magistrati, i giurati e tutti quanti per “denunciare pubblicamente la giustizia davanti alle televisioni”. Niente di più e niente di meno. Khalki, scontata la pena, esce di prigione e, in venti giorni, riesce ad acquistare bombe a mano, revolver, tre mitra, e a imparare tutto quel che c'è da imparare sulla resistenza palestinese, su Sabra e Chatila e sul gruppo estremista di Abu Nidal. Serve una rivendicazione credibile.

Il processo è fissato per il 18 dicembre 1985. Courtois, rinchiuso nel gabbione assieme al suo complice Patrick Thiolet, comincia a chiedere conto di alcune cose: “Perché sono rimasto due anni senza poter vedere mia moglie e i miei figli?”. Il giudice, Bailhache, risponde di “non saperlo”. Il giorno dopo, il 19 dicembre, Khalki si alza dal pubblico e, con una sigaretta in bocca, si avvicina allo scranno del giudice con una bomba a mano senza spoletta; Courtois, invece, esce dal gabbione con una convincentissima Magnum 357, si avvicina anch'egli al giudice e gli ripete la domanda del giorno prima. Il giudice stavolta risponde: “È una cosa disumana”. “Vedo che la notte le ha portato consiglio”, gli dice allora ironicamente Courtois. Il giudice risponde ancora: “Signor Courtois, ieri non potevo risponderle, ero nelle mie funzioni”. Courtois, che senz'altro ha avuto voglia di ammazzarlo sul posto, ha invece come un'illuminazione. Non si è dimenticato certo del potere terribile che hanno le porte chiuse: “Quelli là, a cui parlo dal 1961 ma che non ti ascoltano mai, ti interrompono e se ne fregano, si sono messi a parlare normalmente quando gli ho messo le mani addosso, quando li ho spogliati dei loro orpelli. Là dentro succede qualcosa di terribile. Quasi non sapevo se, quel giorno, a distanza di pochi minuti, avevo parlato con le stesse persone.”

Courtois obbliga allora il pubblico ministero a chiedere ad alta voce “vent'anni per una rapinetta del cazzo”, parla della “morte sociale” in carcere, chiede un'automobile al RAID, prende il codice penale del giudice Bailhache, ci scrive una dedica e lo regala a una studentessa di legge, manda un “servo” (ovvero un poliziotto) a comprare le sigarette, impone la presenza sotto tiro di una troupe televisiva di FR3 e parla come un forsennato: “Non potevo certo restare impassibile e armato fino ai denti davanti a 34 persone che mi guardavano. Non bisogna mai restare in silenzio.” Parla per trenta ore di fila; poi gli viene detto che fuori c'è una Renault Espace che lo aspetta. Courtois esce ammanettato al giudice Bailhache, Khalki al pubblico ministero; con il responsabile del RAID, il commissario Broussard, ha raggiunto un accordo per far espatriare Khalki con un “decreto di espulsione verso un paese di sua scelta”; sulla base di questo accordo, e per non spargere sangue, si arrende all'aeroporto. Khalki non viene per nulla fatto espatriare; lo stesso commissario Broussard dichiara di “essere stato ingannato come Courtois e Khalki” e che “la Francia non ha tenuto fede alla parola data, e che il marocchino è stato preso per il culo”. Khalki, come Courtois, viene condannato a vent'anni di carcere, con un misterioso supplemento di pena di ulteriori trenta mesi. Courtois si sente colpevole nei suoi confronti, sentendo come un debito d'onore verso una persona che ha sacrificato tutto per amicizia. Ottiene uno sconto di pena ed esce nell'ottobre del 1997 mentre Khalki ancora si trova rinchiuso nel carcere di Arles; comincia scioperi della fame, e concede interviste soltanto a condizione di “poter parlare di Khalki, che dovrebbe essere fatto andare all'estero. Si reinventa come “esperto del mondo carcerario”, scrivendo articoli al vetriolo sulle “merdate della giustizia”; ma dura poco.

Nel febbraio del 2002, completamente ubriaco assieme a due nuovi compagni, tenta una rapina a un piccolo supermarket di Nantes; l'impiegato riesce a metterli in fuga, ma riceve un piccolo colpo con il calcio del fucile che gli spacca l'arcata sopracciliare. Arrestato di nuovo, Courtois si aspetta la pena normale per quel tipo di fatto, da uno a tre anni; il pubblico ministero ne chiede sette, ed il giudice gliene dà dieci. L'avvocato difensore, Trebern, dice esplicitamente che “Courtois continua a pagare i fatti di vent'anni prima.” Si comincia a sentire l'effetto Sarkozy. Al momento attuale, Georges Courtois è sempre in galera.

Nel 1990, in un album dedicato a Nantes “bella e ribelle”, il gruppo dei Tri Yann scrive su di lui e sui fatti del dicembre 1985 una canzone, un gwerz a cappella nella più antica tradizione bretone; i primi due versi riprendono una famosa canzone popolare pure fatta conoscere dai Tri Yann, Dans les prisons de Nantes. Danno alla canzone, provocatoriamente, un titolo in lingua bretone: Gwerz Jorj Courtois. La canzone di Georges Courtois. La canzone è qua sotto, la storia è qua sopra.


Nelle prigioni di Nantes
c'era un prigioniero
in attesa di sentenza
ma già condannato,
condannato al silenzio
lam delidam delilà,
condannato al silenzio
già da parecchi anni

Una mattina di dicembre
lo portano a giudizio,
c'è un complice in aula
ma quando parla il piemme
lui ordina di far silenzio
lam delidam delilà
ordina di far silenzio
a tutta l'assemblea

Il tribunale di Nantes
all'improvviso è sotto assedio,
l'accusato parlamenta
con i poliziotti,
libera una studentessa
lam delidam delidà
libera una studentessa,
la stampa e i giurati

La brava gente di Francia
lo fa andare in TV,
dicono: bisogna abbatterlo,
impiccarlo, metterlo al rogo
ma per le strade di Nantes
lam delidam delidà
ma per le strade di Nantes
scappa quel ribelle

Ha finito per arrendersi,
sangue non ne ha versato,
ha tentato la fortuna,
voi non l'avreste tentata?
E nell'indifferenza
lam delidam delidà
e nell'indifferenza
Courtois lo han rimesso dentro.



sabato 24 luglio 2010

Diventeremo così?


