martedì 9 ottobre 2007

Cascine del Riccio Dance School



La prima parte di questo blog, nei mesi scorsi, è stata quasi interamente occupata da "vecchi post". Cose già scritte e riprese qua e là. Poi ne ho scritti di nuovi; in questi ultimi giorni, poi, mi sono lasciato andare a una sorta di "diario" descrittivo. Faccio una pausa, forse solo apparente. Torno a riprendere una cosa già scritta. Prima, usualmente, ero abbastanza preciso nell'indicare da dove provenisse e quando era stata composta; ora non ne ho più voglia. Diciamo che l'ho scritta qualche tempo fa da qualche parte. Parla di una cosa oramai lontana nel tempo. Molto lontana. L'ho un pochino adattata alla sua nuova collocazione.

Sfido chiunque mi conosca, sia pure di sfuggita, a trovare la cosa che meno si aspetterebbe da me (a parte la mia passione per le croste di parmigiano fritte nell'olio). E siccome questo non è un thriller, ma un piccolo post su un blogghino di periferia, ve la dico subito: per tre anni sono andato a una scuola di ballo.

Mi sembra già di sentire le risate di sottofondo, come negli sketch
di Benny Hill; ma è così. Per tre anni, un secolo e mezzo fa, tutti i martedì sera alle otto e mezzo, io e quella che, allora, era la mia compagna s'andava a imparare i' tango, i' ciàrleston, i' bughi-vughi e persino i' lalli galli.

Non mi ricordo nemmeno come mai...
Forse avevamo voglia di fare qualcosa insieme, poiché i nostri gusti e i nostri modi di vivere si erano sempre più allontanati con gli anni. A ventott'anni, d'altronde, s'era già una vecchia coppia. E fu così che trovammo una Casa del Popolo di mezza campagna che reclamizzava i suoi corsi di ballo del martedì sera. Alle Cascine del Riccio, una frazione quasi chiantigiana, ma traversata da un viadotto dell'autostrada del Sole. Una Casa del Popolo con ancora tutta la panoplia del veterocomunismo alla ribollita: bandiera rossa col gambo di metallo e la stella in cima, busti di Liènin e di Gramsci, la locandina incorniciata dell'Unita' del 21 giugno '76 ("impetuoso balzo in avanti del PCI") e così via. Dicono che qualcuna esista ancora; ed è vero.

Nella bacheca, accanto a una specie di tazebao di protesta contro lo stato d'abbandono delle rive dell'Ema ("è ora che i cittadini sappino la verità"), un cartello scritto con un Carioca blé: "Roberto e Patrizia - Cascine del Riccio Dance School - Tutti i martedì alle 20.30". Ora ve la immaginate voi una Dance School in un posto dove la gente parla quella specie di lingua semitica che è il fiorentino di campagna ("ieri i mi' fratelli 'e gli andònno a còglie' l'ulive"); il Manzoni avrà pure risciacquato i panni in Arno, ma se fosse andato a risciacquarli nell'Ema li avrebbe tirati fuori più sudici di prima.

Ci si disse, io e quell'altra: "Bah, si sarà tre gatti e il quarto senza la coda"; e invece, quel primo martedì sera, c'era tanta gente. La sala delle feste (una specie di garage) trasformata in pista; mises fantasiose assai (io ero in maglietta bianca e un paio di pantaloni blé da ginnastica, ma c'era qualcuno che sembrava esser sortito diritto dal Circo Togni); una vecchia cattedra scolastica con sopra un impianto stereo dell'uno quando 'un c'era nessuno, un puzzo di sudore e di piedi che sembrava d'essere alla fiera del Gorgonzola e, durcissinfundo, Roberto e la Patrizia.

Marito e moglie sulla trentina, operaio da qualche parte lui e telefonista alla USL lei, offrivano la loro passione e la "dance school" all'esorbitante prezzo di lire cinquantamila mensili, pagamento anticipato. Vi aspettereste du' sciamannati di banlieue, e invece erano davvero due bei ragazzi. Belli, gentili e dai modi fini. Ma bassi. Du' tappi. Quando mi mettevo accanto a lui, che era persino qualche centimetro meno di lei, si pareva l'articolo il.

Ce le ho sempre negli orecchi, le musichine del martedì sera; l' Armandino, in particolare. Mi perseguitava anche negli incubi, la notte. Tutti i passi da imparare a memoria; e siccome bisognava scivolar bene su un impiantito di mattonellacce di merda, mi toccava mettermi delle scarpe col tacco che mi facevano un male terrificante. A volte, salutata la mia ragazza, me le levavo in macchina e guidavo coi calzini; poi imparai a portarmi le scarpe di riserva. Non sono granché sveglio, a volte.

