lunedì 25 agosto 2008

L'immeritato ritorno, including Contro la Francigena




Di ritorno dalle immeritate vacanze, e con la prospettiva assolutamente certa di impiegare i prossimi giorni (diciamo fino a sabato) in un trasloco almeno per una volta non di mia stretta competenza -per il quale mi trovo in un'afosa trasferta piacentina di fin'estate, vado rigorosamente a ruota libera.

In realtà, di raccontare quel che ho fatto durante le vacanze non mi va neanche troppo. Far scoprire un po' d'isola d'Elba -specialmente con il commovente tonno ai pistacchi dell'Osteria Libertaria di Portoferraio, ritrovarmi a Galenzana un'altra volta assieme ad una persona amata, lo scirocco appiccicoso e fetente, e mia cugina che ha atteso le sue ferie d'operaia per beccarsi la varicella a 38 anni suonati; cose normali, impreziosite dal buon San Gaetano -patrono di Marina di Campo- che durante la sua festa del 7 agosto ha pensato bene di dar fuoco a qualche barchètta ormeggiata in porto mediante il generoso spettacolo pirotecnico annuale. Ci ripenso sempre con qualche risata, immaginandomi le bestemmie dei proprietari delle imbarcazioni; figurarmeli poi devoti di paparazzingher o di padrepìe è come mettere il tabasco sui tacos. Aggiunge gusto.

Beninteso, un ragionamento che mi capita spesso di fare tra me e me è il seguente: ma come mai, nei posti di mare, le feste dei santi patroni cadono tutte in luglio e agosto? Mai, che so io, un tredici di gennaio o un ventisette di novembre. 'Sti santi! Anche loro debbono dare il loro contributo all'industria turistica e cadere rigorosamente in alta stagione; e poi qualche maledetto senzadìo dice che la religione è una cosa inutile!

Un'estate passata saltapicchiando dall'iperrazionalità di Piergiorgio Odifreddi (irresistibile a volte, esagerato altre e insopportabile altre ancora) alle storie di Lansdale, uno che mi ha fatto pensare spesso ai miei tentativi di raccontare cose e all'abisso che mi separa dal saperlo davvero fare; all'ultima pagina di Tramonto e polvere, coi capelli rossi di Sunset in testa, mi è presa la voglia di rileggermela subito, quella storia, e di mangiarmela. Come fosse una piattata di croste di parmigiano fritte nell'olio, che è il troiaio mangereccio che più mi fa impazzire, e da una vita intera.

Poi, una giornata passata tra la luce abbacinante di una Volterra infuocata, salsicce e patatine in una specie di posada messicana spiaccicata sulla strada per Saline -Old River, si chiama-, e una serata matta assieme a un amico e ai suoi parenti nella loro “Porcilaia” -una serata anch'essa di storie dietro a un fico, e storie belle; ma a parte l'accenno che l'amico in questione ha fatto nel suo blog, ne avrò a riparlare, e a riparlare estesamente. E infine eccomi qui, momentaneamente sdraiato sulla pianura Padana che sto cominciando a rivalutare da quando mi è toccato vivere per anni in mezzo ai monti. Belli, bellissimi i monti; ma non sono fatti per me. Troppo faticosi, troppo cupi, troppo silenziosi. La pianura assomiglia di più al mare, e stasera a Piacenza c'era un tramonto da mozzare il fiato. Condito anche dall'aver trovato casualmente l'unico tifoso della Fiorentina in tutta Piacenza, che mi ha invitato mercoledì sera a casa dei suoi genitori a vedere sulla tv porno che ha acquisito i diritti la partita di ritorno del preliminare di Champions' League.

