domenica 30 agosto 2009

Catarulli


Gechi, scientificamente Gekkonidae. All'Elba però non si chiamano per nulla “gechi”. Alcuni, pochi e confondendo, li chiamano tarantole; più comunemente, almeno nell'Elba occidentale che mi compete, si chiamano catarulli o catellùcoli. Perché l'Elba, che è in mezzo al mare, se per chiamare la spazzatura usa il ligure rumenta, se per chiamare un infingardo usa lo spagnolo malagana, per chiamare il geco usa il greco katàrgyros. Modificato quanto si vuole da secoli e secoli di muri, ma quello è. Quando, le sere nel portico, compaiono famiglie intere di gechi ad alleviarci con le loro cene da insettacci vari, non mi è mai andato di fare il didascalico, come qualcuno mi usava dire, qualcuno che francamente non ha mai capito un cazzo di me. Ho sempre, volentieri, lasciato mia zia e mia madre berciare contro i loro catarulli senza grecheggiare, specialmente mia zia che, una sera di non so quant'anni fa, se ne vide piombare uno addosso. Una cosa rarissima. Non mollano mai la presa. Quella sera, mia zia ci aveva particolarmente da rompere i coglioni contro quelle bestie straordinarie; forse una di loro decise di darle una lezione assai salutare. Fece dei salti dalla sedia, mia zia, che non so neanche dire; mezzo mondo ebbe a scompisciarsi dalle risate. Poi il catarullo, o geco che dir si voglia, scomparve. Si sarà infilato in qualche pertugio del muro per tornare poi al suo mondo alla rovescia, alle wereld sî geswigen eccetera. A proposito di didascalie: il greco κατάργυρος vuol dire “tutto d'argento”, o “tutto grigio”.

Quand'arriva l'estate, l'estate che ora se ne sta per andare in letargo pronta per essere attesa un altro autunno e un altro invernaccio, e preannunciata per un'altra primavera con le sue maledette piogge quando si vorrebbe il sole, arrivano i catarulli. Quest'estate ne ho visti di enormi e di piccolissimi; uno, minuscolo, persino dentro alla sede del 118, all'interno, smarrito che scodava. All'Elba mi sono ingegnato di fotografarne uno, vicino all'atavica lampada del portico. Ha una storia, quella lampada; quand'ero piccolo c'era un piatto di maiolica, degli stessi ch'erano dentro in casa comandati dagli interruttori a levetta coi fili intrecciati rivestiti di stoffa e non incassati nel muro. Con l'andare del tempo è stato sostituito da una plafoniera che, ora, è la tomba di mezz'etti di bestie alate. I catarulli, che a tutto resistono, arrivano a infilarcisi persino dentro; ma, più sovente, arrivate le nove di sera o le nove e mezza quando ci si stende sulle sdraie a non ottemperare al giro in paese con le sue stolide agostate e tristissime, girano intorno alla luminescenza che attira ronzii da inghiottire per una bella cena; e la zia, dopo anni d'indottrinamento magari anche con qualche affettuosa pattonata in capo se voleva far loro degli sgarbi stupidamente tradizionali delle campagne, ha finalmente capito che sono più efficaci dei puzzolenti zampironi e dell'inane citronella. Bisogna saperle gestire, le zie; si vuol loro tanto bene, e mancheranno crudelmente quando verranno chiamate nel Tartaro. Però , finché son vive e imperversano, una bella zuppa tirata bene fra capo e collo sortisce effetti immediati e definitivi. Come si tirano benevolmente sberle ai bambini piccoli, bisogna avere a volte il coraggio di tirarle agli ottantenni, senza far male ma con decisione, rispetto e occhi semichiusi a merdasecca. In questo paese di vecchi rompicazzo servirebbero alquanto, quotidianamente. Tirarne qualcuna al bavoso securitario o a quello che prende a fucilate i ragazzini che giocano al pallone, o persino a Napolitano quando patriotteggia serafico in mezzo alla merda che è diventata l'Italia. Sbàmm!