Ci siamo. Con il nuovo ddl sulle intercettazioni, i blogger avranno l'obbligo di rettifica entro 48 ore: pena una possibile querela, con richiesta di cifre che nessuno (o pochi) di noi si potrebbero permettere di pagare. In pratica, i blog hanno in Italia i giorni contati; tutto questo mentre certe bloggeresse cubane "dissidenti" (e ovviamente strombazzate) incantano la platea dei ggggiovinotti fascisti, oppure certe "amministrazioni di sinistra" intendono istituire la "Casa del blogger perseguitato" quando in questo democratico paese che non perseguita nessuno ci eliminano. O meglio: non ci eliminano se stiamo buonini buonini, e se parliamo soltanto delle vere cose importanti.

Ho quindi immaginato come potrebbero diventare i nostri blog in un prossimo futuro. Il seguente potrebbe essere un qualsiasi blogroll democraticamente imbavagliato e senza obblighi di rettifica; sarà meglio attrezzarsi, informarsi e provvedere a ristrutturare un po' i titoli e la grafica, nell'attesa che divenga un reato perseguibile penalmente anche l'Antifacebookismo. Si arriverà anche a quello, tranquilli.


'Εκβλόγγηθι Σεαυτόν Gossip Network
La Rete Asociale dedicata al gossip intelligente. Tutto su Amy Winehouse,
sulla sua vita, i suoi amori, i suoi razzoni. Interviste esclusive.
Firma anche tu per far svolgere un'edizione dell'Isola dei Famosi all'Elba!
Le vacanze dei VIP: sali anche tu sullo yacht a dare la pappa al bebé della Gregoraci!

Minimi Termini Download
Direttamente dall'UK, tutti i più grandi successi delle Spice Girls in libero scaricamento!
Very cool! Esclusiva: Lady Gaga sul water parla dei suoi lassativi preferiti.
Il gioco dell'estate: Tiziano Ferro e i suoi anagrammi!

Io non sto con l'Iraniana
E neanche con la Tagika, con la Kazaka o con la Circassa; però mi sono
invaghito di un'Uzbeka e vi racconto per filo e per segno tutti i nostri amori.
Il nostro nido a Tashkent e lo star system dell'Asia Centrale: una scoperta!

Il Guazzabuglio Deteriore
La movida livornese, le ultime mode di piazza Attias, i migliori
cocktails della baracchina e dei chioschi del viale Italia, le mises delle finissime
ragazzotte dei Tre Ponti: e chi l'ha detto che Livorno non è trendy?

Mall of the West

Il blog dedicato ai centri commerciali e agli outlets: dove passare la domenica?
Prezzi a confronto, pagelle, vota anche tu il megastore del mese!
Esclusiva: si può vivere un mese intero senza uscire dai Gigli?

Femmine a Sud

Tutti gli ultimi aggiornamenti su Maria Grazia Cucinotta: aspetta un altro figlio?
Le ricette della cucina meridionale: donne, tornate ai fornelli!
Quando i mariti ci tenevano a noi: Campagna per il ripristino della legislazione
sul delitto d'onore.

Rete dei Bravi Studenti fiorentini
Ragazzi, torniamo a studiare che è meglio! Consigli utili per i compiti,
corso di obbedienza ai professori e al preside, più crocifissi per tutti!
Sostieni anche tu la beatificazione dello Scatizzi!

CPA Firenze Sud
Il sito del Centro Pranoterapeutico Ayurvedico di via di Villamagna.
Laddove c'era un tristo centro sociale, ora c'è un meraviglioso centro
dove potrai ritrovare la salute grazie alle miracolose pozioni del guru Pinellyaha.
Pace interiore, meditazione, cucina vegetariana.

Kelebekler
Il blog dedicato alle collezioni di farfalle di tutto il mondo,
sul quale scrivono i migliori esperti del settore (come il portiere della nazionale inglese).
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Basket, Chitarra e Matematica
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sulla chitarra gli ultimi successi di Gigi d'Alessio e di Arisa? Questo è il blog per te!
Ripetizioni di matematica a prezzi modici: aiutare il povero blogger! Anche il Venturi,
seguendo i corsi proposti dal blogger, ha imparato finalmente a fare le divisioni a due cifre!

Camilla on Line
Il sito dedicato alla nipotina di Valerio Evangelisti: i suoi primi dentini,
la prima volta che ha detto mamma e nonno, aggiornamenti sul suo peso
e sulle ore della pappa. In appendice: Per la patria e per il Risorgimento,
tutto su Cesare Battisti (e anche su Guglielmo Oberdan e Nazario Sauro)!

Il Russo
Soffrivo anch'io di questo fastidioso problema: ma ho incontrato questo blog
e finalmente non russo più! Tecniche di respirazione e di concentrazione ipnotica.
I farmaci anti-russo: sono davvero efficaci? Intervista a Sandro Bondi con dichiarazioni shock:
"Sembravo una sega a nastro. Disturbavo la mia fidanzata e non voleva più fare
l'amore con me. Grazie al Russo ho cominciato una nuova vita."



venerdì 23 luglio 2010

Attenti al dirigenticidio!

La notizia è di pochi minuti fa: a Massarosa, cittadina toscana nota più che altro per essere l'unica uscita autostradale sulla Bretella di Lucca, ma anche sede del consueto agglomerato di piccole e medie imprese (quelle che formano il tessuto portante di larga parte dell'economia italiana), un rappresentante di tale "Gifas Electric" (azienda produttrice e concessionaria di materiale elettrico) licenziato in tronco alcuni mesi fa, si è presentato in ufficio commettendo una strage: ha infatti abbattuto il direttore e il vicedirettore dell'impresa, e si è poi suicidato dopo aver dato fuoco all'ufficio stesso.

Come tutti sanno, la crisi è passata, l'Italia regge e noi non siamo come gli altri. Ce lo dice Minzolini ogni sera. Notizie come quella di Massarosa siamo abituati a sentirle dalla solita America: in un certo senso, l'America è sempre rassicurante. Cose che succedono in America (e ne sono successe parecchie), da noi è impossibile, da noi si ammazzano soltanto le donne. Ho scorso un attimo il sito Internet della "Gifas Electric", e non c'è nulla di strano. La consueta "azienda leader", il "vostro partner per i prodotti elettrotecnici" (sembra quasi di fare sesso con una presa trifase), le "motivazioni", eccetera. C'è anche la foto di gruppo dei dipendenti, che non posso riprodurre qui perché il tasto destro è disabilitato; possibile che, in detta foto, ci siano anche i due dirigenti ammazzati e il loro ammazzatore. E la cosa deve fare un po' riflettere, se possibile.

