martedì 28 aprile 2009

Piccolo questionario per C'helto-Fadani



Come tutti sanno, uno dei capisaldi della “cultura” della Lega Nord, dei leghisti e, più in generale, di tutti i “padani” che vanno alla ricerca frenetica e lyberatoria della loro identità e delle famose “radici” è la presupposta appartenenza storica ai popoli Celti. I poveri e innocenti celti, quelli veri, hanno avuto un destino decisamente amaro: un tempo effettivamente diffusi in buona parte del continente europeo, sono stati letteralmente spazzati via a partire dall'espansione dell'Impero Romano, riducendosi attualmente a pochi resti tra la Bretagna (quella francese), e le isole Britanniche. Ma non c'è nulla da fare: per leghisti, “padani”, destroni in genere tutti Tolkien e “signori degli anelli” e via discorrendo i Celti non si toccano. Anche il verde della loro simbologia è, in ultima analisi, da ricondurre al colore-totem delle “nazioni celtiche”.

Ancora più buffi sono questi signori quando si lanciano in disquisizioni “linguistiche”. Un tempo, quando frequentavo i newsgroup di linguistica, mi ci sono trovato parecchie volte a discutere; nella mia estrema ingenuità, credevo anche almeno porre davanti agli occhi di costoro alcuni argomenti linguistici del tutto inoppugnabili potesse servire a qualcosa. Non è bastato neppure ammettere onestamente che, in effetti, alcuni relitti sicuramente celtici (come i toponimi in -(a)te e -ago, ed anche il nome stesso di Milano) fanno parte dell'antico substrato sui dialetti settentrionali; un apporto, peraltro, di natura prettamente lessicale. Non hanno ottenuto alcun effetto i miei accorati appelli ad una distinzione fondamentale: se da un lato può essere vero, ad esempio, che un piemontese abbia lontani antenati celti (così come io posso averli etruschi), questo non significa che il piemontese sia una lingua celtica o il toscano un derivato dell'etrusco. Ovviamente non c'è stato verso: per alcune di queste persone, ebbene sì, il lombardo, il piemontese e persino il trentino, il veneto e tutti gli altri dialetti “galloitalici” sono lingue di “ceppo celtico”. Lo ha detto il Grande Capo, e il Grande Capo non si discute.

Però almeno una piccola soddisfazione me la sono presa. È infatti dal 6 aprile 2003, uno dei miei ultimi giorni di residenza in una lontana località del nord della Francia che un nome celtico ce lo aveva sul serio. che aspetto una risposta al seguente Piccolo Questionario per i “Celtopadani” pubblicato sul newsgroup it.cultura.linguistica. Non avendo ancora ricevuto una risposta che sia una, ed oramai dipartito dal mondo dei newsgroup (tranne uno, per questioni di fede calcistica), lo ripropongo su questo blog.

Quelle che seguono sono le principali caratteristiche delle lingue celtiche, ovverossia le caratteristiche comuni a tutte le autentiche lingue celtiche che non si riscontrano altrove (ovvero nelle lingue neolatine, germaniche, slave ecc.). Le eventuali risposte al questionario dovrebbero ovviamente consistere in esempi pratici di tali fenomeni che si riscontrino nei parlari piemontesi, lombardi, veneti, trentini ecc.

1. MUTAZIONE

Viene cosi' definito un complesso sistema di modificazioni di certe consonanti iniziali in collegamento con determinate altre parole (mutazione di contatto) oppure dal valore morfologico (mutazione grammaticale). In quest'ultimo caso, spesso, la mutazione marca il genere femminile oppure il plurale maschile animato. Cosi', ad esempio, in bretone:

  • /B/ iniziale muta in /V/ per il femminile:

    bihan “piccolo” → ur voger vihan “un piccolo muro” (“muro” è di genere femminile in bretone)

  • Così anche per il maschile plurale animato:

    ar baotred vihan “i bambini piccoli”

  • Sempre /B/ iniziale muta in /P/ dopo alcuni possessivi:

    ho pihan “il vostro piccolo”

e così via. Le consonanti “mutabili” sono /K/, /T/, /P/, /GW/ (labiovelare sonora), /D/, /B/, /M/; un altro caso tipico di mutazione si ha con l'articolo determinato davanti ai sostantivi femminili:

  • moger “muro” → ar voger “il muro”

  • karantez “amore” → ar c'harantez “l'amore”

  • tud “gente” → an dud “la gente” ; ma zud “la mia gente”

  • bugale “bambini” → ar vugale “i bambini”; ho pugale “i vostri bambini”.