Così, i catarulli pasteggiano a strippapelle e poi se ne vanno a fare le loro faccende. Dormire, infilando le loro interazioni di van der Waals in quale muraccio o sottotetto che van der Waals non deve avere mai visto. Del resto, cazzo volete che abbia visto di catarulli o gechi il signor Johannes Diderik van der Waals. In Olanda. Mira mira l'olandesina. Lui avrà studiato le interazioni, ma i catarulli esistono prima di loro, e di lui.

Camminiamo tornando quieti per una strada che fu buia e sterrrata, e che vide cadute nei fossi per primi amori delusi e sbronze con amici d'adolescenza, al Crino, persi nelle nebbie del tempo ma non in quelle del ricordo. Una lampada, e due o tre gechi, catarulli, catellùcoli, katargyroi, che quasi danzano o così ci sembra. Stelle che si muovono, lune che impazzano nell'indaco scuro. A volte, sebbene raramente, lanciano dei fischi e, chissà, obbediscono a gerarchie che ci sono ignote. Dal loro mondo alla rovescia può essere che ci osservino, a alla rovescia siamo noi. Il loro Van der Waals studierà come diavolo facciamo a aderire a quelle strisce d'asfalto o di pietrisco. Poi arriva l'inverno che comanderebbe il sonno; noi, invece, vegliamo. Stiamo svegli fino al primo giorno in cui, su un muro o su un soffitto, non ne vediamo uno; e dura sempre poco. Troppo poco, come la lampada accesa nel portico, come la vita che è una lampada accesa nel portico del senza fine.

martedì 25 agosto 2009

Svastichella



La notizia di oggi è che, a Roma, hanno portato in galera Svastichella. Così, sembra, è soprannominato il tizio che, qualche sera fa, ha aggredito due ragazzi a bottigliate, ferendone uno gravemente. Due ragazzi che si baciavano. A me, devo dire, non va nemmeno di definire qualcuno in base a chi bacia. Non me ne importa nulla se si tratta di due ragazzi, di un ragazzo e di una ragazza, di due ragazze o di due coleotteri. Ho visto, una volta in un giardino, un tartarugo che faceva l'amore con un sasso. Non mi piace usare parole che sono sempre gabbie. "Omosessuale", "gay" o quel che si vuole. Definire quel che dovrebbe essere soltanto un'espressione di libertà elementare è già cominciare a negarla. È già stabilire una norma. Svastichella ha agito in un ghetto. Si chiama Gay Village, e gli stessi frequentatori ammettono oramai di sentirsi "sicuri" soltanto là. Esattamente come gli ebrei di uno shtetl della Volinia prima che una miriade di svastichelle li cancellassero dalla faccia della terra. Al di là dalla galera che ora gli viene comminata, è interessante vedere come si sono svolti i fatti. Due ragazzi si baciano. Arriva lo Svastichella, superòmo maschio romano der dumilanove, e ingiunge loro di smettere perché ce stanno du' regazzini de quattordicianni che guàrdeno. Al che, uno dei due ragazzi poi aggrediti gli risponde che a quell'ora (sono circa le 4 del mattino) i ragazzini dovrebbero stare a letto. Parte la furia. Sangue, botte, ospedale.

Lo Svastichella, per mettere le mani e la bottiglia addosso a quei due maledetti froci, depravati e sudici comunisti (pòle un frocio non essere anche comunista, come ci dimostrano ad esempio il famoso Ernst Röhm delle SA o Pim Fortuyn?), invoca quindi a pretesto dei cosiddetti valori. Due tipi, e particolarmente due maschi, non si possono baciare davanti a due eventuali quattordicenni (sapesse quanti quattordicenni si fanno le seghe a vicenda; forse se le è fatte anche lui col compagno di banco). Usa morali da barilotto, ma il fatto che le usi un tipo del genere significa poco. Il problema è che su queste morali e su questi valori si basano intere formazioni politiche, interi mass media, intere chiese. Lo Svastichella non è diverso, nella sostanza, da chi proclama il Family Day. Tutte cose che puzzano di morte.