La mia ex andava bene; ma, a me, quei passi proprio non volevano entrare nella zucca. Una sofferenza, calcolato che ogni lezione durava più di due ore e il mio fisico non propriamente di libellula (e i miei piedini numero 47) non mi aiutavano. Eppure c'erano coppie di cinquantacinquenni dalle pance a mongolfiera che gl'ívano che sembravano unti. Mi ricordo la sete terribile che mi pigliava dopo un quarto d'ora; ogni scusa era buona per andare al cesso, dove mi seccavo la cannella tappandomi il naso dal puzzo di piscio che c'era, risudando tutta l'acquaccia bevuta in un battibaleno quando tornavo in sala. Uscivo fuori che sembravo un ecce Venturi.

Cionondimeno (mi son detto: "qui ci sta bene un 'cionondimeno', cazzo di Budda"), miràolo, dopo qualche mese quei passi maledetti m'erano entrati quasi tutti in testa. Una sera, non so come, cominciai a sentirmi bene. Fu quando, finalmente, mi riusci' di fare un giro di boogie-woogie senza sbagliare e a tempo. Fino ad allora era stata la mia tortura, ero rimasto l'ultimo a non averci ancora capito un cavolo (due passi gamb' sinist', giravolta e scambio, mezzo passo indiet' sinist', due passi gamb' dest' e si ricomincia), e quando Roberto e la Patrizia s'avvicinavano a guidarmi, facevo dentro di me dei propositi assai sinistri e mi sarebbe garbato di pigliàlli per le trombe del culo e mandàlli a fa' un bagno nell'Ema.

Ma quella sera mi riuscì; e nacque una specie di grande amore per il ballo. Un amore durato tre anni, morto quando finì quello per la ballerina. Succede. Non ho mai più ballato con nessuno, a parte con la vita. Con quella mi ci faccio ancora dei valzer, che in confronto quello di Vienna del primo gennaio sembra ir ballo der quaqquà. Ah, a proposito: alla Cascine del Riccio Dance School ho fatto pure quello.

Tre anni dopo, fine agosto del '92. Un matrimonio. Una cugina della mia ex. In Puglia, a Corato (Bari). La sera, il grande banchetto nuziale, palloso come pochi e, per di più, in mezzo a gente del tutto sconosciuta. Oddio, quella conosciuta non è che fosse meglio, dal paparino notabile socialista al cuginetto diciottenne che faceva il saluto romano. All'improvviso, mettono un tango. Mi è capitato quasi sempre di cominciar bene delle giornate e finirle di merda; quella volta fu il contrario. Una giornata di merda si trasformò in uno dei miei più bei ricordi. Ci si guardò negli occhi; "si va". E si fece un tango spettacolare. Dieci minuti senza fermarci, con tutte le figure e persino il casqué finale. Si volava! E, alla fine, gli sguardi sgranati e invidiosi di tutti quanti. Cazzo!

E poi, a banchetto finito, si prese la macchina e s'andò a Castel del
Monte. Alle tre di notte, davanti a quel posto meraviglioso. E c'era pure la luna piena. Non mancava nulla. Ci sentivamo felici e invincibili; ed è stata l'ultima volta. Tre mesi dopo era già tutto bell'e finito. No more dance.

Ci son ripassato di quando in quando, dalle Cascine del Riccio; ma mai il martedì sera. Per qualche tempo la scuola sarà andata avanti, chissà; ma Roberto e la Patrizia non li ho mai più rivisti. L'Ema puzza sempre; chissà se è sempre aperta la bottega di alimentari all'angolo, quella del Piazzini. C'è sempre anche la Casa del Popolo; o meglio, c'è la casa. Il popolo, invece, non c'è più. Devono essere tutti morti oppure, come si dice in Toscana, stanno poco bene.

I passi del ballo me li sono
dimenticati tutti; ci son voluti tre anni per farmeli entrare, e in tre minuti sono andati via. Tranne quello del boogie-woogie. Quello me lo ricordo ancora. E non me lo voglio dimenticare, cazzo; qualche volta me lo faccio da solo, in un corridoio. Due passi avanti gamb' sinist', giro e scambio (con l'aria, con il niente, con un fantasma), mezzo passo indiet' sinist'....

6 commenti:

Lello Vitello ha detto...

Orsacchiottone, mi concede questo ballo? :-)

Riccardo Venturi ha detto...

Prima tu devi imparare un po' a ballare, tu hai la grazia di un elefante in un negozio di porcellane. Poi se ne riparla :-)

Anonimo ha detto...

