mercoledì 11 febbraio 2009

Antifascismo


Un post assai impegnato, cazzarola; ma oggi è una giornata particolare. Ho cambiato tequila. Mi sono rotto della Sauza e mi sono letteralmente svenato con una bottiglia di Herradura. Nella foto sopra si vede la sagoma delle mie dita; ma, giuro, stavano solo reggendo la macchinetta fotografica e non facevano il simbolo della P38. Forse.

Mi piacerebbe poter dire a testa alta: Sono antifascista. Mi piacerebbe, perché probabilmente, in qualche atto della mia vita, piccolo o grande, anche io mi sono comportato da fascista. Anche io, ad esempio, avrò obbligato a dire, tanto per tornare al caro vecchio Roland Barthes. Ne ho piena coscienza, perché la sopraffazione, per tutti, è cosa quotidiana; tante volte la si subisce quante la si impone. Mi piacerebbe, quindi, essere un antifascista che, coscientemente, in ogni occasione, sa rifiutare i comportamenti da fascista. Non sempre è riuscito, non sempre mi riesce; e per questo non esiste scusante.

Ma arrivano dei momenti in cui rendersene conto diventa come uno stacco necessario, in cui si ha voglia di impegnarsi maggiormente su questo fronte. Lasciando perdere le definizioni e guardando con occhio ponderatamente critico il passato. Buttando via l'inutile e il dannoso, e tenendo l'utile e il giovevole. Almeno provarci finché si è in tempo. Ci sono stati dei periodi in cui mi ero quasi deciso a buttare via persino l'antifascismo; ne sentivo di tutti i colori, e non tanto da chi antifascista non lo è o non lo sarebbe comunque. Ne sentivo soprattutto da chi, a rigore, doveva essere pienamente antifascista. A queste persone non stava bene nessun “tipo” di antifascismo, ideale o militante che fosse. Ne ho ricevuto un po' di confusione in testa, e giuro che non è la cosa che più mi occorre. Provo un estremo bisogno, invece, di semplificare. Di sgomberare il campo da alcuni grovigli.

Quelli che l'antifascismo è diventata una parola vuota. Quelli che l'antifascismo è un comodo sistema per mascherare il proprio nulla. Quelli che l'antifascismo è un bla bla bla. Quelli che l'antifascismo è una cosa sorpassata alla luce dei nuovi sviluppi. Quelli che l'antifascismo giusto è soltanto il loro. Quelli che l'antifascismo non è porsi la questione correttamente. Quelli che l'antifascismo è il peggior prodotto del fascismo. Quelli che l'antifascismo è soltanto una fighettata da inutili manifestazioni di piazza con le bandiere, la musica e i megafoni. Quelli che l'antifascismo è abbandonare ogni cosa e cercare un buen retiro. Quelli che l'antifascismo è la loro generazione (vittoriosa, sconfitta, incarcerata, stroncata, sopravvissuta, eccetera). Quelli che l'antifascismo si fa dentro al parlamento con gli “strumenti della democrazia”. Quelli che l'antifascismo si fa fuori dal parlamento “tornando fra le masse”. Quelli che l'antifascismo è andare al concerto della Banda Bassotti, di Guccini, di Pinco Pallino. Quelli che l'antifascismo è infilarsi più o meno acrobaticamente in un qualche fortino telematico da “difendere” con le unghie e con i denti. Quelli che l'antifascismo è analizzare profondamente le cause, le concause, gli effetti, i controeffetti, le esperienze passate e presenti, insomma tutto quel che c'è da analizzare a condizione di essere pochi. Quelli che l'antifascismo è fanculo le maggioranze. Quelli che.