Poniamo che i due quattordicenni ci fossero stati per davvero al Gay Village alle 4 di mattina. Non sono d'accordo coi due ragazzi aggrediti, in questa cosa. Per me, due quattordicenni possono tranquillamente stare a giro all'ora che più aggrada loro. Ancora, a quanto mi risulta, le vacanze estive non sono terminate. Non hanno da svegliarsi alle sette per andare a scuola. Perché due adolescenti dovrebbero essere turbati o sconvolti da due che si baciano? Le loro giovani anime in preda al vizio? Però non ci si preoccupa affatto di gettarli in preda ai telefonini, alla solitudine, al mercato o al lavoro minorile. Basta che non vedano due che si baciano. Così la pensano lo Svastichella e tutte le svastichelle più o meno palesi. Le stesse propagandate magari da Top Girl, rivista per quattordicenni o giù di lì, con tanto di alluvioni di valori. Ovviamente, poi, non è così diseducativo per dei ragazzini vedere un'aggressione sanguinosa; quella, anzi, educa molto.

Cazzo me ne frega se lo Svastichella, ora, dopo gli accorati appelli e le indignazioni persino del borgomastro fascista di Roma, è finito in galera. C'era già stato, in galera. Non mi risulta che sia servito a qualcosa. Le galere si rivoltano in quest'estate, e viene proposto di costruirne altre; proprio in questo paese che, tra il divieto di tutto, le città militarizzate e quant'altro, è oramai un'immensa galera da Aosta a Capo Passero. Tra un po, lo Svastichella ce lo ritroveremo in mezzo a una ronda o a guidare la spedizione punitiva al bar degli immigrati dopo lo stupro. Delle Svastichelle come lui però furono coperte ben bene dopo il massacro del Circeo. Non lo si può più nemmeno chiedere a Donatella Colasanti come sono le Svastichelle; è morta nel 2005. Non ci può più parlare, lei che nel 1975 aveva 17 anni, dei valori di questi italici prodi. Non ce ne può più parlare nemmeno quel ragazzo veronese ammazzato da alcune Svastichelle perché portava il codino e non voleva dare loro una sigaretta.

giovedì 20 agosto 2009

Succede un quarantotto


D'estate, d'accordo, fa caldo; però in questi giorni si sta decisamente esagerando. La foto che vedete è stata da me scattata alle 12.30 circa di oggi al distributore Erg del viale Etruria, a cinquecento metri da casa mia. D'accordo che il termometro è al sole; ma un altro al Girone, che era all'ombra, verso le 16 riportava pur sempre 41°. Nel frattempo, il caldo micidiale ha spinto me e la Daniela a cercare un po' di pio refrigerio in quel del santuario servita del Monte Senario. Alla Daniela avevo magnificato la frescura del luogo, le fresche acque che sgorgano dalle cannelle e tutto il resto; il risultato è stato che, pur ai suoi 820 metri di altitudine, faceva un caldo da stiantà lo stesso, dalle cannelle usciva una brodaglia abbollore e il refrigerio è stato assicurato da una birra trappista bella diaccia uscita dal provvidenziale barrino dei frati. Insomma, succede un quarantotto. Anche in quei luoghi di divozione il demonio ha steso il suo anticiclone africano!

mercoledì 19 agosto 2009

A giro per blog (1): Le Storie Inutili del Colonnello Kurtz


Da oggi, con cadenza alquanto fantasiosa (traduzione: quando mi va, e potrebbe anche non andarmi più), mi metto a fare una cosa che avevo in mente da un po' di tempo. Parlerò un po' dei blog altrui che seguo, ma senza alcuno scopo recensorio (non so se esista la parola “recensorio”, ma comunque suona bene). Solo così per fare un paio di chiacchiere oziose & inutili come un mercoledì d'agosto. E non c'è niente di meglio, per cominciare questa cosa, che delle Storie Inutili.

