venerdì 5 febbraio 2010

Certificato di morte


L'ha detto La Repubblica, e se lo dice lei, specialmente per festeggiare nientemeno che i 6 anni di Facebook, ditemi voi come sarebbe possibile anche accennare la benché minima obiezione. Dunque, care bloggeresse, cari blogger: da oggi tutti noi siamo ufficialmente sbaragliati. Obsoleti. Relitti del passato. Destinati a scomparire sotto le bordate di quello che oramai non viene chiamato neanche più "Social Network", ma addirittura Il quarto stato del mondo (a me questa espressione suona abbastanza sinistra: ricorda da vicino un certo Quarto esercito del mondo, ma oramai dev'essere preistoria). Addirittura, nel giorno del suo sesto genetliaco (per FB non si può più usare il volgare termine "compleanno": bisogna ricorrere oramai a quello "elevato" che si usa per i sovrani), il Quarto Stato del Mondo si rifà il look, pronto per altri 400 milioni di iscritti. Arriverà il momento in cui la geniale intuizione di Zuckerberg conquisterà tutti gli abitanti del pianeta: addio Cina, addio India, addio ogni cosa. Ne resteranno fuori pochi irriducibili, considerati probabilmente un po' folkloristici e un po' innocui, e magari da conservare come specie protetta in via di estinzione. Continueranno a mandare avanti i loro dimenticati blogghini, e la stessa parola si perderà nel dimenticatoio.

Quindi, cari e care bloggers, ci è stato ufficialmente pubblicato il certificato di morte. Però, accidenti, finché possiamo (anzi: finché esistiamo) abbiamo un preciso dovere: quello di vendere cara la pelle. Prima di soccombere al fato ineluttabile (anzi: alla Mailing list con qualche gadget in più, secondo l'indimenticabile definizione di chi, a differenza mia, è sempre al passo coi tempi), ci resta ancora qualche spicciolo da spendere. Del resto, a mo' di piccola consolazione, lo stesso articolo di Facepubblica riporta che il geniale signor Montedizucchero ha affidato l'annuncio del restyling della sua creatura ad un blog. Oh bella. Ma vabbè, sarà una specie di "onore delle armi", quella perfidia inventata dagli inglesi per pigliare ancor di più per i fondelli gli sconfitti, e farli sentire ancora più sconfitti, facendo finta di "onorarli" e di "riconoscere il loro valore".



Bene. Prendiamone atto. Ne prendo atto, e passo qui alla prima persona singolare: non posso certamente arrogarmi il diritto di parlare a nome di altri. Sono peraltro ben conscio del fatto che molti di voi, cari bloggers, avete anche la vostra bella paginetta Facebook, magari con tanto di relativo profilo proprio sul blogghetto; insomma, giù, prima o poi vi stuferete di essere costretti a pensare ogni giorno o quasi che cosa scrivere su quella pagina bianca, quando invece FB vi permette di scambiare, interagire, esprimere, manifestare, esporvi, raggrupparvi eccetera, per di più con un battage pubblicitario planetario. Tutti là, con la vostra bella faccina (o con qualcosa che comunque ne riassume i caratteri "ideali"), col vostro nome -vero o finto che sia-, con le vostre belle storie offerte "in tempo reale", con quel che vi piace, con quel che non vi piace, con le vostre magnifiche condivisioni, coi vostri eroici codici, con le canzoni che vi fanno battere el corazón, ed anche -va da sé- con milioni di trombate che verranno (e sono già state) consumate grazie a FB. E, ovviamente, absit iniuria verbo: si trombava sui newsgroup, si trombava sulle mailing list, si trombava su Pow Wow e su ICQ, su MSN Messenger, si tromba tuttora sui blog, e figuriamoci quindi se non si tromba e si tromberà su Facebook.