Nella sezione "Offerte di lavoro" c'è il profilo del rappresentante:

"È nostra intenzione affidare la relativa zona ad un
giovane ambizioso venditore che, forte di una conoscenza tecnica di base e con una sperimentata propensione commerciale, voglia sviluppare la propria professionalità in un contesto che sa premiare i risultati raggiunti. Il candidato ideale è un Perito Tecnico, preferibilmente con specializzazione in Elettrotecnica, di 30-38 anni che ha maturato significative esperienze di vendita di prodotti tecnici all’utilizzatore finale."

Il rappresentante licenziato doveva quindi, in un dato periodo, aver risposto a tale profilo. Giovane, ambizioso, dotato di una "sperimentata propensione commerciale". E si sa come vanno le cose in questi casi: non ci sono i risultati, non ci sono le vendite, e se non ci sono i risultati e le vendite una persona può essere tranquillamente buttata via. È il cardine di tutto il sistema capitalistico-concorrenziale. Una letterina, e zàc; sulla strada. E subentra la disperazione che può portare ad atti come questo. A chi lo ha commesso, va dato atto però che non ha sfogato la sua disperazione sulla famiglia, ammazzando moglie e figli come hanno fatto parecchie persone ritrovatesi nella sua condizione: è andato invece al nocciolo della questione, presentandosi di fronte a chi gliela aveva creata.

E immaginiamo per un attimo di ampliare la cosa.

Immaginiamo, che so io, una delegazione di operai di Termini Imerese che si presentano di fronte a Marchionne per un colloquio, ammesso che lo conceda loro; e mentre quello parla di inevitabili strategie, accordi, riqualificazioni eccetera, vengono tirate fuori le armi e pam, pam, pam! Oh, trovano giustificazioni per ogni stronzo che fa fuori una sedicenne in bicicletta, troveranno bene anche quelle per dei lavoratori che magari non erano né giovani e né dinamici, e che non volevano sviluppare la loro elevata professionalità ma soltanto portare la pagnotta a casa.

Oppure immaginiamo, sempre che so io, un gruppo di dipendenti dell'Eutelia che si presentano davanti al signor Samuele Landi, ovvero questo tipino qua. E mentre questo se magna er cortèllo, qualcuno tira fuori uno Sten, e tarataratarattattà! E se un gruppo di lavoratori della Thyssen Krupp non aspettasse la fine del processo, e facesse presente ai supermanager del gruppo che finora i morti, e in modo atroce, sono stati da una parte sola?

Oppure mettiamo che un gruppo di ragazzi e ragazze sfruttati per vendere un aspirapolvere del cazzo ad un prezzo dieci volte quello di produzione (e, credetemi, io sto cominciando a fare il tifo per gli acari), malpagati, sottoposti a maltrattamenti psicologici e fisici e a turni massacranti perché così vuole il precariato istituzionalizzato, si fossero presentati davanti ai dirigenti della Italcarone S.p.A. prima che fossero arrestati dalla Guardia di Finanza e li avessero presi a kirbate sul cranio? Le loro vite trasformate in un inferno dalla disoccupazione, ed il tutto, in ultima analisi, per arricchire ancora di più il signor Warren Buffett, il terzo uomo più ricco del mondo? E se centinaia di immigrati-schiavi si fossero...ah no, dimenticavo, a Rosarno è già successo. E se un giorno tu chiamassi un call center, e al posto della ragazza con la voce preconfezionata per 550 euro al mese tu sentissi dei begli spari?

Ora, capisco bene che è più facile penetrare dentro l'ufficio della Gifas Electric di Massarosa che non nell'ufficio di Marchionne o in quello dei supersquali della Thyssen Krupp. Però, signori cari, state attenti al dirigenticidio. Occhio. In Francia vi avevano cominciato a sequestrare negli uffici-santuari. Fossi in voi, non sottovaluterei il pericolo, e neanche questo episodio isolato. Wer den Wind sät, wird Sturm ernten; lo dice la Bibbia in tedesco. E chi semina disperazione potrebbe raccogliere piombo.




martedì 20 luglio 2010

Quelli che il 20 luglio


Quelli che il 20 luglio erano al mare o ai monti, o ai laghi, o all'estero, o all'interno

Quelli che il 20 luglio facevano l'esame di maturità, e Alessandro Manzoni, e la tavola periodica, e la contabilità generale

Quelli che il 20 luglio dormivano fino a mezzogiorno, anche le una

Quelli che il 20 luglio uscivano di casa, ciao mamma, ciao babbo

Quelli che il 20 luglio percorrevano l'ultima galleria

Quelli che il 20 luglio arrivavano dopo essere partiti una settimana prima dall'Australia

Quelli che il 20 luglio si facevano firmare gli autografi dal campione

Quelli che il 20 luglio scaricavano il camion in una piccola-media industria dell'hinterland veronese

Quelli che il 20 luglio boiachimmolla

Quelli che il 20 luglio stavano a casa perché tanto è tutto inutile

Quelli che il 20 luglio erano in esilio

Quelli che il 20 luglio si occupavano delle fioriere

Quelli che il 20 luglio pensavano che in quella scuola sarebbe stato un po' scomodo ma che sì, in fondo ci si poteva dormire, un sacco a pelo e via

Quelli che il 20 luglio andavano a Bolzaneto perché almeno lì era rimasto un supermercato aperto

Quelli che il 20 luglio riparavano un viadotto sulla Firenze-Bologna

Quelli che il 20 luglio si svegliavano l'11 settembre

Quelli che il 20 luglio credevano ancora nella democrazia rappresentativa

Quelli che il 20 luglio avevano trovato un rotolo di scotch da pacchi in un cassetto di casa

Quelli che il 20 luglio affollavano i parrucchieri

Quelli che il 20 luglio entravano nel magico mondo dei precari

Quelli che il 20 luglio facevano il sound check

Quelli che il 20 luglio s'interrogavano sulle dinamiche globali concludendone che sì, il movimento iniziato a Seattle poteva rappresentare una concreta speranza a condizione che

Quelli che il 20 luglio era due giorni dopo un 18 luglio di una sessantina e rotti d'anni prima

Quelli che il 20 luglio occupavano la ferrovia

Quelli che il 20 luglio occupavano la strategia

Quelli che il 20 luglio non s'erano mai messi prima una tuta

Quelli che il 20 luglio erano sfrattati di casa a ottantaquattro anni

Quelli che il 20 luglio venivano comandati di spegnere con la forza qualsiasi tentativo

Quelli che il 20 luglio erano in cabina di regia e ora fanno i dispetti al regista

Quelli che il 20 luglio erano troppo vecchi ma che c'erano con il cuore e con la mente

Quelli che il 20 luglio cercavano disperatamente un parcheggio all'ombra

Quelli che il 20 luglio erano usciti di casa dando un bacetto alla figlia quindicenne e ora stavano massacrando di botte una ragazzina dell'età della loro figlia