Storie Inutili, ma non Eccessivamente. Quando, qualche tempo fa, mi sono accorto che il titolare del blog in questione, il Colonnello Kurtz, mi aveva incluso tra i suoi linchi (un linco, du' linchi), è cominciata una sorta di strano rapporto a distanza. Ogni tanto il Colonnello mi piglia un mezzo post, una frase o qualcos'altro; oggi io gli piglio il blog intero e ne favello un po'.

Contatti e relazioni di questa fatta si basano necessariamente su percezioni, intuizioni, traspirazioni. Prima di tutto il “colonnello Kurtz” stesso, cuor di tenebra, Józef Korzeniowski che volle farsi marinaio e poi scrittore inglese, Apocalipsi Näu (regia di Francis Ford Coppola, musiche dei Doors -com'ebbe a dire l'Enrico Fiabeschi del Paz). Ed anche una lontana estate elbana in cui leggevo quel libriccino, quella terribile storiella, the Horror! The Horror! Quest'ultima è una Traspirazione. Lontani ricordi della propria vita che transpercent le membrane temporali per approdare, un giorno, da qualche parte. Con un colonnello Kurtz, prima o poi, dovevo avere a che fare.

Il blog del colonnello Kurtz così approdatomi è fatto, a suo dire, di storie inutili. Ma non eccessivamente. In più, sotto il titolo, nell'apposito spazio dove i bloggherz inseriscono inenarrabili cazzate & variopinte (io compreso, con tutta quella popo' di pappardella che ci ho messo), ci infilato una cosa assolutamente geniale. Recita così: Questo spazio è vuoto perché sono un uomo privo di fantasia. Rivelando così una fantasia assolutamente sconfinata; e a me piacciono “di pelle” le persone che manifestano una data cosa enunciando l'esatto contrario.

Allo stesso modo delle storie inutili del Colonnello, che sono invece utilissime. Sono di natura estremamente varia, come si può vedere dall'esatta categorizzazione proposta sulla homepage. Ma, in massima parte, il blog del colonnello Kurtz è occupato da due tipologie di scritti: recensioni (o meglio, impressioni) cinematografiche e resoconti precisi sulla vita, propria e collettiva, a Parigi ed in Francia.

Leggo con interesse la prima di queste tipologie, ma non ne parlerò qui. Questo spazio è vuoto perché sono un uomo privo di competenze cinematografiche. Ad ogni modo, così tanto per dare qualche indicazione al Colonnello, il film che amo di più in assoluto è La Stangata. E poi anche Il buco di Jacques Becker (e di José Giovanni). Detesto in blocco i film contenenti storie d'amore, perché nessuna storia d'amore è buona ad essere filmata. Ho una venerazione per Luis Buñuel ed evito come la peste bubbonica i minimalisti alla Eric Rohmer. Madonna, non ho mai parlato tanto di cinema come stavolta; meglio che la smetta subito.

Quel che più m'interessa nel blog del colonnello Kurtz, sono i suoi appunti di vita quotidiana. Avete presenti le guide per turisti? Quella del colonnello è l'esatta antitesi; è una antiguida per espatriati. Dal gelato ai parcheggi, dai servizi bancari alle panetterie, dal carattere dei camerieri alla ricerca di un affitto, dalle condizioni dei marciapiedi alle trattorie, dalle bollette della luce e del gas ai semafori. Non manca assolutamente nulla; ma la cosa più bella è il modo in cui il colonnello Kurtz conduce le sue scorribande, un modo in cui mi riconosco appieno.