Il bello è che ero partito, per questo post, con l'idea di scrivere una sorta di pamphlet contro la via Francigena. Non ne posso più della via Francigena, mi perseguita da una vita e mezzo. Quando stavo nelle campagne senesi, stavo su un pezzo della Francigena. A Volterra mi aspetto gli Etruschi, e invece c'è un'insalata di pezzi di Francigena. Sono a Piacenza e mi ritrovo i cartelli della via Francigena. Come mi muovo sono inseguito dalla via Francigena. Ma che cazzo di via era, perdiana? Non si sa da dove partisse, toccava in rapida successione Stoccolma, Reims, Samarcanda, Sinalunga, Timbuctù, Altopascio, Reggio Calabria, Bucarest, Campiglia Marittima, Piacenza e Santander, per poi ritrovarsi a Santiago de Compostela a fare un focherello di radici cristiane. Nulla da fare; ovunque mi giri, mi ritrovo Francigene addosso. Dovrò fondare finalmente un'associazione per l'eliminazione della via Francigena, con cancellazione dei cartelli, asportazione dei pezzetti di strada e loro sostituzione con comodissime autostrade a quattro corsie, rasatura al suolo di antichi ostelli, abbazie eccetera; per poi magari scoprire che la via Francigena è tutta un'invenzione degli enti turistici. Del resto, non so perché, a me Santiago de Compostela mi ricorda tanto la penna dell'arcangelo Gabriele della famosa novella del Decamerone; e il Decamerone, perdiana, è una lettura che avrò fatto decine di volte e che non mi stanco mai di rifare. Altro che Francigene, e evviva Calandrino, Buffalmacco e Ser Ciappelletto!

1 commento:

Anonimo ha detto...

Finalmente sei tornato...Non mi conosci, scelgo momentaneamente come pseudonimo Dora, non perché mi senta un dono, ma per una passione poetica (ometto il cognome del personaggio scelto per modestia e umiltà).
Ho scoperto per caso il tuo blog. Una mattina di inizio agosto, mi sono svegliata con una precisa immagine di Galenzana in mente e sono andata a cercare su internet se per caso non c'era quella foto da usare per un po' come sfondo. Così ho trovato un tuo post del 2006 che mi ha fatto venire il groppo alla gola.
Io non sono persona di facili sentimentalismi, ma trovare descritte in maniera così precisa le sensazioni che QUEL LUOGO suscita mi ha commosso. Le cose che hai scritto mi hanno colpito, perché con i miei amici di allora le dicevamo vent'anni fa (e le continuiamo ad affermare adesso tra i superstiti del naufragio affettivo del tempo). Il sentiero di Galenzana si percorre di corsa, anche al buio, anche nelle notti senza luna. Quell'odore di macchia mediterranea continuo a sentirlo anche adesso. In quel luogo c'è qualcosa, è vero; all'epoca pensavo che quest'idea fosse frutto di menti giovanilmente esaltate. Adesso (non ci torno da 8 anni) penso che quel qualcosa abbia a che vedere con cose essenziali, primigenie o non so che. Quando ti sdrai su quella posidonia secca la tua vita si condensa come un grumo che fa anche un po' male e contemporaneamente si espande, si rarefà; si dilegua il tuo principium individuationis (per quanto mi riguarda, credo solo biologia + storia) e lì, davanti a quelle acque basse e calme, quasi da lago, ti senti solo una delle mille vite possibili che tornerà nulla nel grande mare del nulla (o della materia). Ricordo che quando arrivava l'alba c'era quel momento sospeso, di silenzio sovrumano, quella luce improvvisamente grigia. Non sto a tediarti oltre. Le cose belle, vere e interessanti le hai già dette tutte tu, compreso il fatto che ogni anno, quando per l'ultima volta percorrevo il sentiero di ritorno di Galenzana prima del rientro in città, pensavo che quella era l'immagine che avrei voluto vedere per ultima prima di morire.
Ho letto molti dei tuoi post anche di tempi passati. Se puoi, continua a raccontare, perché lo fai molto bene e comunque nel gran pattume che circola in rete fai la tua porcaccia figura.
Ti sono grata, perché quando avviene che nelle cose che pensano e dicono gli altri ci riconosciamo, ci sentiamo un po' meno animalistrani.
Racconti cose interessanti, non solo sui luoghi di Campo, che mi sono particolarmente cari per anni di frequentazione. Quando ripenso a Mortigliano, le Tombe, Capo Poro, la grotta del Vescovo, i Calanchi e via andare allora sì, sento che c'è qualcosa di magico, di mistico nella materia. Il fatto è che mi piace un certo tipo di sguardo anche su tutto il resto, fatti, luoghi e relazioni.
Smetto di spararle grosse.
Saluti Dora