Quelli che il 20 luglio uno-due-tre evviva Pinoscè

Quelli che il 20 luglio erano già morti a decine per mano poliziotta

Quelli che il 20 luglio non erano ancora nati

Quelli che il 20 luglio non erano mai stati vivi

Quelli che il 20 luglio non erano mai scappati

Quelli che il 20 luglio continuavano a scappare

Quelli che il 20 luglio pagavano seimila lire per una bottiglia di minerale

Quelli che il 20 luglio andavano in macelleria a comprare mezzo chilo di macinata per fare il ragù

Quelli che il 20 luglio andavano in macelleria a produrre quintali di macinata per fare i servi

Quelli che il 20 luglio erano stati promossi

Quelli che il 20 luglio sapevano già che li avrebbero promossi

Quelli che il 20 luglio faceva caldo e la macchina sembrava proprio bruciare

Quelli che il 20 luglio in via del Campo constatavano che c'era un'inferriata che non lasciava passare né occhi grandi né illusi

Quelli che il 20 luglio erano stati invitati alla grande festa in mondovisione

Quelli che il 20 luglio l'odio, hate, la haine

Quelli che il 20 luglio credevano che mai in Italia

Quelli che il 20 luglio, sì magari anche quel 20 di luglio, compravano una casa senza sapere da chi

Quelli che il 20 luglio stavano per fare una zona rossa

Quelli che il 20 luglio ricaricavano l'estintore

Quelli che il 20 luglio ricaricavano l'arma automatica

Quelli che il 20 luglio seguivano le dirette perché la tv racconta le storie

Quelli che il 20 luglio firmavano il contratto che li legava per tre anni alla Pro Vercelli

Quelli che il 20 luglio stappavano le bottiglie perché erano tornati

Quelli che il 20 luglio s'innamoravano perdendo, inseguiti, documenti e soldi

Quelli che il 20 luglio finiva ogni cosa e cominciava il nulla

Quelli che il 20 luglio non gliene fregava niente di finire sulle targhe stradali

Quelli che il 20 luglio mattina erano ancora ragazzi , e che a sera sarebbero stati simboli

Quelli che il 20 luglio telefonavano ai giornali dicendo uno a zero

Quelli che il 20 luglio sono morti, e non è stato soltanto uno

Quelli che il 20 luglio erano ancora Marcello a Livorno e Stefano a Roma

Quelli che il 20 luglio è diventato un anniversario, quasi un compleanno

Quelli che il 20 luglio si ritrovano, ma sono sempre di meno

Quelli che un 20 luglio non si ritroveranno più

Quelli che il 20 luglio ne hanno approfittato per informarsi sul pericoloso sovversivo Gaetano Alimonda

Quelli che il 20 luglio hanno scritto decine di canzoni

Quelli che il 20 luglio ne aspettano un altro

Quelli che il 20 luglio sono morti per cause naturali

Quelli che il 20 luglio sono morti per cause altrettanto naturali

Quelli che il 20 luglio hanno ingoiato l'amaro Giuliani

Quelli che il 20 luglio Pinelli è rimbalzato a Genova, cercava dello scotch per riparare a un torto

Quelli che il 20 luglio più dicono di ricordarlo, e più se ne dimenticano

Quelli che il 20 luglio si sono rifugiati altrove, nello spazio e nel tempo

Quelli che il 20 luglio non hanno ancora trovato dove rifugiarsi

Quelli che il 20 luglio non si vogliono rifugiare

Quelli che il 20 luglio si sono arresi

Quelli che il 20 luglio credono nella giustizia

Quelli che il 20 luglio sono stati giustiziati

Quelli che il 20 luglio si sono immersi sperando, forse, di riemergere

Quelli che il 20 luglio stanno già volando alla resa dei conti, e loro non lo sanno, no che non lo sanno, non lo potranno mai sapere.




lunedì 19 luglio 2010

Vivere in piedi


Ora, leggendo il titolo del post (corredato dall'illustrazione dell'imperatore Ottaviano Augusto), penserete magari di accingervi a leggere una cosa importante, una dignitosissima (e assai pallosa) tiratona da blogger, un'affermazione d'immortali princìpi. Invece, la cosa è terribilmente terra-terra e dev'essere presa nel senso letterale del termine. Da tre giorni ho una crisi terrificante di dolori cervicali che mi impedisce di coricarmi e mi crea difficoltà estreme anche nello stare seduto. Senza un minutino di tregua che sia uno. Praticamente non dormo da tre giorni, a parte qualche pausa da sfinimento. L'unico sollievo consiste nel restare in piedi.

La scorsa notte, spinto dal dovere e anche dal fatto che, tanto, non avrei dormito, mi sono recato al turno notturno. Il problema è che, generalmente, non si può guidare da ritti; e allora, come il protagonista del Corvo di Edgar Allan Poe, ho assaporato il dolore quasi fosse un vino buono (mettiamo una botte di Amontillado, tanto per restare su Poe e anche su un vecchio fumetto dello Zio Tibia). Poco dopo l'arrivo in centrale, ci hanno chiamati per un classico dell'estate: la vecchietta che non respira. Le vecchiette non respirano mai di notte, e ci credo: anche con quaranta gradi tengono tutto tangato perché hanno freddo, e si entra in certe case le cui finestre non sono state più aperte dai tempi della guerra franco-prussiana. Ovviamente la vecchietta è arzillissima, respira assai meglio dei disgraziati soccorritori asfissiati, satura a 99 e ha soltanto voglia di rompere i coglioni; ma ha novant'anni e bisogna, visto che lo desidera fortemente, portarla all'ospedale. Ché di morire non ce ne ha la benché mimima voglia.

All'ospedale di Ponte a Niccheri, ieri notte, hanno visto una scena che si ricorderanno a lungo. La vecchietta in barella, quella che non respirava, che berciava non si sa cosa con una riserva di fiato quasi inesauribile; ed un soccorritore inteccherito, sofferente, sul punto di dare forfait. Risultato: la soccorsa dimessa all'istante dopo una visitina, e il soccorritore in sala triage a codice verde. Ero io. Mi hanno dato una prognosi di sette giorni, ordinandomi di tornare e casa e di non provare a guidare nemmeno un monopattino. Una brutta infiammazione non muscolare, ma nervosa: si chiama radicolopatia cervicale, ma con un elementare cambio di lettera l'ho subito ribattezzata ridicolopatia. E, in effetti, mi sta costringendo a vivere in modo piuttosto ridicolo.