Ho vissuto anch'io per un certo periodo all'estero, ed anche -nella fattispecie- in Francia (sebbene non a Parigi). Chi si reca all'estero per un viaggio qualsiasi, “turistico” o meno, ha la tendenza, specialmente se appartenente al genere Italicus Perniciosus Expaghettarius, di fare buffi raffronti elementari. Da un lato, appena varcato il confine italiano, per definizione si mangia malissimo; il caffè è regolarmente una schifezza; l'acqua minerale costa un patrimonio; e via discorrendo. Dall'altro lato, all'estero tutto funziona meglio che in Italia; per terra non si vede una cicca; tutti sono più educati alla guida, i negozianti sono più onesti; e via ridiscorrendo. Il colonnello Kurtz si occupa, scientificamente, di far vedere come si vive davvero all'estero (in Francia nel caso specifico, ma potrebbe essere dovunque). Senza miti e senza pregiudizi, né positivi e né negativi. Con la nudità di un osservatore, ma di un osservatore che deve fare i conti con la vita di tutti i giorni e che lo fa non con lo spirito e con gli intenti del giornalistucolo o dello scrittorello da strapazzo. Non cerca il “colore”, l'eccezione, il fatto curioso, la generalizzazione che serve a fomentare stupidi sensi di superiorità o di inferiorità; cerca il vivere così com'è e lo presenta. E, presentandolo così com'è, sega alla base ogni nazionalismo, ché il crasso nazionalismo di questi tempi si nutre in egual modo di stupidi orgogli e di piagnistei imbecilli.

Ci sono casi in cui i servizi di Reggio Calabria sono assai migliori di quelli di Parigi. Casi in cui il caffè di Nogent-sur-Marne è migliore di quello di un bar napoletano. Il sistema francese per la misurazione e la fatturazione dell'acqua è ben più cervellotico ed assai meno efficiente (e giusto) di quello italiano. Ma anche a Parigi si mangiano dei gelati ottimi. Ce n'è per tutti i gusti, in barba alle statistiche sulla qualità della vita. Il colonnello Kurtz non è, fortunatamente, uno statistico; è un descrittore. Bisognerebbe che ognuno, nella città o nel luogo dove si trova a vivere, facesse altrettanto; che girasse, e ne parlasse. Magari, chissà, si scoprirerebbe che a Caltanissetta al 96° posto si vive in modo più degno ed umano che ad Aosta al primo posto; o che nella mitica Barcellona dove vogliono andare tutti gli studentelli fuorisede che “odiano Firenze” perché “è morta, non ci si diverte, non c'è vita, è chiusa” e pititì e patatà, ci si può anche rompere i coglioni di vuotezza, tediarsi a morte in mezzo alla movida e desiderare segretamente, ma disperatamente, d'essere in piazzetta con gli amici a Borghetto Tre Case.

Il Colonnello Kurtz, con le sue giratine, fa a pezzi i luoghi comuni. Mica male, per un uomo privo di fantasia. Però le frontiere, e dico ogni tipo di frontiere, si abbattono anche così. Con un blogghino piccino picciò che, a modo suo, è un quotidiano schiacciasassi di confini; o, se preferite, un tarlo che non si ferma. Consiglio di leggerlo, e bene, anche a chi non ha la benché minima intenzione di stabilirsi in Francia o a Timbuctù (magari apprezzando anche le recensioni cinematografiche e le altre cose): ne vale la pena.


lunedì 17 agosto 2009

Differenze e agosti


La vedete quella buffa palla di spine nella foto? È un porcospino. O un riccio, come lo si chiama più comunemente da queste parti. Poi dovrei parlare di Annalaura. Annalaura, a 26 anni, se n'è andata per un incidente di moto a Catanzaro. Era di Vallo della Lucania, il paese del processo all'anarchico Giovanni Marini. L'ultima volta che l'avevo vista e ci avevo parlato, glielo avevo proprio ricordato. Eravamo stati lì a parlarne per un po', al CPA.

Qualcuno, forse, si chiederà cosa c'entri un porcospino con Annalaura che se n'è andata per una moto maledetta. È che, qualche giorno fa, qui all'Isolotto dei ragazzotti hanno pensato bene di prendere un porcospino, in un giardino pubblico, e di pigliarlo a calci. Così, gratuitamente, per non saper che fare in un tedioso agosto torrido di periferia. Dopo averci giocato a pallone, lo hanno finito dandogli fuoco.

