venerdì 13 febbraio 2009

Mazzola e Rivera


Annunzio bobbis godìum magnum: ce l'ho fatta. Chiederò (forse) l'iscrizione documentata nel “Guinness dei primati”. Credo infatti di essere l'unico in Italia, almeno negli ultimi mesi, a non aver detto e/o scritto nemmeno una parola per sbaglio sulla nota vicenda di una signora in coma neurovegetativo da 17 anni eccetera. Non perché me ne sia volutamente disinteressato, non perché non provi dei sentimenti verso tale vicenda; tutt'altro. Solo che ho sentito il possente imperativo, in mezzo a giornali, politicanti, parlamenti, pizzicagnoli, parrucchieri, bar, blogghi, feisbucchi, niusgruppi, forum, sondaggi, listarelle e chi più ne ha, più ne metta, di farmi i cazzi miei. E continuo a farmeli. Inutile chiamarsi Rete Asociale se non si ha, venuto il momento, la capacità di farseli sul serio, 'sti famosi cazzi propri. Sono quindi moderatamente contento di me stesso.

Sarà forse, chissà, anche perché di persone nelle medesime condizioni di quella persona mi è capitato di vederne diverse. Diverse, dico; non parecchie. Mi è capitato di doverle trasportare, e pesano tanto. Anche se ridotto a un cumulo di ossa in posizioni strane, è difficile immaginarsi quanto pesi un corpo che non può aggrapparsi, disporsi, muoversi. In alcuni dei posti dove ho dovuto, assieme ad altri, spostarle, non c'era nemmeno un ascensore.

Mi è capitato, anche più spesso, di dover rimuovere dei cadaveri; vale a dire persone ufficialmente morte, certificate non più in vita. Dal punto di vista della problematica di trasporto, sono più facili. Non hanno con sé nessuna apparecchiatura elettromedicale attaccata. Quando c'è da trasportare un vivo in condizione di cadavere, la vita -o comunque la si voglia chiamare- è attaccata a quegli apparecchi. Bisogna fare un'attenzione estrema. Metti di inciampare in un filo e di staccare la macchinetta X: sono casini grossi. Minimo ti becchi un procedimento per omicidio colposo. Minimo pensi: ma chi te lo fa fare.

Quindi mi sono fatto gli affari miei, nel modo più totale e programmatico. Cercando di non ostentarlo, peraltro. L'ostentazione parla. Non ho voluto che parlasse neppure lei. L'ho presa, una volta tanto, come semplice questione di rispetto. Quello che provo nei confronti dei vivi e dei morti. Il mio è un rispetto, come dire, contadino; di quella fatta da stradine di campagna, quando passava un trasporto e gli uomini si toglievano il cappello sebbene non sapessero nemmeno chi fosse il morto. Sia detto da uno che non ha mai portato un cappello in vita sua.

E' lo stesso rispetto che mi impone di non fare parola di tutto il teatrino che si è sviluppato attorno a questa faccenda. In questo paese dove, in tempi migliori, esistevano sessanta milioni di commissari tecnici della nazionale di calcio. Ora esistono sessanta milioni di giudicatori sulla vita e sulla morte, perdipiù con i mezzi per esprimerlo o sputarlo in forma permanente e archiviabile. Rimpiango le discussioni su Mazzola e Rivera.

Sessanta milioni meno uno. Rivendico questa mia esclusione. Me la prendo e me la tengo. Un pensiero va al personale di quell'ambulanza che ha dovuto fare il trasferimento, e che conosce bene quanto ho detto prima. Un pensiero va anche oltre, discretamente oltre, ma lo esprimerò in forma del tutto mia. Il viaggio verso il nulla era già stato compiuto. Buon viaggio verso l'infinito. E se toccasse a me, fate quel che volete, ché non lascerò nessun “testamento”. Sai che accidenti me ne fregherà. Chiedo solo scusa in anticipo a chi mi dovrà eventualmente trasportare, perché durerà una gran fatica.