Innanzitutto, una barcata di soldi spesi in medicinali, dal Lixidol al Sirdalud Tizanidina (31 euro!) passando per un fantasmagorico Olio di Foucaud, detto anche Olio del Legionario. Qua e là anche il classico nimesulide e la pomata Muscoril per traumi, che è più forte. Ma sarebbe nulla, questo; il fatto è che stare a sedere mi fa male, stare sdraiato mi fa peggio, e oramai sono arrivato alla decisione (questa sì, mehercle, da antico romano!) di andare avanti fin quando non cascherò per terra vinto dalla stanchezza. Altro non c'è da fare. Bisogna che campi in piedi, perché in piedi è l'unica posizione in cui sto meglio; e mi sono dovuto attrezzare.

In fondo, ogni cosa -anche la più sgradevole- può essere resa interessante e nuova. Oh, in fin dei conti per giornate intere in piedi non ci ero mai campato e, credetemi, cambiano le prospettive se si vuole andare avanti in mezzo al dolore che non passa. C'è pur sempre una vita quotidiana. Questo post, ad esempio. Per scriverlo, bisogna che batta sulla tastiera del computer. Ho preso quindi il portatile e lo ho sistemato in cima ad una pila di dizionari formati dai ponderosi quattro volumi dello Olasz-Magyar és Magyar-Olasz Szótár (Vocabolario italiano-ungherese e ungherese-italiano) di Eugenio Koltay-Kastner e Gyula Herczeg. In questo modo posso scrivere in piedi, proprio come Fernando Pessoa nella sua giornata trionfale in cui scrisse tutto il canzoniere di Alberto Caeiro. Giro di continuo per la casa facendoci quasi il solco e fumando come una ciminiera; bevo acqua minerale perché, con la robina che mi tocca prendere, non potrei permettermi nemmeno un rosolio. Intanto quella maledetta cervicale si espande, è in corso una specie di battaglia della Marna all'altezza dell'avambraccio sinistro e non è escluso di vederci prima o poi pure qualche tassì (e se non cogliete il riferimento, studiate la storia, cialtroni). Vivo in piedi, in questo 19 luglio in cui si commemorano bombardamenti e attentati; speriamo che 'sto Lixidol funzioni, e nel frattempo ho assunto una quantità tale di Olio del Legionario da farmi considerare l'idea di arruolarmi.

Ma poi, in fondo, la cosa che funzionerà di più sarà del tutto a gratis. Non ha bisogno di nessuna farmacia. Si chiama non pigliare il dolore sul serio, e anzi prenderlo discretamente per i fondelli. Oltretutto, 'sta ridicolopatia potrà servire da utile allenamento se e quando avrò da affrontare cose ben più gravi. Ci sarà, magari, da vivere in piedi per davvero, un giorno; e mi preparo a modo mio.


domenica 18 luglio 2010

Per chi parte e per chi resta



La canzone dice così:

Felice chi, come Ulisse
ha fatto un bel viaggio.
Felice chi, come Ulisse
ha visto cento paesaggi
e poi ha ritrovato
dopo tante traversate
il paese degli anni verdi.

Una mattina presto d'estate
quando il sole vi canta nel cuore,
quant'è bella la libertà!
La libertà.
Quando si sta meglio qui che altrove
quando un amico rende felici
quant'è bella la libertà!
La libertà.

Con il sole e con il vento,
con la pioggia e col bel tempo
si viveva proprio contenti
il mio cavallo, la mia Provenza e me,
il mio cavallo, la mia Provenza e me.

Felice chi, come Ulisse
ha fatto un bel viaggio.
Felice chi, come Ulisse
ha visto cento paesaggi
e poi ha ritrovato
dopo tante traversate
il paese degli anni verdi.

Una mattina presto d'estate
quando il sole vi canta nel cuore,
quant'è bella la libertà!
La libertà.
Quando son finite le sventure,
quando un amico vi asciuga il pianto
quant'è bella la libertà!
La libertà.

Battuti dal sole e dal vento,
perduti in mezzo agli stagni
si vivrà proprio contenti
il mio cavallo, la mia Camargue e me,
il mio cavallo, la mia Camargue e me.

Sebbene sia cantata da Georges Brassens, non la ha scritta lui. Un po' è un'antica poesia di Joachim Du Bellay, che la scrisse nel 1510. Un po' è il testo che un regista cinematografico, Pierre Colpi, scrisse per la colonna sonora di un suo film del 1969, che si intitola come la canzone: Heureux qui comme Ulysse. L'antico poeta pensava all'Ulisse dell'Odissea, Pierre Colpi ad un vecchio cavallo di nome Ulisse. Il suo film è la storia di due vecchi amici: un uomo e un cavallo. Fu l'ultimo film interpretato da Fernandel prima di morire.

La vorrei dedicare a una persona che sta partendo, forse per sempre. E gli vorrei dire che non è una dedica che significa particolarmente "buona fortuna", "buon viaggio", "vivi felice" e "mi mancherai"; al tempo stesso, però, significa anche tutte queste cose assieme, ed altre ancora che lascio, se vorrà, alla sua immaginazione. Non è neppure un volergli dare un arrivederci, quel posto che De André voleva raggiungere in una sua canzone: il fatto si stia parlando di un ritorno dev'essere inteso nel senso meno appariscente e più profondo. Può essere che il luogo verso il quale si sta partendo sia in realtà un ritorno, ai propri sogni e alle proprie speranze. Il "paese dei verdi anni" può essere stato quello di un sogno, e partire può voler dire finalmente tornarci. Tutte le strade sono aperte.

La vorrei dedicare anche a chi resta. Non c'è, e non ci deve essere, nessuna vergogna nel decidere di restare, che si sia o meno legati a qualcuno o a qualcosa. I cento paesaggi sono anche fuori appena l'uscio di casa. La storia passa con le sue figure, sovente squallide. I paesaggi, e anche più di cento, ce li abbiamo dentro di noi; e si vive cercando di coglierli. Tutti. E così si parte continuamente, e si torna, e si riparte, e si ritorna fino all'ultimo. In qualsiasi parte di questo mondo, che non è necessariamente migliore o peggiore. Ma sono tutte questioni a cui ognuno ha la sua risposta; e allora, un leb' wohl a chi parte, un mazal tov a chi resta, e i ricordi, quelli, sono sempre lì.

martedì 13 luglio 2010

Asfalto


Oggi ho asfaltato, da solo, una strada.