Nello stesso giardino pubblico, ci sono scritte sui muri. Saluti romani, croci celtiche, boiachimmolla e altri ammennicoli del genere. Dei ragazzini. Gli stessi per cui, qualche giorno fa, auspicavo l'abolizione dei minori. Naturalmente tale episodio, finito sui giornali agostani, è stato subito bollato a base di bullismo e babygang. La gang dei giornalai non si smentisce mai, che fa pure la rima. Le solite tonnellate di degradi e sihurezze, e tutto va nel calderone.

Siccome a me, invece, dei degradi e delle sihurezze non me ne importa un cazzo di niente, vorrei mettere l'accento su qualche cosina un po' diversa. Ad esempio, sulla differenza di un quartiere dove esiste un CPA con, tra le altre e gli altri, Annalaura. La quale, ne sono certo, oltre a parlare del processo ad un anarchico svoltosi quarant'anni fa, a raccogliere il bene delle compagne e dei compagni che la ricorderanno per sempre e a lavorare, militare, farsi il culo e sputare sangue per un mondo migliore nei brevissimi 26 anni della sua vita, ad un porcospino che si fosse aggirato per il giardino avrebbe offerto una ciotola d'acqua, un pezzo di frutta e dieci minuti di amore. Ad un semplicissimo essere vivente.

Dove invece non esiste un CPA, o qualsiasi altra cosa del genere, ci sono i giardinetti con dei ragazzini annoiati che riempiono i muri di fascismi idioti di cui non sanno niente, proni a tutte le loro assenze, pronti ad offrire ad un porcospino una morte atroce per scherno. La stessa morte che, volendo, sarebbero pronti ad offrire ad un essere umano. Di esempi, del resto, non ne mancano.

Però non voglio gettare condanne. Non mi attengono, le condanne. L'Isolotto, del resto, è lo stesso quartiere dove, un anno e mezzo fa, un cane è stato ammazzato gratuitamente nientepopodimeno che dai Carabinieri, dalle forze dell'ordine. Non getto condanne e non punto diti contro quei poveri esseri che si divertono così, che cercano di ammazzare la noia con la morte. Mi rifiuto di servirmente per battere le grancasse così care ai politicanti delinquenti e alla loro carta da culo in vendita nelle edicole.

In questa città, come nelle altre, ci sono persone e forze che, invariabilmente rifacendosi proprio ai simboli tanto “cari” ai ragazzotti del porcospino bruciato, vorrebbero chiudere i CPA ed ogni altro spazio dove i porcospini e le Annelaure vanno insieme in un'armonia che nemmeno riescono a immaginare. Ci hanno quattrini e mezzi, questi stolidi e ridicoli bellimbusti. Sanno “far presa”. Sanno dove andare a parare, in queste nostre città piene di vecchi bavosi e impauriti. Ai ragazzi non resta altro che vivere la loro noia nei giardinetti. Sono, così, meglio manovrabili. Forniscono, all'occorrenza, una comodissima manovalanza. Oppure un cattivo esempio da offrire alla crassa stupidità dei tavolini dei bar con la “Nazione” o il “Paperopolis” aperti in bella mostra.

Guai ad offrire un'alternativa. L'alternativa, ogni alternativa, deve scomparire. Guai a far notare le differenze, reali, tangibili, tra un quartiere dove una tale alternativa esiste tra diecimila difficoltà di tutti i giorni, ed un altro dove invece esiste soltanto un giardinetto dove massacrare un animaletto. Proprio per questo queste alternative devono andare avanti. Il fascismo non lo si batte soltanto con l'antifascismo. Lo si batte soprattutto facendo notare la differenza tra la vita e la morte.

Ed è proprio questo che fa paura. Che ci siano ancora, nonostante tutto, persone che non hanno ceduto alla noia della morte. La quale è l'essenza del fascismo, quella profonda, quella che nulla riesce a cancellare. Fa paura che esistano dei luoghi dove si è disposti anche ad ascoltare quei ragazzi ora bollati come mostri, come babygang. Fa paura che dai mostri della noia fascista possano nascere delle persone diverse. Una paura folle. E gliela faremo venire sempre di più, sempre di più, sempre di più.