Ho fatto, in forma “iannacciana”, un piccolo campionario di tutto quel che m'è capitato di sentire in questi ultimi anni alla voce “antifascismo”. Non l'ho fatto a fini sarcastici. Sto cominciando sinceramente a odiare il sarcasmo, a detestare la derisione nel profondo del cuore. Molte delle cose che fanno parte del precedente campionario sono sicuramente giuste. Altre sono sbagliate. Così va sempre, è la natura delle cose. Molti di coloro dai quali ho sentito ho letto quelle cose sono sinceri antifascisti; su altri mi si è quantomeno instillato qualche ragionevole dubbio. Ma anche questo è normale. Quel che non è affatto normale è che, in mezzo a tutti queste vibrazioni sulla natura, sui metodi, sulle motivazioni, sulle critiche e sull'analisi dell'antifascismo, il fascismo è tornato in grande stile. E qui non parlo certamente dei comportamenti quotidiani di ognuno di noi; parlo del fascismo, quello politico, quello sociale, quello in camicia nera, quello delle squadracce, quello dei topi di fogna che credevamo tutti cancellati dalla storia, e che invece ora ci ritroviamo più che mai presente. E non sto parlando nemmeno di “governi” o “parlamenti”: sto parlando del fascismo che sa plasmare le opinioni e le coscienze nel senso che desidera. Del fascismo che sa creare consenso. Del fascismo che sa permeare la vita pubblica e privata. Per questo urgerebbe semplificare molto le questioni. Urgerebbe che gli antifascisti tornassero a occuparsi di una cosa elementare: combattere il fascismo.

Ricominciare a dire che l'antifascismo è opporsi al fascismo, in ogni sua forma. Ricominciare a dire che ognuno la pensa come vuole, ma intanto, perbacco, diamoci da fare in tutti i modi possibili. Anche quelli apparentemente inutili. Anche quelli verso i quali si nutrono dubbi, ché a forza di dubbi ci si ritrova indubbiamente al solito impasse che il fascismo adora; un avversario che si blocca da solo è quanto di meglio possa esistere. Il fascismo non ha avuto dubbi, non ha avuto blocchi. Si è creato il terreno fertile, e questo terreno è la palude nel quale gli antifascisti attualmente si ritrovano. Sabbie mobili fatte a volte di disprezzo e sufficienza verso l'altro antifascista.

Pochi giorni fa ero a una manifestazione. Di fronte, un corteo di una sessantina di fascisti -istituzionali e meno- che ricordavano le “loro” foibe. Ci avevano pure lo striscione con scritto “Io non scordo”; quello che scordano molto facilmente sono invece le bombe sui treni, nelle stazioni, nelle piazze durante le manifestazioni sindacali. Di fronte, un paio di centinaia di persone che, a modo loro, manifestavano la loro opposizione. Tra queste persone ho sentito cose giuste e cose non giuste. Ho sentito anche delle sonore cazzate, e se dico sonore è anche perché sono state berciate a un altoparlante. Ma perché dovevamo essere soltanto in duecento, poco più o poco meno? In una città come Firenze? Che cosa hanno fatto tutti quelli che si dicono antifascisti, e che sono rimasti a casa oppure se ne sono andati per i fatti loro? E' antifascista starsene tra quattro mura a leggere o a ascoltare una canzone? E' antifascista fare qualche sorrisetto compiacente, qualche battuta umoristica, qualche cacchio di altra cosa mentre là di fronte ci sono quegli altri? E se invece fossimo stati in due o tremila? Dove eravate? Magari a dare di cretini a quei duecento che l'antifascismo è anche starsene al freddo in una piazza di febbraio per far vedere che ancora c'è qualcuno che non si adatta al fatto compiuto, e che questo suo mancato adattamento vuole urlarglielo in faccia?

Antifascismo, certo, non è solo questo. Antifascismo sono, o sarebbero, mille altre cose. Antifascismo è, o sarebbe, fregarsene dei rimpianti, delle disillusioni, delle melme, dei ditini puntati, dei piedistalli, degli snobismi e/o snobbamenti, delle scontentezze raggelanti e tornare alla presenza. Tornare al numero. Ché il numero spaventa lorsignori. Il numero li fa stare almeno un pochino più fermi. E in questo numero vorrei ricordare che si contano anche parecchi morti. La peggior morte per un morto è essere una lapide in un cimitero. Il miglior ricordo è sentirselo accanto a urlare che non passeranno, né dal viale Milton né sopra le nostre vite. Chi preferisce svanire, svanisca; mi saluti i suoi fantasmi, ma io sono vivo e mi piace stare in mezzo ai vivi. L'antifascismo, in ogni sua forma, è vita. Il fascismo è morte.