Ma poiché a me dell' "onore delle armi" non me ne frega un cazzo, e detesto qualsiasi "zuccherino" che mi viene ammannito per rendere meno amara la (peraltro ovvia e certa) sconfitta, vorrei in articulo mortis dire che cos'è per me un blog, che cosa è stato e, almeno fin quando non resteremo in quattro dementi con il tagghino "Facebook? No Grazie!" rinchiusi nel Bloggassic Park.

Un blog è, o era, trovarsi più o meno quotidianamente a confronto con il proprio pensiero, cercando di vincere il timore dell'inadeguatezza. Un blog significa(va) non avere nessuna preoccupazione di "interagire", ma soltanto di esprimere. E sempre a disposizione di tutti, senza obbligare o forzare nessuno ad "entrare", al "dai vieni anche tu fra i Ringo Boys". Mi spiego meglio. Quel che state leggendo ora, fra pochi minuti verrà catturato da Google, da Technorati, da ogni altro motore di ricerca. Sarà disponibile in Rete senza nessuna mediazione. Lo stesso vale per i vecchi e defunti newsgroups e forum.

Mi dicono che anche FB, fra i suoi infiniti gadgets, offre il blog, ovvero la pagina bianca dove scrivere quel che si vuole. Però, per leggere, è necessario prima iscriversi a Facebook. Io, che non vi sono iscritto, non posso leggere quel che hai scritto. Se voglio farlo, bisogna che mi crei un account: era lo stesso limite delle mailing list (quelle con qualche gadget in meno, insomma). Come dire: bene, caro, cara mia, ci avremmo tante belle cosine ma prima occorre che tu entri nel nostro magico mondo. E se non ci vuoi entrare, pazienza. Tanto, prima o poi, cederai. Come puoi pensare, illuso, di riuscire a starne fuori? Non senti la curiosità che attanaglia? Dai, prova! Al limite fatti un account farlocco! Non sai che, in questo preciso momento, si sta parlando anche di te? Ti si sta elogiando, amando, odiando, blandendo, insultando, prendendo per il culo, compatendo, nominando, e tu non lo sai.

È vero. Non lo so. Posso, al massimo, immaginarlo o intuirlo. Ma poiché, come è noto, io sono io e voi non siete un cazzo, e non siete un cazzo anche se siete tanti, anche se avete sbaragliato i blog, anche se vi siete coscientemente autoschedati in un modo che il Grande Fratello non sarebbe nemmeno riuscito a concepire (e poi, magari, ammirate tanto Orwell!), anche se siete "cittadine" e "cittadini" del "Quarto Stato del Mondo", non basteranno né i certificati di morte di Repubblica, né nient'altro, a farmi cessare di considerarvi dei poveri coglioni. Specialmente quelli del "Beh, sì, io FB ce l'ho ma dipende dall'uso che se ne faaaaaaaaaaaaaaaaa....", o del "Beeeehh, io non è che sia sfavorevole a priori, solo che non me la sentooo....però non ho niente in contrario...", o magari del "Se si è contrari a Facebook, allora si è contrari a tutta Internet" (l'identificazione oramai avvenuta!). E, come vedete, di coglioni ve lo do sul muso, senza problemi, e con indicizzazione immediata e aperta. Non dovete iscrivervi a questo blog per leggere che siete milioni di ignobili teste di cazzo. Non vi richiedo nessuna password. Se invece mi state dando, proprio ora, di coglione e di ignobile testa di cazzo sulla vostra paginetta FB con tanto di gadgets, mi toccherebbe "iscrivermi". Toh, ma bòrda in culo! Fossi matto! Ma volete mettere un bel blog, quello dove non scrivete più niente a parte mettere fotine e citazioni dai vostri Bildungsbücher o da qualche poetònzolo? Quello che oramai serve soltanto come "gadget esterno" alla vostra paginetta Facebook, per far vedere che ci siete, oh sì che ci siete, e che dovete venire lì? In un blog, quel che penso di voi, della vostra vita, delle vostre facce (a culo, mi pregio di ripeterlo) e di tutto il resto ve lo dico senza "account". Basta digitare: http://ekbloggethi.blogspot.com .