Sono arrivato a casa, verso le cinque del pomeriggio, sfinito. Il brutto è che, a volte, verso le tre quando c'è da ripartire per il giro pomeridiano, mi tocca andarmi a bere una Red Bull. La Red Bull è una delle cose più schifose che si possano immaginare; sa di bubble gum andato a male con le bollicine, e perdipiù mi fanno ribrezzo i sapori esageratamente dolciastri. Però, se c'è da stare svegli per forza, accidenti a lei se funziona. Mi accompagna un ragazzo taciturno e timido, che però è un asso nell'agganciare le carrozzine dei disabili ai supporti. Crederete magari che sia facile; se lo credete, un giorno o l'altro ve lo faccio fare. Se ne riparla alla quindicesima bestemmia che sparate con quegli arnesi che non si agganciano nemmeno a pigiarli.

Poi, terminato tutto, via verso gli antipodi. Brucia l'asfalto, fa la fata morgana; e hai voglia a fare i percorsi alternativi. La zona a traffico limitato del centro è invasa dai turisti, mentre ti comincia a far male il piede destro dopo tutta una giornata di guida. Come se non bastasse, in via dei Bardi ecco il quotidiano incontro col Florence Open Tour, il mastodontico autobus turistico di linea urbana. Procede, forzatamente, a dieci all'ora. Sul tetto aperto, giapponesi stravolti, australiani vestiti da tennis, tedeschi con la birra, famigliuole incazzate di Cesano Maderno. Non si ferma, stavolta, nemmeno in piazza del Carmine, l'unico punto dove è possibile superare quel maledetto bestione; la piazza è un parcheggio davanti a Masaccio. Il piede destro fa sempre più male e sta addivenendo al crampo; una volta mi è toccato fermarmi per fare stretching, con un vigile urbano che, gentilissimo, si informava se stavo bene e se avevo bisogno del 118. Mi prese una convulsione di risate con le lacrime agli occhi per il dolore.

A casa, finalmente. Mi tolgo di dosso la divisa intrisa di sudore. Nudo, mi butto sul letto; e mi addormento in cinque secondi. La scena è chiarissima, una strada non battuta di periferia; non c'è nessuno e la sto asfaltando.

Mi metto prima, cantando qualcosa, a manovrare l'enorme mecchinario che asporta la pavimentazione precedente. Sulla fiancata ha una scritta, Gestirn; una volta sveglio, mi ricordo o rendo conto che, in tedesco, significa "Costellazione". Dal retro del macchinario viene sputato il vecchio asfalto, quasi liquefatto; rumore infernale nel deserto del sogno. Sole implacabile, e scendo per montare su un vecchio camion rosso. Tre secondi dopo, ma i secondi dei sogni sono universi, sono su un rullo compressore, sempre cantando a squarciagola No More Songs di Phil Ochs.


Fumo e odore. Allucinazioni mentre il rullo procede e compatta. A metà del lavoro scendo per fumarmi una sigaretta, cercando un filo di vento che non c'è. Attorno a me, macchine ferme. È tutto fermo. Poi rimonto sul rullo in un baccano assordante; e mi sveglio sudato e non pronto a riconoscere immediatamente che sono sul letto di casa mia. Intontito guardo l'orologio; sono le sei e mezzo. Dov'ero? E cos'è un sogno? C'è un altro me stesso, da qualche parte del nonfinito, che sta lavorando? Sfinito, a sera, si sarà buttato sul letto da solo sognandomi, estraneo e fratello? Ché siamo, tutti quanti, una Costellazione. Gestirn. E un rullo compressore, e una strada sotto il sole, e asfalto rovente.


domenica 11 luglio 2010

Ragazzina, non hai scampo. O forse sì.



Ragazzina, non hai scampo. Specialmente se il destino ti ha fatta nascere in un paese chiamato "Italia"; non che altrove te la passi meglio, però qui, per te, sta cominciando ad essere qualcosa di molto simile all'inferno.

Hai sedici anni. Da quando sei una bambina piccola, addirittura una neonata, non sei un essere umano ma un target da una parte, e un oggetto dall'altra. Ti sbattono sui manifesti, sui giornali e in tv per far vendere. Poi ti obbligano a comprare. Compravendita. L'anno prima ti dicono che a otto anni e mezzo devi portare per forza i jeans a vita bassa; quello dopo li devi portare a vita alta. Ti scelgono i colori. Scelgono per te tutto quanto, come se non bastasse la tua famiglia.

Ma cosa importa: arriva, prima o poi, il tempo dell'amore. Ah, l'amore. Nel Paese dell'Amore, poi, è ancora più amore. I sogni, la luna, i primi baci, le prime coltellate. Ti innamori del coetaneo e subito, zac, ti allucchetta. Sei sua, ovviamente per sempre. E se non ti va più di essere sua per sempre? Eh, ti tocca rassegnarti. O tenta di ammazzarti, riuscendoci non di rado; oppure il mondo gli crolla addosso e si ammazza per sé, lasciandoti con la convinzione di essere brutta, sporca, cattiva, assassina. Perché hai osato rifiutare il suo amore puro e eterno. Quello dei filmoni e dei librini. Quello di Twilight e di Moccia.

Ma, magari, dei coetanei non te ne importa. Decidi, giunta la cosiddetta età del consenso, di provare con uno più grande, magari uno di trent'anni e rotti, di buona famiglia, bravo ragazzo, persino appena laureato. E lui che fa? Prova a indovinare: zac, ti allucchetta. Sei sua, e per sempre. Va da sé. Lui è grande, è un uomo. Ti deve difendere e si è ben attrezzato per la bisogna: pistole e fucili a pompa. Ti deve difendere dai rumeni, come diceva appunto un trentunenne di Mestre. I rumeni sono dei mostri e stuprano, e allora è necessario armarsi per difendere la povera, indifesa sedicenne tanto amata. La quale, un bel giorno, si stufa; ma non c'è nessuno, allora, che la difende dal difensore. Lui prende la sua pistola antirumeni e, una torrida domenica di luglio, la scarica su di te mentre sei in bicicletta. Poi, si ammazza. Titoloni. "Omicidio passionale", "Ex fidanzati". Lenzuoli bianchi dai quali spuntano, ragazzina, i tuoi piedini con le scarpine alla moda. Poco dopo la fine della scuola, quando avevi voglia di mandare affanculo quel demente di bravo giovane che, nella sua mente, ti vedeva già in forma di cagafigli dell'operoso Nordest. Vacanze in vista. E invece, all'improvviso, il buio. Dal Liceo Scientifico alla Polizia Scientifica. A te faranno l'applauso quando la tua bara uscirà dalla chiesetta, mentre in un'altra chiesetta un altro prete invocherà il perdono per il tuo assassino.