Analoghe serie di mutazioni si ritrovano in gallese, cornico, mannese (Manx), gaelico irlandese e gaelico scozzese; in pratica, in tutte le lingue celtiche superstiti. Seguendo tale principio inderogabile delle lingue celtiche, la comune parola veneziana putèo “ragazzino, bambino” dovrebbe così comportarsi:

  • el butèo (articolo determinato singolare)

  • i phutèi (articolo determinato plurale)

  • el me vutèo (possessivo 1a persona singolare)

Oppure ancora, la Castagnata Padana del manifesto nella foto dovrebbe essere una c'hastagnata fadana; e così via. Però non mi risulta (mi risulta invece che "Halloween" si scriva con due "e", e persino con l'apostrofo: Hallowe'en; però i Good Old Boys sono imperdibili).


2. STRUTTURA “VSO” DELLA FRASE PRINCIPALE

Propria più particolarmente del gruppo celtico insulare (gaelico e mannese), la si ritrova comunque, seppur con delle sfumature, anche nel gruppo britannico (gallese, cornico, bretone). In pratica:

La struttura tipica della frase principale affermativa consiste nel Verbo (V) in prima posizione, seguito dal Soggetto (S) e dall'Oggetto (O), o dal predicato, o dai vari complementi; da qui la misteriosa sigla “VSO”. Cosi' in gaelico irlandese:

  • thá an cú mór “il cane è grande”; alla lettera: “è – il cane – grande”

frase nettamente distinta da:

  • thá an cú mhór “è il grande cane” [si noti la mutazione: si legge “v”]

In gallese:

  • mae'r ty mawr “la casa è grande” (“è – la casa – grande”)

Secondo questo principio, una comune frase milanese come el gatt l'è mort dovrebbe esprimersi come l'è el gatt mort, che però vuol dire un'altra cosa; oppure, per fare un esempio più complesso, i cumpàign de la Ringhera han faa sü el so regiment (mi scuso con Ivan della Mea ma non mi vengono altre frasi in milanese...) dovrebbe essere:

  • han cumpàign de la Ringhera so rhegiment sü faa

(Si notino altre “lievi” differenze di costruzione tra il milanese e le lingue celtiche, ed anche una necessaria mutazione in presenza del possessivo).


3. STATO COSTRUTTO

Sebbene, storicamente (come può essere ben osservato nell'irlandese antico) il rapporto di possesso/specificazione fosse affidato ad un caso genitivo ben distinto (ancora osservabile nei dialetti gaelici irlandesi moderni e nel gaelico scozzese, ma non nell'astigiano o nel bellunese), le lingue celtiche britanniche seguono regolarmente una costruzione particolare che, essendo del tutto simile a quella dell'arabo e dell'ebraico, possiamo chiamare "stato costrutto". In pratica, per esprimere tale rapporto:

  • la cosa posseduta precede il possessore e obbligatoriamente è priva di articolo;

  • il possessore può invece avere l'articolo (o il possessivo) e segue la cosa posseduta in semplice giustapposizione. Quindi, ad esempio, in bretone:

  • ti mamm “la casa di una madre” (“casa-madre”)

  • ti ar vamm “la casa della madre” (veneto: ciasa mi' vare, almeno così dovrebbe essere con l'onnipresente mutazione per mare).

  • ti ma mamm “la casa di mia madre”

Oppure, in gallese (lingua che ispirò un idioma tolkieniano; ma quello principale, il Quenya, sembra piuttosto essere una trasposizione del finlandese, per stessa ammissione del suo autore):

  • bwythyn y nain “la fattoria della madre” (“fattoria-la-madre”)

  • bwythyn fy nain “la fattoria di mia madre” (“fattoria-mia-madre”)

NB. Naturalmente anche in italiano e nei suoi dialetti è possibile usare la giustapposizione, per diversi motivi: "Via Garibaldi", "elenco spese", "sala professori" ecc.; ma non si tratta di un sistema regolare ed obbligatorio (si può sempre dire "elenco delle spese", "sala dei professori"). Nelle lingue celtiche, invece, non esiste altra possibilità.

Queste, in estrema sintesi, sono le caratteristiche salienti delle lingue celtiche. Bisognerebbe magari anche parlare delle tre coniugazioni differenti che uno stesso verbo bretone può assumere a seconda del contesto sintattico, dell'uso delle cosiddette "particelle relative" e di altre cosette non trascurabili; ovviamente, ora come allora, torno a ripetere che qualsiasi seria confutazione di quanto sopra, atta a dimostrare che anche in un solo sperduto dialetto della Val Camonica si abbia una struttura VSO, una serie regolare di mutazioni morfosintattiche e l'uso sistematico dello stato costrutto, mi farà -come si dice nei telefìrmi americani quando due si sposano, tacere per sempre.

Ma non credo.