Gli "account" non esistono. "Account" è un termine di origine bancaria. Avete, infatti, messo in banca voi stessi. Vi siete rinchiusi nelle cassette di sicurezza di una specie di World Bank. Un enorme Fort Knox. Le vostre facce sono come le pubblicità delle banche, con investimenti a base di "amicizie" o presunte tali. Facebank! Qui, invece, e in tutti gli altri superstiti blog del mondo dove ancora si scrive, vige l'antico sistema del libero baratto. Se mi serve qualcosa dal blog di Tizio, me la prendo e gli offro qualcosa di mio; e viceversa. È più sociale questo blog "asociale" di tutta Facebook. Facebook non è socialità, è il suo esatto contrario. Per quanto le sue dimensioni siano oramai enormi e inarrestabili, è un lugubre repository. Parola inglese che può ben coprire le accezioni di "ricettacolo", "museo" e "cimitero". E anche sulla sua presupposta "utilità" ci sarebbe da questionare non poco. Prendiamo ad esempio il terremoto di Haiti. Ad un certo punto sembrava che si sapesse tutto soltanto grazie a Facebook (e Twitter). Sembrava che tutta Haiti, o quel che ne restava, fosse collegata al Social Network, persino da sotto le macerie. O non è il paese più povero del mondo? E dove ce li hanno tutti 'sti computer? O non c'erano le linee telefoniche e elettriche completamente saltate? Tutti con le chiavette, addirittura? Non mi torna qualcosa. Intanto, però, anche grazie a Haiti il signor Zuckerberg e la sua creatura si sono fatti un'altra bella fetta di pubblicità; e ci sarebbe da avere qualche sospetto ben preciso. Si vede oramai il mondo consegnato nelle mani di Facebook, ma quali siano, e di chi siano, esattamente queste mani dovrebbe inquietare soprattutto le menti eccelse, quelle che hanno sempre previsto il futuro, quelle cui il tempo dà ragione. Nulla da fare. Sono tutte là, come ad esempio Adriano Sofri (tanto per fare un nome a caso).

Io, invece, sono tutt'altro che una mente eccelsa. Non prevedo il futuro e il tempo si guarderà bene, almeno spero, di darmi ragione. Per questo sono inquietato, e non poco. Per questo resto ancorato al mio povero blog del cavolo, pur sbaragliato, pur sconfitto. In questo spazio trovo che sia ancora possibile respirare aria libera, e magari provare anche a farla respirare a chi vuole. E magari ancora respirare quella di altri, che a loro volta la respirano e la fanno respirare. Scrivano quel che vuole, Repubblica e tutti gli altri potentati mediatici che sono i veri artefici, con chi sta loro dietro, del pompaggio di Facebook e della riduzione dei rapporti umani ad un infinito, inutile, stupido, alienato e innocuo belante cazzeggio di pecore, e ai numeretti di quanti "amici" si hanno. Fuori dai coglioni, gli "amici".

Siamo morti? Bene. Non siete invitati al nostro funerale. Ce lo facciamo come vogliamo, e da soli. Semplicemente continuando, fino all'ultimo momento, a fare quel che abbiamo fatto, o quantomeno cercato di fare dalle nostre pagine bianche da riempire di vita. La vostra vita, quella che offrite corredata da mille e mille notiziuole, da quel che state facendo in questo momento, dai vostri "contatti", dai vostri "gruppi" e da tutto il resto genialmente inventato da Zuckerberg, puzza soltanto di cadavere. Il blog, come strumento non soltanto di libero pensiero ma di sua estensione realmente articolata, faceva paura. Doveva essere fermato. Ci ha pensato Facebook con tutti i suoi gadgets. Certi blog hanno scosso il mondo, e quando qualcosa comincia a scuotere un po' troppo esiste un'arma sempre efficace: l'idiozia vuota.