Allora scendono in campo gli esperti, visto che oramai del genocidio quotidiano delle donne se ne sono accorti tutti. Sul Quotidiano Nazionale, ad esempio, ci hanno gli esperti fissi: se c'è da sparare cazzate sulla politica internazionale c'è tale Luttwak, mentre al costume e dintorni (perché, si sa, il femminicidio è un fatto di costume) ci pensa sempre una tale Vera Slepoj (cognome che in russo vuol dire "cieco") la quale, proprio oggi, prendendo spunto dal fatto di Mestre (come se non ne accadessero tutti i giorni!) non perde occasione, tra le altre cose, per dire che il femminismo ha fallito perché voleva ribaltare i ruoli, ed anche che un bel po' di colpa è delle ragazzine che prendono, usano e mollano il povero maschietto spaesato. Il quale spara alle figlie, massacra le mamme, accoltella le nonne in una escalation di spaesamento e di crisi di ruolo.

Eh sì, i media hanno scoperto il femminicidio. Roba da prima pagina. Infatti, rimanendo sempre nel Quotidiano Nazionale, di cui fa parte anche la Nazione di Firenze (e sul quale scrive, toh, Massimo Fini!), si noti il grazïoso contrastino tra la notizia sulla violenza sulle donne e le fotine a destra (cliccare sull'immagine per ingrandire):


Violenza a sinistra, e tette a destra. Coltellate del marito a sinistra, e culi a destra. Prognosi riservate a sinistra, e corpo femminile mercificato a destra. Salvo poi dare la parola all'esperto. Intanto, ragazzina, continuano ad ammazzarti, e questa è l'unica vera passione che hanno. Ammazzano te e tua madre. A volte vi ammazzano insieme. No, non hai proprio scampo in questo paese. O forse sì.

Magari, vicino a te, ci sono altre ragazze della tua età. Oppure anche di età differente. Magari se ne fregano del giudizio dell'esperto che decreta il "fallimento del femminismo". Magari lottano, in ogni modo che possono. Magari se la devono vedere quotidianamente con una massa di stronzi; ma non mollano. E non molleranno. Magari hanno vissuto sulla loro pelle violenze, soprusi e passioni calibro 9 o ben affilate. Magari ti basta fare poca strada. Magari c'è pure Internet, che non è soltanto la merda di Facebook o roba del genere. Prendi in considerazione di rivolgerti a queste compagne, a queste amiche, a queste sorelle. E divertiti quanto ti pare. Se uno ti propone il lucchetto, munisciti di tronchesi. Se scopri che ti vuole difendere dai rumeni, digli che ora come ora bisogna difendersi dagli italiani. Perché sono loro che ti ammazzano.

mercoledì 7 luglio 2010

Per i morti di Reggio Emilia, e non solo.


Compagno cittadino,
fratello Aquilano
prendiamoci per mano
in questi giorni tristi
e come a Reggio Emilia
e ad Avola in Sicilia
bastonano gli sbirri,
quei porci di fascisti.
E oggi come un tempo
sopra l'Italia intera
i manganelli e clima da galera.

A diciannove anni
è morto Ovidio Franchi
e avevano vent'anni
anche quegli studenti
che in mezzo al loro sonno
son morti come topi
per i palazzinari
schifosi delinquenti.
Tutti morti a vent'anni
e senza più un domani,
morti per il denaro dei caimani.

Lauro Farioli è morto
come Carlo Giuliani
e in mezzo a loro il vuoto,
e in mezzo il terremoto.
E mandan questurini
di corsa a massacrare
chi vuole protestare
perché lo han preso in giro.
Sangue sopra altro sangue
per mano di quei servi,
sono gli stessi dei fratelli Cervi.

E sono cinquant'anni
da Genova e da Reggio
e ancora ben di peggio
abbiamo visto dopo:
sempre col solo scopo
di opprimere la gente
che oggi non ha più niente
tranne la propria rabbia.
Uguali gli Aquilani
ai sinistrati Irpini,
merce di carne in mano agli assassini.

Compagni, è il sette luglio,
che bell'anniversario:
non è cambiato niente,
massacrano la gente.
Dovremmo tutti quanti
aver d'ora in avanti
il fine di cacciarli
ma di cacciarli tutti.
Morti del terremoto,
datela voi la scossa,
fuori con noi a cacciarli in una fossa!



martedì 6 luglio 2010

Drappelloni, Vaccini, Piattaforme


Il signore che si vede nella foto è una persona molto famosa: è il dottor Albert Bruce Sabin, lo scopritore del vaccino antipolio. Assai più prosaicamente, mi tocca qui occuparmi invece di un tizio che, ultimamente, si è fatto nominare da qualche gazzetta per aver fatto l'antipalio. Si chiama, con un nome pittoresco assai, Luciano Silighini Garagnani.

Il tizio con il nome pittoresco assai, nei giorni scorsi, ha deciso di uscire da un decoroso ed intangibile anonimato andando a rimestare, lui ligure, nientepopodimeno che nel Palio di Siena. Magari, poi, avesse fatto l'Antipalio sul serio: tanto per chiarire la cosa, il qui presente considera il Palio di Siena una ignobile stronzata degna di abolizione senza appello, vuoi per questioni prettamente animaliste, vuoi perché -da fiorentino- qualsiasi cosa che puzzi di senese gli fa venire il varicocele. E come potrebbe essere altrimenti, fra battesimi contradaioli, drappelloni tutti a base di madonne e fantini superstar che, come il famoso "Aceto", si fanno notare per il loro malcelato fascismo? Ma vaffanculo Siena, il Palio, i drappelloni, le madonne, la battaglia di Montaperti, il Monte dei Paschi e il Terzo della Robur. Ottemperato come di dovere al trucidissimo campanilismo toscano, torniamo a bomba.

Il Silighini Luciano ne' Garagnani, come si può leggere ancora qua, ce l'ha con le madonne dipinte sul drappellone da pittori 'slamici. E fin qui, il tutto potrebbe essere ancora risolto con un meraviglioso e chi se ne frega. Tipi come questi, oramai, trovano la loro più giusta collocazione nella rubrica Strano ma vero della "Settimana Enigmistica", in mezzo al Quesito con la Susi e all'ispettore Varga; puro folklore. Il Garagnini Siligani, o come si chiama, non deve aver trovato evidentemente altro modo per far parlare un po' di sé; un misto di Forza Nuova e Forza Italia, magari sarà di Forza Nuova Italia e così lo si potrebbe anche scambiare per un fan di una nota e benemerita casa editrice di testi scolastici.