Rondò elbano



Questo post era stato scritto il 15 agosto, giorno dell'assunzione di una tale Maria. Ovviamente mi congratulo vivamente con la suddetta per il sospirato contratto a tempo indeterminato, anche se non capisco come mai una tale cosa debba essere festeggiata così in pompa magna. Saranno forse gli effetti della crisi, quando un posto fisso (alcuni dicono addirittura eterno) merita addirittura scampanii in tutte le chiese della Cristianità. Mah! Ad ogni modo, non avevo potuto postarlo dal luogo di fortuna dove mi trovavo in quanto il debolissimo collegamento wi-fi non mi permetteva di caricare le necessarie fotografie. Rimedio una volta tornato in quel dell'Isolotto.

Sì, d'accordo. Avevo detto che per un par di settimane non avrei scritto niente; ma l'attualità ha le sue esigenze cui non è possibile sottrarsi. Perdio.

Mi trovo qui, in piazza di San Piero attaccato ad un fortunoso uai fai, per annunciare al mondo che anch'io, finalmente, ho dato il mio prezioso contributo alla sicurezza. Ora come ora, è una cosa di cui proprio non si può fare a meno, ed è nostro dovere di cittadini far sí che tutti possiamo finalmente dormire sonni tranquilli (a dire il vero, dopo una decina di giorni di trattamento alimentare di mia madre e mia zia i miei sonni sono popolati da rivoluzioni gastrointestinali, incubi vari, mostri alati e visioni di Calderoli in tanga; ma questo è un altro discorso).

Qui al Formicaio (circondario della Piastraia, comune di Campo nell'Elba), dove momentaneamente risiedo (sebbene le ferie siano agli sgoccioli), in quest'anno di grazia e disgrazia 2009, non se ne poteva davvero più. L'invasione di formiche rumene, islamiche, maghrebine & zanzare tigre (notoriamente provenienti da paesi straomunitàri) si era fatta insostenibile, minacciando persino l'esistenza delle formiche nostrane, quelle che all'ingresso dei formicai espongono regolarmente insegne in italiano, che pagano le tasse e che non vendono briciole di pane contraffatte.

Bisognava fare qualcosa.

Ecco dunque che, munitomi della regolare pettorina, anch'io mi son fatto la ronda. Aspetto marziale, sguardo deciso, coscienza intemerata e pronto all'intervento, ho costituito la Ronda der Formiàio per assicurare alle oneste formiche (e persino alle cicale!) itagliane la necessaria sicurezza contro ir degrado operato da formiche estranee che non accettano l'integrazione, girando persino in formiburka.

Era ora di fare qualcosa. Io, modestamente, la facetti.

lunedì 3 agosto 2009

Congedo sì, ma con Bongusto


Nel paese di Bloggolandia, che si appartenga alla sponda asociale o a quella sociale, è praticamente un rito irrinunciabile. D'estate, a un certo punto, si va via. Per un paio di settimane, senza nessuna voglia di portarsi dietro il computer. Ma anche questo è un classico: l'Internettaro, di qualunque razza (o, meglio, scuola di pensiero -tanto per usare una curiosa espressione letta qualche giorno fa) desidera sempre far vedere di non essere “dipendente”, di essere “stufo”, di ambire allo “stacco” o roba del genere. In realtà, com'è appurato, non può farne a meno: tornerà, dopo i quindici giorni di “stacco”, letteralmente affamato. Avrà un sacco di cose da dire, dei fatti o delle storie da raccontare, si sarà “ricaricato” (a tale proposito, chissà che un giorno la TIM o la Vodafone non mettano in commercio speciali Internet Addict Ricaricard commestibili e dal gusto alla fragola, che l'interessato inghiottirà ritrovandosi all'istante pronto per chissà quali mirabilia in Rete).

