lunedì 12 ottobre 2009

Guardate bene


Guardate bene:
non ci son solo gabbiani a terra
quando un uomo si mette a pensare,
quando un uomo si mette a pensare.

Chi arriva
dorme la notte all'addiaccio sulla sabbia
dorme la notte all'addiaccio nel mare
dorme la notte all'addiaccio nel mare.

E anche se
ci fosse una piazza di gente adulta
e una statua
e una statua che brucia di febbre

C'è chi va
nella notte di pece a cercar qualcosa
e non c'è chi voglia aiutarlo
e non c'è chi voglia aiutarlo.

Guardate bene
la stanca figura di quell'uomo
dissodando i sentieri del pane
dissodando i sentieri del pane

E anche se
ci fosse una piazza di gente adulta
nessuno andrebbe a rialzarlo
nessuno andrebbe a rialzarlo

Guardate bene:
non ci son solo gabbiani a terra
quando un uomo,
quando un uomo si mette a pensare.

Chi arriva
dorme la notte all'addiaccio sulla sabbia
dorme la notte all'addiaccio nel mare
dorme la notte all'addiaccio nel mare.

Scrivere, dire e cantare sotto una dittatura, in un regime autoritario e oppressivo, non lo sappiamo che cosa sia. Noi che non abbiamo mai vissuto in una situazione del genere. Magari preferiamo storie più semplici e espresse in un linguaggio più chiaro, anche se riusciamo forse a intuire che l'oscurità delle parole era come un codice, un cifrario che era l'unico sistema per poter essere capiti. Allusioni, riferimenti, e una capacità poetica coniugata con una lotta senza compromessi e senza desiderare mai niente per sé: tutto questo è stato José “Zeca” Afonso. Mai semplice. Quasi nessuna sua canzone, quasi nessuna sua poesia possiede i crismi dell'immediatezza. Costringe a prendere i suoi testi e a scavarli in profondità a volte irraggiungibili; chiunque si sia trovato di fronte a Era um redondo vocábulo, che “Zeca” scrisse imprigionato dalla polizia politica (la famigerata PIDE), si è trovato a dover scalare un picco di significanze, senza ossigeno, a mani nude, e con pochi vestiti addosso.

Quando scrisse Vejam bem, José Afonso la intese come leitmotiv per la colonna sonora di un film amatoriale, intitolato “L'annuncio”; fu proiettato privatamente, in segreto, incompleto e senza alcun dialogo. Un uomo cerca un impiego in un ufficio, si rivolge al gestore di una ditta di lavoro di concetto, a capireparto, a capomastri. Invano! Senza un soldo, è costretto a dormire all'addiaccio e a rubare per vivere. Nel retro di un ristorante, il solo posto dove non lo vedono, divora in fretta due uova che si era infilate nella borsa, approfittando della confusione generale. Portogallo, 1968. Altrove si lottava per “cambiare il mondo”, e là si lottava per due uova, per sfuggire a una guerra coloniale, per vivere una vita degna; e la vita è degna solo quando è fatta di affermazioni.

E José Afonso invita a “guardare bene”. Invita a guardare un presente di tortura, con la “statua” della canzone che nasconde una comune e terribile forma di tortura riservata dalla PIDE agli oppositori: il detenuto doveva restare in piedi per ore e ore senza potersi mettere a sedere o appoggiarsi a qualcosa. Se si addormentava, veniva subito svegliato con dei rumori acuti e improvvisi. La vita isolata dell'oppositore, espressa con l'immagine dell'uomo torturato davanti ad altre persone senza che nessuno intervenga ad aiutarlo. La sua attività clandestina è definita come lotta per una migliore distribuzione dei beni (i “sentieri del pane”). Per quanto debole sia il sistema autoritario (la “stanca figura”), egli deve lottare da solo perché non trova chi combatta assieme a lui.

E allora, alla luce di questa canzone, di questo capolavoro assoluto, sarebbe bene che guardassimo bene anche noi, e che imparassimo, o reimparassimo, a coniugare la parola opposizione con l'attitudine a non lasciare mai solo chi combatte. A manifestargli solidarietà, ad aiutarlo, ad offrirgli da mangiare, da dormire, da nascondersi se necessario. Non viviamo sotto una dittatura dichiarata, ed è bene tenerlo sempre presente: nel Portogallo di José Afonso, la semplice scrittura di una cosa come questa avrebbe comportato la galera immediata. O la semplice scrittura di una canzone. Non è così, ma è qualcosa di ancora più subdolo. Viviamo in una società oppressiva che può benissimo lasciarci scrivere, dire e fare quel che vogliamo; basta che non andiamo a toccare certi gangli vitali. Basta che prendiamo tutto come un innocuo passatempo.

La hanno sconfitta, quella dittatura, agendo insieme. Unendo forze e non vergognandosi di farlo, senza stupidi bizantinismi travestiti da “purezze”, coagulandosi nella maestà del popolo. Potrà sembrare un'espressione pomposa, retorica, tutto quel che si vuole; poche settimane fa, però, mi sono ritrovato in un posto improbabile, isolato, in mezzo a un bosco. C'erano dei vecchi che avevano lottato, ed erano ad un'età che li preparava necessariamente a dar l'addio al mondo. Guardavano altri, molto più giovani, che senza far tanti discorsi, sarebbero stati pronti a fare quel che avevano fatto loro. Senza porsi tanti perché, senza rinunciare alle loro differenze, senza far mai sì che queste differenze facessero perdere di vista un obiettivo comune e primario.

È da allora che, quasi ogni giorno, questa Vejam bem mi frulla nella testa. Chi lascia solo chi si oppone è un complice. Non importa se si definisce un “compagno”, non importa il suo passato, vero o presupposto, non importa la sua età. Non importa niente. Chi non sarebbe disposto a muovere un dito per aiutare un compagno, aggiunge soltanto un granello alla tortura. Chi non ha più slanci, chi si pasce del suo “occhio critico”, chi riserva il suo tempo a idiozie travestite alla bell'e meglio. I suoi amori, i suoi odi e le sue indifferenze sono polvere inutile. C'è una piazza dove una statua arde di febbre, e se ne vanno a casa, magari trovando un qualche modo per dare addosso non a chi dispensa sofferenza, ma a chi soffre.

José Afonso non scriveva e cantava in inglese, ma nel durissimo portoghese lusitano. Così diverso da quello brasiliano, molle e suadente. Una lingua fatta di pietra. Fu capito, nella sua oscurità che era l'oscurità di un paese e di una società intera, da tutti. Seppe farlo. Al di fuori dal Portogallo lo conoscono in pochi o pochissimi; ed è morto, in modo terribile, soffrendo come una bestia per una malattia spaventosa. C'è chi se lo ricorda a cantare qualche volta in Italia, dopo la Rivoluzione dei Garofani, pretendendo per sé soltanto un alloggio e qualcosa da mangiare; il resto dei soldi che gli sarebbero spettati li usava per comprare trattori e attrezzatura per le comuni agricole. Aveva cantato di una contadina, Catarina Eufémia, che fu ammazzata a freddo da un poliziotto con il suo bambino di pochi mesi in braccio, quando era andata a chiedere un aumento di pochi soldi al padrone. Aveva cantato di galere e di speranze, e dei vampiri che succhiano il sangue della gente. Aveva cantato, una volta, di quando uomini senza divisa vengono a svegliarti nel cuore della notte, e ti portano via. Aveva cantato di quel che vedeva e viveva.