Son passata per caso da qui e mi son sentita offesa.
Alle Cascine del Riccio ci sono nata e caro Venturi che stai bene con poca gente hai preso un bel granchio.
Tu non ti rendi nemmeno conto quanto si possa star bene in quel piccolo paesino di compagna dove la gente è vera e amica.
Si balla ancora... se lo vuoi sapere... tutti i giovedì. La gente è semplice... e si diverte con naturalezza... cosa che per altro mi pare proprio che tu non faccia. Non so dove abiti e nemmeno mi interessa saperlo. Io abito sulle rive dell'Arno da 25 anni ma torno molto volentieri alle Cascine del Riccio... La pizzeria funziona il sabato (tutto volontariato) ottima cucina... e tutti i giorni.... accoglie a pranzo molte persone. Una sola macelleria, c'è sempre la coda di gente che viene dalle parti più disparate perchè la carne è super. Ia così detta bottega di "Piazzino" è tutt'ora esistente e funziona alla grande... per non parlare poi dell'ortolano.
Credimi... tu te lo sogni un posto dove si sta così bene.... Momentaneamente è un po' incasinato per i lavori dell'autostrada ma quale zona di Firenze non lo è per qualce lavoro.
Per cui caro il mio Venturi ... tutta i tuoi panni nell'Ema e pulisciti la bocca.
Viviana

Riccardo Venturi ha detto...

Tornando sul blog dopo molto tempo...per questioni tecniche (cambio casa & trasloco con annessi e connessi) devo subito fare i conti -e come dubitarne?- con la demenza congenita di qualcuno. Stavolta la demenza congenita assume le sembianze di tale Viviana, che si sente in dovere di intervenire su questo post non avendoci evidentemente capito una beata sega, insultando e facendo l'indignata.

Che dire a costei? Sarebbe probabilmente inutile spiegarle che il mio post TUTT'ALTRO voleva essere che un...attacco alle Cascine del Riccio, posto che anche io adoro e che conosco bene (oltretutto ci ho anche una specie di...fratello gemello, tale Pinzauti, nato assieme a me nella stessa stanza d'ospedale il 25 settembre 1963, e che ho conosciuto...alla visita militare). Inutile dire che, seppure in modo scherzoso, il mio voleva essere un ricordo del tutto affettuoso sia del luogo, sia di un periodo; eppure la cosa mi sembra palese!

E questa povera deficiente mi viene a fare la ramanzina, prendendo tutto quel che ho scritto col suo bel buco storto. Ah, fra parentesi: poco oltre le Cascine del Riccio ci abitava la mia ragazza; figurati quindi, Vivianuccia bella, quanto io sia legato a quel posto!

Ma come dicevo prima, coi cretini (in questo caso: con le cretine) è tutto inutile. Caso frequente in questo paese: il mancamentato di turno non capisce un cazzo, però si sente in dovere ugualmente di intervenire indignato. Non resta quindi che concludere in questo modo: io nei panni dell'Ema posso anche sciacquarmici la bocca, Vivianella, sempre che tu provveda a sciacquare il tuo cervellino atrofizzato nel fiume dell'intelligenza. Altrimenti evita di rompermi i coglioni sul mio blog. Con assoluto disprezzo, tuo Riccardo Venturi, via dell'Argingrosso 65/C, Firenze.

k.d. ha detto...

Cara Viviana, vorrei chiederti: ma il post in questione, tu l'hai letto per intero o questo immane sforzo esulava dalle tue possibilità?
A questo punto mi auguro (per te) che tu non l'abbia letto, perché in caso contrario l'unico consiglio che mi viene è di farti vedere da uno bravo....

daniela

Riccardo Venturi ha detto...

E che vuoi farci, cara Daniela, questo è il livello mentale usuale degli itagliani e delle itagliane del XXI secolo. E visto che la Vivianina si era sentita offesa da un post che tutt'altro voleva che essere offensivo, almeno le darò soddisfazione offendendola sul serio, questa povera mentecatta. Ah, a proposito: l'altra sera, quando siamo andati alle Cinque Vie (al circolino assieme a Tom Joad, intendo), ti informo che il posto è sì e no a pochi metri dalle Cascine del Riccio; quasi quasi la prossima volta mi metto davanti al negozio del Piazzini (dove mi sono servito non so quante volte, portandoci addirittura la gente a prendere i panini andando a Siena per il concerto di Guccini del 2001...) e mi metto a berciare: Vivianaaaaaa! O scendi, testolina di cazzooooo...!!! Vediamo se la mongoloide scende le scale, voglio proprio vedere!