Del rito fa parte anche il cosiddetto Congedo. Il blogghista, o l'Internettaro in genere, è fermamente convinto che il proprio blog, la propria pagina, il proprio “spazio” in Rete (per non dire della propria faccia e del panino/filmetto/canzonettaro che preferisce) freghino qualcosa a qualcuno. Anche il sottoscritto, che essendo asociale dovrebbe essere del tutto indifferente a questa cosa, non sfugge alla regola; e allora ecco l'avviso, l'avvertenza. Guardate, signore e signori, che mi assento per un dato periodo, causa ricarica. Non vi preoccupate se, per un paio di settimane, non leggerete più le mie fondamentali cose che vi allietano una vita grama. Poi torno più pimpante di prima e pronto ad affrontare il mesto autunno e il lungo inverno; ché l'estate, paff, è quella cosa che si aspetta per tutto un anno e poi, non appena arriva, è già finita. Si chiama, non so se tutti lo sanno, sindrome di Fred Bongusto. Fred Bongusto è il cantante “confidenziale”, celebre negli anni '60 e '70, che in pieno luglio e agosto cantava di settembre, di fugaci amori finiti, di tre settimane da raccontare, di spiagge e locali vuoti. Le coppie ci ballavano sopra, e al terzo ballo correvano immediatamente a suicidarsi, con uno di quei begli autoammazzamenti elegantemente tipici del periodo (tipo gettarsi da un burrone sulla scogliera con la spider bianca).

Vorrei non averla questa sindrome, e non sarei uno di quelli che si stancherebbe di vivere in posti dov'è sempre estate; meglio sarebbe se fosse sempre estate qui, da queste parti. Ma, oggi, addirittura sembra che l'estate voglia avere un break d'un par di giorni; il cielo è coperto, tuona, minaccia pioggia a catinelle. E hai voglia a dire che ti darà un po' di refrigerio dopo il caldo torrido; si aspetta che torni. I quaranta gradi. Andare arrosto. Dicono che tutto questo tornerà proprio mercoledì, quando parto per l'Elba; nel frattempo, ne approfitto per ottemperare al rito, e congedarmi da tutti coloro che, per un motivo o per un altro, sono capitati su queste pagine.

Non è una cosa per niente fondamentale. Non riveste alcun interesse. Si tratta, in massima parte, dei miei deliri che, ad un certo punto, ho scelto di far viaggiare in perfetto silenzio; cosa che ritengo, man mano che il tempo passa, sempre più raccomandabile ed opportuna. Non è nessuna scuola di pensiero, ma una semplicissima accettazione della realtà. Una realtà finalmente non più mediata: si fanno le cose solo per il piacere di farle, si smette almeno un po' di essere degli attori, o dei guitti, che hanno bisogno del pubblico, dell'approvazione, dell'applauso.

Ciononostante, è possibile che un pur misero pubblico ci sia. Anche se non se ne vogliono più conoscere le reazioni. Anche se non si desidera più “interagire”. Quindi, ad un certo punto, è gioco forza congedarsi; e magari, in un impeto di buona educazione, anche ringraziare. Si ringraziano cause ed effetti. Si fa ora un salto indietro, ora uno in avanti. Poi si impacchetta, si stirano le magliette, si mettono nello zaino i libri che da tanto tempo si volevan leggere e che, per metà almeno, continueranno a non essere letti, e si fanno i propositi: chissà se riuscirò una buona volta a rifare quel giro a piedi su per la Madonna del Monte, poi per le Serre scendendo giù a Chiessi...lo dico ogni anno. E il pensiero decisivo sapete qual è, poi? Chissà che bel post ne tiro fuori!

Insomma, vi saluto. È stato e sarà un piacere non avere nulla a che fare con voi; ed in questo siete e sarete sempre il pubblico migliore che ci sia, quello che c'immaginiamo a vicenda affidando, come soleva essere un tempo, la conoscenza ai fili ed agli intrecci del caso. A fra un po'.