Nell'attesa, magari neanche eccessivamente lunga, di ritrovarcelo a fare comizi dal balconcino, il Siligara Ghinignani, non pago della più totale indifferenza dei senesi (peraltro fave a prescindere), se la prende con chi ha osato meleggiarlo a non finire per la sua impareggiabile "presa di posizione" sul drappellone "islamico" dipinto da un pittore libanese per la Carriera di Provenzano (così, mi dicono, si chiama il Palio del 2 luglio; un nome neanche vagamente inquietante, sembra il cursus honorum di un capomafia). L'articolo linkato poco sopra era stato originariamente scritto e postato da Kelebek, ed il fatto che il link in questione rimandi ad un altro blog fa già intuire che cosa sia avvenuto. Ce lo spiega direttamente e particolareggiatamente lo stesso blogger di Kelebek, Miguel Guillermo Martínez Ball (colui che, nel 2002, prese un appartamento a Firenze appena arrivato da Marsiglia, con l'intento di distruggere la città in occasione del Social Forum), in questo articolo.

Insomma, il Silighino Garagnino non è riuscito a censurare il drappellone talebano (detto familiarmente drappellano) con la madonnazza contradajola (che fa rima con?); per rifarsi, però, fa censurare la piattaforma Splinder. All'anima! O non sono, questi qui, per la libertà di espressione? A questo punto, oserei suggerire a Garagnani Silighini Luciano di dedicarsi ad attività più fruttuose, vista la sua indubbia propensione ed abilità con nel bloccare le piattaforme. Vada nel Golfo del Messico e censuri immediatamente quella maledetta piattaforma che sta impestando di petrolio oramai mezzo mondo, senza che nessuno riesca a fermarla. Qualcuno gli dica che il petrolio è di per sé islamico, che la falla è a forma di mezzaluna, che è in atto uno scontro di civiltà tra gli idrocarburi infedeli e la Corrente del Golfo giudaicocristiana, e vedrete che riuscirà ad arrivare dove né la BP e né Obama sono arrivati. E il mondo gliene sarebbe grato.

Dopodiché, potrebbe sempre andarsi a riposare sempre in Toscana, ma non a Siena. Potrebbe andare a Viareggio, al beach club "Twiga" (che fa rima con?), i cui soci sono addirittura Marcello Lippi, Daniela Santanché* e Paolo Brosio (quello fulminato sulla via di Medjugorje). Un terzetto del genere ha bisogno di un Silighini Garagnani. La civiltà occidentale lo esige.

* detta "Dany Holy Also Is".




giovedì 1 luglio 2010

'Ello Hitty


Mi piace stare in coda alla cassa dei supermercati. Sostengo che la fila alla cassa è un osservatorio meraviglioso sul proprio quartiere, e quindi sul mondo intero. Poi, non so come dire, alla cassa me ne succede sempre qualcuna; sarà anche per il mio aspetto, per le magliette strane che ho sempre addosso (oggi ne avevo una degli indipendentisti bretoni), per i piedi spropositati, per la coda di cavallo. Chissà.

Poco fa, ad esempio. Ero in coda alla cassa di un discount vicino a casa mia, lo stesso dove qualche tempo fa un dipendente italiano quarantenne & padredifamiglia che si era intelligentemente ridotto sul lastrico per giocare a i' videopòher non aveva trovato di meglio che ammazzare come una bestia la direttrice che lo aveva sorpreso a rubare 4000 euro. Un sistema veramente geniale per spezzare per l'ennesima volta la vita di una donna, e per finire all'ergastolo.

Alla cassa c'erano due donne e una bambina di quattro o cinque anni. Tutte e tre rumene. Tre generazioni: la nonna, la mamma e la bimba. Parlavano fitte nella loro lingua, che capisco piuttosto bene; e parlavano di cose di tutti i giorni, del marito che non era ancora tornato dal lavoro, di quel che c'era stasera alla televisione. Guardavo specialmente la donna anziana, pensando ad una comune vita pazzesca. Settant'anni o giù di lì. Ceausescu, l'emigrazione, il trasferirsi in un paese straniero e anche ostile; e quella parlava di televisione, tranquilla, con in mano un pacco di rotoli di carta igienica. La mamma della bambina un po' parlava con la madre, e un po' teneva a bada la figlia coi capelli nerissimi a caschetto e un broncio da fare paura. Gliene importava una sega a lei del babbo che non era ancora tornato e della televisione. Si sentiva che lo scoppio era nell'aria.

Detto fatto. La bimba comincia a fare un capriccio galattico. Strilli che si sentono nel raggio di cento metri, piedini sbattuti per terra, botte alla mamma fin dove arrivava quel soldino di cacio. L'oggetto del contendere è un pacchetto di caramelle con l'immagine di Hello Kitty. La mamma, eroica, resiste per far valere la sua autorità parentale; mentre la nonna, come tutte le nonne, cerca di convincerla a comprare le caramelle hellokittate alla nipotina. Nulla da fare. Non ha da essere. È in quel momento che la bimba si volta verso uno strano essere subito là dietro, con addosso una maglietta in bretone, in pantaloncini corti e la coda di cavallo. Mi guarda.

A questo punto bisogna che le dica qualcosa. Penso: beh, bisogna che glielo dica in rumeno, sennò magari non capisce bene. Fo una faccia che più a bischero non si può, e le dico: ce vrei sa ti cumpare mama, micuta? Che vuoi che ti compri la mamma, piccolina? Si ferma. Assume una posa da teppistina con uno sguardo determinato, con una manina su un fianco e battendo un piede per terra. E mi risponde, in puro fiorentino con venature dialettali legnaiesi-isolottine: 'E voglio le 'haramelle 'olla 'Ello Hitty, oh, che me le 'hompri teeee....?

Non faccio storie. Esco dalla fila con piglio marziale, vo allo scaffale delle caramelle e prendo un pacchetto di quelle caramelle con la gattina giapponese. Torno alla fila, e pago. Nel frattempo, la mamma e la nonna si stanno sbellicando dalle risate, e assieme a loro tutti gli altri clienti e la cassiera. Mi ringraziano, mezzo in rumeno e mezzo in italiano, mentre la bimba se ne frega di tutto e di tutti e esce dal discount col suo pacchetto di caramelle con la 'Ello Hitty, così duramente guadagnato. Un'altra signora anziana in coda commenta: Certo che coi bimbi non c'è nulla da fare, e sorride.

Ho capito allora, ed è stato un gran bel capire, che non ce la faranno mai. Mi riferisco a: razzisti, identitaristi, propagatori di paura, pennaioli e altri tipi di servi del genere. Tanto varrebbe che si arrendessero senza combattere, poveri piccoli stronzi. Non ce la faranno mai perché hanno dei nemici invincibili: Hello Kitty e i bambini.